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(15 Agosto 2012) Enzo Apicella

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Il nostro programma non è elettorale

La politica rivoluzionaria e alcune riflessioni sulle recenti elezioni

(1 Aprile 2013)

tumult

Il nostro programma politico, a differenza di tutti gli altri partiti, non è mai stato un programma elettorale, ovvero un programma che si pone il problema di amministrare il capitalismo nella maniera migliore, difendendo gli interessi di questa o quella categoria borghese. No, il nostro è un programma rivoluzionario, il quale si fonda su tre pilastri fondamentali.

Il primo pilastro è che nessuno difenderà il proletariato se non saranno i lavoratori stessi a farlo: non vi è reale lotta di difesa degli interessi proletari, nemmeno di quelli minimi, se non fuori e contro la logica e le istituzioni (compresa quella sindacale) della classe dominante. La lotta di classe è il punto di partenza indispensabile per qualsiasi ragionamento, in assenza di questa anche le nostre possibilità di dispiegare la lotta per il programma dell'alternativa sono pressoché nulle.

Il secondo è che è impossibile difendere gli interessi di parte proletaria (di noi sfruttati, insomma) se non rovesciando da cima a fondo l'intero sistema economico e sociale, ossia avviando un nuovo modo di produrre e distribuire, il quale si fondi sulla socializzazione di tutti i mezzi di produzione e sulla loro gestione collettiva, per il soddisfacimento dei bisogni umani.

Il terzo pilastro è che per raggiungere questo obiettivo minimo è necessaria una rivoluzione politica e che questa è impossibile se, nella classe degli sfruttati, non è presente un partito di classe capace di orientarne la rabbia al totale rovesciamento dell'esistente, perché la barbarie odierna sia spazzata via.

Insomma, indipendentemente dal governo che si formerà sarà nostro compito denunciarne la sua essenza antiproletaria, agitare la necessità di lottare contro il Sistema in quanto tale ed organizzare i migliori elementi proletari nel Partito.

Riflessioni sul post-elezioni
Parliamo ora invece di loro, dei partiti borghesi. Le trascorse elezioni politiche hanno avuto un esito per molti versi surreale, buona parte della stampa estera ancora si sta interrogando: come è stato possibile che le tre principali forze politiche si siano attestate in un sostanziale pareggio? Come è spiegabile che di queste tre, due siano organizzate attorno a clown (di mestiere uno, di fatto l'altro)? Come è possibile che il clown-grande-capitalista Berlusconi sia tornato in pista e che il PD abbia quasi perso, quando la sua vittoria sembrava scontata? Per poi passare ad interrogativi ben più sostanziali: come potrà l'Italia garantire le riforme di struttura necessarie a scongiurare il pericolo che il crollo di fiducia nell'economia italiana trascini con sé l'intera area-euro?

Innanzi tutto i flussi elettorali: chi ha vinto? Solo Grillo, che partiva da zero e quindi non poteva che migliorare. Infatti se confrontiamo i voti degli schieramenti rispetto alle precedenti elezioni politiche, vediamo come questi abbiano perso milioni di voti, mentre il progetto neo stalino-pacifista di rifondazione comunista, a vent'anni dalla sua nascita, è definitivamente naufragato trascinando con se anche l'ormai impresentabile partito di Di Pietro.

L'astensionismo, al contrario, si è solidamente attestato come “primo partito” con circa 10 milioni di aderenti contro gli 8,9 milioni voti del PD, primo partito alla Camera, con una manciata di voti di vantaggio sul M5S. Questo dato testimonia che da un lato sempre più si estende la sfiducia nelle istituzioni borghesi, il che è un bene, ma dall'altro evidenzia come, essendo nel frattempo assenti forme di lotta di classe nei luoghi di lavoro e nei territori, questi milioni di persone sembrano essere di fatto più vicine alla rassegnazione e all'individualismo che all'impegno collettivo nella lotta alle politiche delle classi dominanti, di conseguenza sono anche più difficilmente raggiungibili da noi, partito rivoluzionario.

Le forze in Parlamento
L'attuale composizione del Parlamento riflette la spaccatura che attraversa l'italica borghesia stracciona.

Vi è il partito grande borghese di Monti, Montezemolo e co. che, pur presentandosi come diretto rappresentante degli interessi della borghesia liberal-europeista, a causa delle sue politiche smaccatamente antipopolari, non è riuscito ad andare oltre il 10%.

