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(20 Febbraio 2012) Enzo Apicella

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APPELLO CONTRO IL TWO PACK.
Quel «compromesso» non va affatto difeso

(2 Aprile 2013)

Le ultime scelte europee sommano tutti i lati peggiori del problema

Le obiezioni che Piergiorgio Grossi ed altri (cfr. il manifesto del 30 marzo) hanno portato all'appello che abbiamo fatto contro il Two-Pack meritano una risposta articolata, oltre che un ringraziamento per allargare il dibattito su una questione rimasta del tutto in ombra nel dibattito politico del nostro paese.
Mi pare che queste obiezioni ruotino attorno a tre questioni: 1) il Two - Pack (cfr. il manifesto del 28 marzo) è stato negoziato dal Parlamento europeo che non si può «zittire» e la Commissione non è la Troika; 2) La negoziazione avrebbe permesso di aprire sui project bond e altri strumenti alternativi alle politiche di austerità; 3) non si può fare il gioco dei nazionalisti e tornare ai bilanci nazionali.
Cercherò di rispondere una per una per una a queste questioni:
1) In effetti il two-pack c'entra poco o nulla con la Troika (ovvero la Bce, il Fmi, la Commissione europea). Quest'ultima viene attivata nei casi in cui uno stato dell'eurozona si trova in una situazione di cedimento o rischio sistemico della sua economia, situazione che impone piani di salvataggio macro-finanziari. Il six-pack e il two-pack creano invece un meccanismo istituzionale di monitoraggio degli stati dell'eurozona, di convergenza nelle politiche di bilancio, ecc ... in situazioni di «normalità» del sistema economico-finanziario dell'Ue. Il two-pack quindi non ridimensiona affatto i poteri della Troika, semplicemente agisce in condizioni diverse. Quindi, una volta in vigore non si sostituirà a quest'ultima.
La governance che regola le politiche di austerità dell'Unione Europea, delineata in particolare dal six-pack prima e dal two-pack adesso, sposta il centro di gravità politica e decisionale verso istituzioni prive di legittimità democratica diretta - Commissione e Consiglio- e riduce drasticamente il ruolo politico e di indirizzo dei parlamenti nazionali. In particolare questo avviene, per i meccanismi spiegati nell'appello, con il two-pack. Questo fenomeno non è affatto accompagnato da un rafforzamento dei poteri del parlamento europeo sul coordinamento delle politiche economiche, e ancor meno fiscali, alla luce delle disposizioni del Trattato di Lisbona. Lo dimostra anche il testo del two-pack, che in realtà non prevede alcun ruolo sostanziale o decisivo del Parlamento europeo nella gestione della governance. Del resto, i testi finali della codecisione Parlamento-Consiglio non sono molto diversi da quelli iniziali del Consiglio, a dimostrazione di chi è la parte forte e prevalente in questi negoziati.
2)Naturalmente si potrebbe sempre sostenere che malgrado ciò si sono ottenute delle cose nelle politiche di sviluppo. Un po', mi si permetta il paragone, come pensava di fare Hollande all'inizio - ma poi così non è stato, da qui la sua debacle registrata anche dai sondaggi - accettando il fiscal compact. Ma le cose non stanno così. Per il momento siamo sempre allo stadio delle promesse. Il «patto per la crescita e l'occupazione» deciso dal Consiglio europeo nel giugno scorso non è stato ancora implementato, né si vedono spiragli a breve.
A parte l'impatto ancora molto limitato dei project bond va registrata una chiusura totale del Consiglio a discutere seriamente dell'emissione di eurobond o della creazione del cosiddetto «Fondo di redenzione» per la gestione europea della parte dei debiti degli stati Ue superiori al 60% del loro Pil, garantito dalla Banca Centrale Europea. Durante i negoziati sul two-pack, il Parlamento europeo è solamente riuscito a strappare alla Commissione una dichiarazione (che però non ha valore legale o legislativo) in base alla quale verrà costituito un gruppo di esperti per studiare la questione del «Fondo di redenzione» (dovranno consegnare le loro valutazioni entro aprile 2014 e poi, «se la Commissione lo riterrà opportuno», verranno prese «iniziative da individuare»). Va notato che nel maggio 2014 si rinnova il Parlamento europeo, e che a luglio-settembre 2014 si insedierà una nuova Commissione: il rischio è che quindi il lavoro dei saggi finisca per non impegnare alcuno. Non mi pare, parlo da ex sindacalista, che si sia trattato di un negoziato molto lungimirante.
3) Non pensiamo affatto al ritorno al «paesello d'origine». Non il sottoscritto almeno. Ma qui siamo di fronte a una spoliazione del potere di bilancio senza nessuna democratizzazione degli organi europei che lo dovrebbero valutare (la Commissione non è elettiva ) e in presenza di una ulteriore riduzione e mortificazione del bilancio europeo, che il Parlamento europeo stesso ha respinto motivatamente.
Vedremo gli esiti della triangolazione Parlamento, Consiglio, Commissione che esiti darà. Non solo non si «europeizza» il bilancio ma si creano poteri repressivi nei confronti dell'eventuale politica espansiva dei singoli stati. Ovvero si sommano tutti i lati peggiori del problema. Vale la frase del grande Goethe: «Dottrine confuse per azioni confuse governano il mondo». Solo che dietro ci sono interessi precisi. Diradare la nebbia sarà poco, ma è un compito indispensabile.

Alfonso Gianni, il manifesto

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