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Contro la svolta di Bertinotti: Se si vuole l’unità bisogna perseguirla

Risposta ai compagni di Progetto Comunista

(7 Ottobre 2004)

I militanti di Rifondazione Comunista che si sono recati a Roma il 25 settembre per partecipare alla manifestazione nazionale del partito si saranno probabilmente imbattuti in un volantino di Progetto Comunista dal titolo: “Una proposta congressuale alternativa rivolta a tutti i compagni e le compagne di Rifondazione Comunista, al di là di ogni vecchia divisione di mozione”.

Molti avranno pensato, con un titolo del genere, di trovarsi di fronte a una proposta unitaria rivolta a tutti coloro che si oppongono alla svolta governista di Fausto Bertinotti, pur rispettando e mantenendo le diversità di ciascuno.

Ma proseguendo nella lettura del testo le aspettative iniziali vengono immediatamente frustrate perché, come di seguito andremo a spiegare, le condizioni poste da Progetto Comunista non solo non allargano il fronte ma rischiano di non tenere assieme neanche quella che negli ultimi 6 anni è stata la sinistra del Prc.

Chi conosce la storia della sinistra del Prc sa che in passato accordi confusi e senza una base reale di principio non hanno fatto altro che aprire la strada a successive divisioni che hanno aumentato la confusione e la demoralizzazione nei settori più critici del partito. Questo non significa, come spiegheremo di seguito, che non sia possibile alcun accordo in vista del prossimo congresso, al contrario: ma ogni accordo deve essere trasparente e comprensibile: si deve rendere evidente agli occhi di ogni militante del partito in cosa consiste l’accordo, dove comincia e dove finisce. Per questo, prima di entrare nel merito, ci pare indispensabile analizzare il reale contenuto della proposta avanzata dai compagni di Progetto comunista.

Non di proposta unitaria si tratta, ma di una proposta che inevitabilmente genererà nuove divisioni approfondendo quel processo di frantumazione e crisi nella quale è entrata la seconda mozione, a nostro giudizio per gli errori di linea e i metodi sbagliati difesi da Ferrando, Grisolia e compagni.

Ma entriamo nel merito. Progetto Comunista ritiene “essenziale che il vasto sentimento comune del partito contro la svolta intrapresa, possa tradursi in una proposta congressuale chiara e inequivoca. Capace di raccogliere dal basso la domanda interna di unità contro la svolta ma al tempo stesso di evitare ricorrenti ambiguità, oscillazioni, pendolarismi. In questo senso avanziamo all’attenzione di tutti i compagni del nostro partito tre proposte di linea di valore strategico e tra loro intrecciate come base di un comune testo congressuale alternativo”.

Per raccogliere il vasto sentimento comune del partito contro la svolta Progetto Comunista propone a tutti i militanti di “unirsi” in Progetto Comunista.

La velleità della proposta “unitaria” si dimostra anche dal fatto che non è accompagnata da una indicazione di un percorso credibile all’interno della quale discutere democraticamente quello che dovrebbe essere il “comune testo congressuale alternativo”.

Resta il dato di fatto che i militanti che volevano aderire a Progetto Comunista potevano già farlo senza aspettare un congresso, altri potranno aderire se lo riterranno nel corso della discussione congressuale. In che consiste il testo comune? Comune con chi? Comune ai militanti che già sono di Progetto Comunista?

Ma allora perché si parla di andare al di là di ogni vecchia divisione di mozione? Per convincere chi era già convinto oppure per spiegare al militante che allo scorso congresso aveva sostenuto la maggioranza che a questo congresso se vuole può anche sostenere la mozione di Progetto Comunista?

Questo diritto a ogni militante non lo garantisce Ferrando o chi per lui, è un diritto ovvio che tutti hanno dal giorno in cui entrano in questo partito e cioè quello di discutere, confrontarsi e alla fine votare sulle opzioni strategiche che considerano più adeguate a garantire il rafforzamento del partito e il perseguimento degli obiettivi della rifondazione comunista.

Ci diranno i compagni: “Nei congressi deve prevalere la chiarezza delle posizioni, per cui i documenti si fanno solo con quelli che dal primo all’ultimo punto la pensano come noi”.

Bene, giusto, tanta intransigenza va certamente rispettata, ma su questo li aspetteremo alla coerenza dei fatti. Che non è certo quello che hanno dimostrato negli ultimi anni.

