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Se non le donne, chi?

Se non le donne, chi?

(11 Dicembre 2011) Enzo Apicella

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Statua di Ancona sulla violenza sulle donne: la donna violata...due volte

(31 Marzo 2013)

Sabato 23 marzo è stata inaugurata ad Ancona una statua emblema sulla violenza delle donne. Nonostante i buoni propositi da cui è partita l’idea, la statua ripropone gli stereotipi che affliggono il corpo e la figura femminile. Probabilmente non hanno comunicato all’artista che il motivo dell’opera era “violenza di genere” e non “calendario Pirelli” e non stupisce certamente alle donne sapere che questa espressione artistica sia stata creata da un uomo. A testimonianza di ciò si nota come la donna “Violata” sia stata appositamente resa con un profilo perfetto, diversamente dalle precedenti opere dell’autore, in particolare la “donna con borsa” da cui è stata tratta l’opera in questione, che presentava lo stesso identico modello ma con forme molto più imperfette ed “umane”, che ricordavano molto di più una donna reale,piuttosto della pin-up di Ancona.

Il corpo, rigorosamente alto e longilineo, con una siluette invidiabile ad una top model e i seni, chiaramente appena rifatti, suggerisce che la realizzazione finale dell’opera si sia discostata fortemente dall’iniziale idea per cui è stata commissariata.

Altro stereotipo da film americano è la borsetta da passeggio che la donna violata porta con se, che suggerisce una violenza avvenuta all’esterno, a seguito di un incontro accidentale con uno sconosciuto: sappiamo benissimo invece che la maggior parte degli stupri avviene proprio dentro le mura domestiche e per opera di uomini conosciuti dalla vittima o più spesso dai suoi stessi familiari. È paradossale il fatto che una statua, che dovrebbe porsi come simbolo della violenza di genere, sia la riproduzione, in realtà, di un’immagine maschilista che con grande sforzo, da tempo, le donne tentano di combattere. La violenza di genere è una violenza perpetuata sulle donne proprio in quanto categoria storicamente, culturalmente e socialmente resa ostaggio dalla dominazione maschile nella società; una violenza che ricorre alla sottomissione sociale, economica, lavorativa della donna, che si nutre del controllo sul corpo femminile e che propone un’immagine di donna vincente solo grazie al suo aspetto fisico e che deve avere come unico scopo il piacere dell’uomo. Non è il nudo della statua ad essere percepito come offesa, né viene dubitata la presunta artisticità della scultura: ad essere criticata è la scelta, profondamente legata a canoni sessisti, utilizzata per simboleggiare il sopruso di genere. È semplice finanziare una statua contro la violenza sulle donne, meno facile promuovere misure efficaci che creino concretamente supporti e contrastino l’esclusione e la subordinazione femminile. Secondo un’ultima ricerca sono 117 i centri antiviolenza in Italia, di cui 93 gestiti da Associazioni di donne e, di questi, solo 56 hanno case di ospitalità; a fronte di un 46 % di donne vittime di abusi e maltrattamenti. La maggior parte delle Associazioni è autofinanziata (in minima parte) e si sostiene con fondi comunali, regionali, europei che vengono continuamente interrotti o tagliati. Il sostegno alle donne, quindi, passa attraverso il privato sociale e non attraverso un’azione diretta dello Stato. Lo stesso Stato che erige statue alle donne per poi praticare drastici tagli alla spesa sociale e assistenziale, per privilegiare il finanziamento della banda del 5 %, delle spese militari, per sostenere la chiesa cattolica che da secoli impone la sudditanza femminile e ostacola la piena autonomia decisionale e di autogestione della donna, che mette continuamente in discussione la legge 194, ostacola la pillola abortiva e pratica un continuo controllo sul corpo e l’identità femminile. La violenza di genere è frutto di un’oppressione economica e culturale, che provoca una continua mercificazione e mortificazione del corpo femminile, voluta dal capitalismo per mantenere il proprio assetto di potere e di controllo. La battaglia per i diritti e l’autodeterminazione delle donne, di conseguenza, passa unicamente attraverso la lotta di classe. Solo una prospettiva rivoluzionaria che porta al rovesciamento dell’attuale assetto politico può condurre ad una liberazione dalle forme di sfruttamento delle lavoratrici e, quindi, delle donne.

29 marzo 2013

Marianna Leone - Pcl Ancona

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