Vi è poi il PD che, in chiave democratico-europeista, non intende rompere definitivamente con quella tradizione di sinistra (e quel tessuto sociale intelletual-imprenditoriale) dal quale proviene, ma dove fa sempre più fatica a riconoscersi. Questa contraddizione è personificata dal rottamatore liberal-democratico Renzi che, non a caso, in molti vorrebbero alla guida del partito. Il PD è andato alle elezioni convinto di dover governare, ha fatto poche promesse perché sapeva: chiunque avesse vinto, una volta al governo, avrebbe dovuto tagliare, tagliare, tagliare (Bersani: “solo un insano di mente potrebbe aver la fregola di voler governare oggi”). Ma ora, come era facile prevedere, si ritrova con il cerino in mano, senza una maggioranza stabile al Senato, nell'impossibilità di formare da solo un governo. Per farlo potrebbe rinunciare a parte del suo costoso apparato, accontentando così un po' i grillini, ma sembra difficile. Vedremo. Sta di fatto che il PD ha oggi l'opportunità storica di chiudere una volta e per tutte i conti con Berlusconi: varando la legge sul conflitto di interessi e votando per la sua ineleggibilità (il M5S lo seguirebbe subito) piazzerebbe la stoccata vincente. Ma non lo farà: troppi sono i legami che tengono insieme il PDL e il “PDmenoL”, come la polemica Travaglio-Grasso di questi giorni, per l'ennesima volta, dimostra.

Vi sono quindi le facce pulite dei Cinque Stelle. Loro sono stati notevoli nella capacità di cavalcale il malcontento di un ceto medio e di una piccola imprenditoria sempre più esasperati e terrorizzati dal pericolo di sprofondare nelle condizioni e nel tenore di vita del proletariato. Il populismo grillino è stato capace di dare vita ad un mix di ambientalismo, democrazia diretta, liberismo, lotta ai costi dello Stato ed alla corruzione, che risponde in larga parte alle istanze da bar della pubblica opinione (borghese) e agli interessi del suddetto ceto medio. In questo modo sono stati capaci di accaparrarsi i voti di ingenti settori di classe operaia, circa gli stessi che, sempre per protesta, negli anni '90 e '00, si erano rivolti alla Lega. Come risultato, comunque, il M5S otterrà, probabilmente, una certa riduzione dei costi della politica, un maggiore liberismo e forse qualche progetto energetico-alternativo. Se dovessero riuscire, il grande capitale li ringrazierà per essere riusciti laddove la “politica normale” non era riuscita nemmeno nel post-tangentopoli: l'adeguamento dei costi dello Stato alle esigenze della crisi. Per i proletari non cambierà nulla, se non in peggio.

Poi c'è Berlusconi-sempre-in-piedi, multimilionario in perenne fuga dai suoi processi, ormai l'ultimo a difendere con ostinata perseveranza la crociata contro il comunismo-padre-di-ogni-male, e capace, durante i comizi, di lasciarsi andare a scenici “saluti romani” e a mimiche mussoliniane. La borghesia più truffaldina lo segue in ordine sparso, arraffando a destra e sinistra dove e quando può, mentre i posti di quelli che finiscono in galera vengono occupati dalle nuove leve, e via andare.

Finora è sempre riuscito nel suo obiettivo più importante: salvarsi e rinviare a tempo indeterminato la data della fatidica condanna. La borghesia più becera, i palazzinari, la mafia imprenditoriale e gli speculatori avventuristi lo ringraziano, sanno che, finché ci sarà lui, anche a loro sarà garantita una certa libertà d'azione, alla luce del sole.

Chiunque governerà lo farà con l'accetta in mano
Insomma quello emerso dalle ultime elezioni è un circo nel quale le varie frange della borghesia italiana si scontrano per decidere chi dovrà pagare il sovrapprezzo. Si, solo il sovrapprezzo, perché il conto vero e proprio sanno tutti chi dovrà pagarlo, come spiegare altrimenti tutto questo panico per l'assenza di un governo? Il Belgio ci insegna che, in determinate condizioni, si può stare mesi e mesi senza governo, vedendo addirittura la propria economia crescere... In altre condizioni, però, un governo è necessario ed urgente. Quali sono queste altre condizioni? Le nostre naturalmente. La borghesia internazionale, con la Confindustria, chiedono infatti all'Italia, pena l'essere trascinata nella sfiducia dei mercati, di dare urgentemente vita a riforme di struttura per rilanciare la produttività. Tradotto in soldoni: tagli allo stato sociale ed alla spesa statale, aumento della flessibilità nell'uso della forza lavoro, salari calmierati e collegati alla produttività anche nel pubblico impiego (meritocrazia), taglio del personale della pubblica amministrazione. Il grillismo, da questo punto di vista, rappresenta un po' la coscienza della bugiarda borghesia italiana. Come nella fiaba, questa, per diventare una “borghesia vera” dovrà rinunciare a molti dei suoi comportamenti più licenziosi... e bastonare a più non posso il proletariato. Nel frattempo il governo Monti continua a legiferare.

31/03/2013

Lotus - Partito Comunista Internazionalista

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