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(29 Marzo 2013)
Una storica sentenza condanna la Shell per inquinamento.
da Port Harcourt, Nigeria – Erik Barisa Dooh è il consigliere tradizionale di Goi, villaggio Ogoni fantasma situato sul delta del fiume Niger, in Nigeria. “Prima che arrivassero le trivelle questo era un villaggio felice. C’era un mercato vivo e frequentato che risuonava di voci e anche il panorama era meraviglioso” – racconta. Dal 2004, con il passaggio dell’oleodotto transnigeriano, i continui sversamenti di greggio, la contaminazione del terreno, delle acqua, dell’aria, Goi – come molte comunità del Delta – è divenuta una landa spettrale. Erik è nato e cresciuto a Goi, suo padre aveva una panetteria che ha dovuto chiudere e abbandonare. Anche Erik ha lasciato la comunità, come gran parte dei mille abitanti, trasferendosi nella vicina comunità di Bodo. Il delta del Niger è la regione più densamente popolata del continente africano e, secondo l’Unep, una delle più contaminate del pianeta. Ci abitano 30 milioni di persone, la cui esistenza è messa a rischio dalle decennali attività estrattive e dai violenti impatti che hanno prodotto sul territorio e sulle comunità residenti, anche a causa dell’utilizzo di pratiche illegali scelte dalle società petrolifere perché meno onerose. Tra esse il gas flaring, che consiste nel bruciare a bordo pozzo i gas di scarto dell’estrazione. Drammaticamente contaminante, è una pratica di fatto vietata per legge dal 1984, ma sul Delta continua ad essere normalmente utilizzata.
La scoperta nell’area del delta di ingenti riserve di idrocarburi risale agli anni ’50 e ha reso il paese uno dei maggiori produttori di greggio al mondo. Attualmente si estraggono circa 2 milioni di barili al giorno, ad opera delle maggiori compagnie mondiali: Shell, Bp, Chevron, Total, Exxon, Eni etc. Visitare le terre maleodoranti del delta dà un senso di vertigine. Cinquant’anni di intense attività estrattive non hanno innescato alcun processo di emancipazione sociale, ma hanno reso la Nigeria il primo Paese al mondo per inquinamento di Co2 da combustione. Nonostante l’entità delle sue ricchezze, la popolazione continua a vivere in condizioni di estrema povertà. I nigeriani in povertà assoluta, che erano il 54,7% nel 2004, sono oggi il 60,9%. Secondo l’ufficio nazionale di statistica cento milioni di persone vivono ancora con meno di un dollaro al giorno. In Nigeria l’aspettativa di vita è di appena 47 anni, che nel delta scendono a 42. Il 40% delle donne e il 25% degli uomini non è alfabetizzato.
La battaglia degli Ogoni e dei altri popoli del delta contro gli impatti delle attività petrolifere viene da lontano. Da quella resistenza – che ha tra i nomi illustri quello del poeta e attivista Ken Saro Wiwa, condannato all’impiccagione dal governo nigeriano nel 1995 – viene anche il percorso che ha portato alcune comunità a citare in giudizio la Shell di fronte ad una corte di giustizia olandese. Il padre di Erik è uno dei contadini che ha dato il via al ricorso contro il colosso olandese. Peccato sia morto prima di vederne la fine. Il 30 gennaio scorso la Corte olandese, con una sentenza definita “storica”, ha riconosciuto la responsabilità della Shell per l’inquinamento delle terre coltivabili nella comunità di Ikot Ada Udo. Pur lasciando fuori la contaminazione nelle vicine comunità di Goi e Oruma, la sentenza costituisce un precedente importante per poter sottoporre a giudizio nei paesi di provenienza le imprese straniere per i reati ambientali commessi in giro per il mondo. La sentenza arriva dopo l’altro storico pronunciamento che il 16 dicembre 2012 ha portato la Corte di giustizia della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Ecowas) a dichiarare il governo nigeriano responsabile di non aver tutelato il Delta del Niger dalle attività estrattive.
“Il disprezzo delle società petrolifere per il benessere delle comunità che soffrono a causa degli impatti dello sfruttamento selvaggio del delta è leggendario, ma è venuto il momento della giustizia” è stato il commento a caldo di Era – Environmental Right Action, l’organizzazione nigeriana in prima linea nell’accompagnamento delle comunità locali e nel monitoraggio, la denuncia e la diffusione di informazioni sulle attività estrattive. Proprio in questi giorni Era compie 20 anni. Il direttore uscente Nnimmo Bassey – che è anche presidente di Friends of the Earth, e ha vinto nel 2010 il Rigth Livelihood Prize, il premio Nobel alternativo per l’impegno civile – è orgoglioso dei risultati ottenuti in due decenni di infaticabile lavoro di campo: “A marzo festeggiamo vent’anni di mobilitazione per la giustizia ambientale e non possiamo che dedicarli alle comunità e alle persone che ci hanno ispirato e assieme alle quali abbiamo camminato. Da Ken Saro Wiwa ai popoli Umuechem, Bakalori, Odi, Gbamaratu, Odioma, Ilaje oggi assieme possiamo affermare che siamo andati avanti perchè ogni episodio di devastazione ambientale è per noi un crimine, e una violazione dei diritti umani.”
La sentenza olandese è una prima parziale vittoria, ma anche uno spartiacque, come Era stessa l’ha definita. Che indica che il diritto al cibo, alla salute, alla vita sono sovraordinati a qualsivoglia interesse particolare. Chiunque ne sia titolare, multinazionali del petrolio comprese.
24 marzo
M. Di Pierri e L. Greyl del CDCA su l'Unità
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