Come si generano divisioni dichiarandosi a favore dell’unità

In realtà i compagni Ferrando e Grisolia che come tutti sanno sono “uomini di principio” hanno sempre delle discriminanti strategiche da tirar fuori in funzione delle necessità del momento.

Nel testo di Progetto Comunista le tre discriminanti fondamentali che propongono, senza le quali qualsiasi accordo sarebbe un pasticcio opportunistico sono:

1) “La rottura immediata del Prc con la prospettiva di ingresso in un secondo governo Prodi”. Fin qui nulla da obiettare, ma ovviamente non può bastare per Progetto Comunista. La proposta, udite, udite è “combinata con la proposta più generale di un polo autonomo anticapitalistico e di classe”.

2) La difesa di un programma incompatibile con il capitalismo che necessariamente chiami la prospettiva di un’alternativa di potere per rifondare su basi socialiste la società italiana ed europea.

3) Nessun governo della borghesia, di centrodestra o di centrosinistra può essere privato di un’opposizione di classe e comunista. Ci si deve opporre, dunque, dunque a qualsiasi governo dell’alternanza e a qualsiasi tipo di desistenza verso il centrosinistra.

Tutti coloro che conoscono il dibattito che in questi anni ha attraversato il nostro partito sanno benissimo che queste discriminanti tagliano fuori non solo l’area Erre che ha rotto nel ’98 con la minoranza del partito, ma anche l’area Falcemartello (a cui appartiene chi scrive) che non ha mai condiviso la parola d’ordine del Polo autonomo di classe e non condivide la prospettiva di una scissione dal Prc, se nel 2006 il partito decidesse di entrare nel governo Prodi, che è quanto velatamente si afferma nella terza discriminante (Nessun governo della borghesia, di centrodestra o di centrosinistra può essere privato di un’opposizione di classe e comunista…) e che da tempo Ferrando e Grisolia vanno promettendo ai propri sostenitori.

Quando si tratta di principi e di convinzioni strategiche abbiamo tutto il rispetto di questo mondo, e di certo non possiamo obbligare nessuno a compromettersi con tendenze che i compagni considerano irrimediabilmente malate di opportunismo e centrismo.

Ma, se le cose stanno così, perché al terzo congresso del Prc l’allora gruppo Proposta di Ferrando e Grisolia era alleato all’interno di un’area e di un documento nel quale oltre all’attuale seconda mozione c’erano non solo Bandiera Rossa (l’antesignana di Erre) ma anche gli stalinisti di Bacciardi che di certo non rispettavano i requisiti che oggi vengono presentati come paletti irrinunciabili, principi a cui una marxista rivoluzionario non può rinunciare? Eravate opportunisti ieri o siete estremisti oggi? Delle due l’una.

Le diverse aree che componevano la vecchia seconda mozione al terzo congresso, su questo argomento non avevano posizioni fondamentalmente diverse da quelle di oggi, eppure dopo il terzo congresso nel 1996 fu proprio il gruppo Proposta che propose con maggior convinzione la formazione di un’associazione più ampia all’interno della quale entrassero tutti i militanti e le aree che avevano sostenuto il documento di minoranza. Si diceva inoltre nelle riunioni che ogni gruppo preesistente doveva cedere parte della propria “sovranità” per garantire il funzionamento e il successo della nuova associazione.

Il progetto naufragò perché Bacciardi si scisse poco dopo dal partito e Bandiera Rossa dopo la rottura col governo Prodi decise di entrare nella maggioranza del partito.

Ma a quel congresso in ogni caso si fece una battaglia unitaria contro la maggioranza di Bertinotti e Cossutta anche se Bandiera Rossa accettava la politica della desistenza verso il centrosinistra per battere le destre, Ferrando la rifiutava mentre noi di Falcemartello, allo scopo di aprire uno spazio per dialogare con la base dei Ds e della Cgil, proponevamo una desistenza rivolta ai soli Ds che non isolasse il partito ma allo stesso tempo non lo subordinasse a quelle forze organicamente borghesi e liberali del centro dell’Ulivo. La parola d’ordine della rottura al centro era ed è ancora oggi centrale nella linea politica che la nostra area ha sempre proposto all’insieme del partito.

Il terreno unitario e condiviso da tutta la minoranza congressuale era il rifiuto a sostenere in qualunque forma (da dentro il governo o dall’esterno) un esecutivo di centrosinistra. Questo era il punto determinante allora e ci pare lo sia anche oggi quando dalla base del partito viene una richiesta crescente di formare un fronte, il più ampio possibile che si opponga alla svolta governista di Fausto Bertinotti.

Hanno pienamente ragione i compagni quando dicono che vanno evitate le ambiguità e gli accordi senza principio, ma la loro applicazione si spinge molto oltre. Presentano per unitaria una proposta che sostanzialmente si limita a recintare i confini della propria area e chiudono qualsiasi terreno di convergenza con le altre aree d’opposizione.

L’applicazione “flessibile” dei principi

Tutto questo, che sembra molto coerente e genera rispetto in tutti noi, si scioglie come neve al sole quando i referenti cambiano. Vediamo il caso della federazione di Vibo Valentia.

Come è noto Progetto Comunista da diversi anni dirigeva la federazione di Vibo Valentia, federazione da cui provenivano una buona fetta dei voti della minoranza (280 all’ultimo congresso, corrispondenti a circa il 7% dei voti presi a livello nazionale).

Il segretario della federazione è il compagno Matteo Malerba, che oltre ad appartenere a Progetto Comunista è stato eletto negli ultimi due congressi nella Direzione nazionale del Prc, su proposta, ovviamente, dell’area a cui appartiene.

Malerba era fino a questa estate l’unico membro della Direzione che appartenesse all’Associazione marxista rivoluzionaria Progetto Comunista oltre a Ferrando e Grisolia. Si trattava dunque di una figura non secondaria.

Nonostante Malerba si sia sempre disciplinato alle posizioni che formalmente Progetto Comunista difendeva a livello nazionale sull’indipendenza di classe dal centrosinistra, nella realtà alle ultime elezioni provinciali ha non solo fatto un accordo con il centrosinistra, ma è diventato anche assessore all’ambiente in una giunta provinciale guidata da Bruni, un esponente della Margherita.

La cosa è rimasta sotto silenzio fino al giorno in cui è stata denunciata dai nostri compagni calabresi su FalceMartello e questo alla fine ha portato nel mese di luglio alla decisione di Malerba di abbandonare di sua iniziativa l’associazione Progetto Comunista.

E’ da notare che nella circolare inviata dal compagno Francesco Ricci alla newsletter di Progetto Comunista per informare dell’avvenuta separazione, quest’ultimo, dopo aver ribadito gli eterni principi, incredibilmente ha proposto a Malerba e ai compagni di Vibo che condividevano la linea dell’accordo di sostenere il documento di Progetto Comunista al prossimo congresso. Riportiamo:

“Caro Matteo, cari compagni, ci auguriamo possiate ricredervi. Per quanto ci riguarda restiamo aperti al confronto politico, anche in vista della imminente fase congressuale nella quale proporremo a tutti i militanti del Prc -e quindi a maggior ragione a voi, con cui abbiamo condiviso una lunga battaglia politica- di sostenere le posizioni della sinistra rivoluzionaria: posizioni che si esprimeranno, come sempre, in testi inequivoci, fondati sul concetto di indipendenza di classe del movimento operaio dalla borghesia dai suoi governi (e giunte) per l'alternativa socialista. Così pure nella collocazione interna al partito, in riferimento agli scontri organizzativi - ma non politici - tra le diverse anime della maggioranza dirigente (scontri particolarmente aspri in Calabria) continueremo a mantenere la piena autonomia della nostra azione, rifiutando ogni blocco con l'una o l'altra componente: cosa che auspichiamo continuerete a fare anche voi.”

Evidentemente le discriminanti ideologiche per il “documento comune” sono assolute nei confronti di chi pur opponendosi alla partecipazione del Prc in un governo (o giunta) borghese non sostiene la posizione del Polo autonomo di classe o ha proposto in passato forme di desistenza (nel nostro caso verso i Ds e le forze di sinistra) ma non sono tali per chi siede al tavolo di una giunta guidata da un esponente della Margherita e sostenuta da partiti come l’Udeur. Ecco quanto valgono i principi per Progetto Comunista.

In realtà la cosa che più conta è che Malerba non è impegnato in una battaglia per l’egemonia all’interno della sinistra del Prc, ha come si è visto altri obiettivi, mentre Falcemartello si è impegnata in questa battaglia. Tanto è sufficiente per spiegare la politica dei due pesi e delle due misure.

Inoltre sbaglia chi pensa che questa svolta a Vibo sia un fulmine a ciel sereno. Chi come noi dal ’97 al febbraio del 2001 (data della nostra espulsione da Progetto Comunista) ha partecipato ai dibattiti nazionali (quando nell’area potevano partecipare tutti i sostenitori della seconda mozione che lo desiderassero e non solo quelli che aderivano al Movimento per la Rifondazione della Quarta Internazionale), sa benissimo che Malerba ha sempre sostenuto l’idea che non si poteva applicare rigidamente a livello locale la linea che la minoranza difendeva a livello nazionale contro gli accordi con l’Ulivo, particolarmente nelle piccole città (come Vibo, appunto).

Ed è su questa base che venne coniato il termine, che è stato ricorrente per molti anni nei documenti della sinistra del Prc: “opposizione di classe alle giunte di centrosinistra a livello nazionale e a partire dalle grandi città”.

Si trattava di una mediazione sbagliata fatta per ragioni sbagliate e che ha avuto le conseguenze che conosciamo. E’ evidente che a un giudizio onesto i dirigenti di Progetto Comunista non possono sentirsi estranei rispetto a quello che è successo a Vibo. Non solo non hanno dichiarato da subito la loro contrarietà per quanto stava avvenendo, non solo propongono comunque a Malerba e ai compagni che hanno fatto quella scelta di aderire al loro documento contro gli accordi con l’Ulivo “senza sé e senza ma” ma hanno contribuito a rafforzare le tendenze opportuniste esistenti nella federazione cercando la via della mediazione e non con una discussione chiarificatoria che forse temevano potesse portarli a perdere il controllo della federazione.

Che coraggio ci vuole dopo tutto questo nel proclamarsi paladini dell’intransigenza e a dichiarare la propria indisponibilità a fare accordi senza principi!

Quale proposta unitaria?

Il punto vero della questione oggi non è se ciascun documento di opposizione prende un punto percentuale in più o in meno ma è impedire che Rifondazione Comunista venga coinvolta in una disastrosa esperienza di governo ripercorrendo la parabola del ’96-’98 avendo per di più dei ministri nell’esecutivo. E’ questa la discriminante di fondo su cui andrebbe aperto un confronto con l’obiettivo di costruire un documento comune delle opposizioni al prossimo congresso ed è su questo terreno che facciamo appello perché Progetto Comunista essendo l’area maggiormente rappresentata nel Cpn (tra quelle che verosimilmente possono essere disponibili a un percorso del genere) si faccia promotrice di un percorso democratico che vada in questa direzione.

Una proposta del genere potrebbe risvegliare nuove energie nella battaglia congressuale e darebbe maggiori motivazioni ai tanti militanti disorientati dalle svolte e dalle controsvolte del segretario. All’interno di un quadro comune poi ogni area difenderà le proprie tesi specifiche senza occultare opportunisticamente le differenze che esistono.

Questo potrebbe essere il contesto ideale per condurre la battaglia congressuale, a condizione che venga accettato da tutti.

Nel caso in cui tale proposta non andasse in porto, nei pochi mesi che restano da qui al congresso proponiamo almeno un’ipotesi subordinata, un obiettivo minimo che serva a dare un segnale a tutti quei militanti che chiedono l’unità delle opposizioni alla linea governista di Bertinotti: che noi tutti si vada al congresso pur con documenti distinti (se questo è inevitabile) ma ognuno di essi aperto da un preambolo comune che rifiuta l’accordo del Prc con il centrosinistra e l’entrata nel governo Prodi in caso di vittoria dell’Ulivo.

Si dia un segnale che esiste un’opposizione composita, articolata al suo interno quanto si vuole ma che è in grado di unirsi almeno su un punto decisivo prefigurando per il futuro l’embrione di una direzione alternativa a quella che attualmente dirige il partito.

Lo dobbiamo ai nostri militanti, lo dobbiamo ai lavoratori di questo paese.

Milano, 1 ottobre 2004.

Claudio Bellotti
Alessandro Giardiello

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