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IL PANE E LE ROSE - classe capitale e partito
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La dichiarazione comune: un forte segnale e una proposta di lavoro

(16 Aprile 2013)

La dichiarazione comune per costituire una coalizione anticapitalista (non un appello, ma “una proposta di lotta”) per un movimento politico anticapitalista e libertario, avanzata da numerosi militanti sindacali, sociali e politici, costituisce un rilevante avvenimento politico e una forte indicazione di lavoro per coloro che vogliono contrastare le politiche di austerità e le scelte della borghesia italiana ed europea. Essa costituisce il tentativo di muovere i primi passi per contrastare la totale frammentazione delle forze, esigenza percepita e richiesta da tantissime/i militanti, e dare vita a una iniziativa unitaria capace di nuova efficacia sociale. Per questo ho aderito e credo che in tante e tanti ci si debba impegnare in questo progetto di lavoro.

Il sistema capitalistico sta infatti attraversando, già da alcuni anni, in Italia e nel mondo, la sua più grave crisi perlomeno dal dopoguerra ad oggi. Le recenti elezioni politiche, dopo anni di tagli ai servizi e a tutto lo stato sociale, dopo due decenni di strangolamento dei salari, dopo una stagione di licenziamenti, di chiusura di aziende, dopo la peggiore riforma previdenziale di tutto il continente e dopo la cancellazione dello statuto dei lavoratori, hanno mostrato quello che era facilmente prevedibile e cioè una straordinaria caduta di consenso per tutti quei partiti che hanno sostenuto e sostengono queste politiche.

Ma questo vastissimo rifiuto, che ha portato i partiti dell’austerità (destra, centro e centrosinistra) tutti sommati a raccogliere meno della metà dell’elettorato, però non si esprime se non in mobilitazioni frammentate, isolate, in generale prive ancora di una dinamica centripeta che possa incidere con più forza sui rapporti sociali e politici tra le classi. La responsabilità principale di questa realtà ricade sulle direzioni delle organizzazioni sindacali maggioritarie che nulla hanno fatto per organizzare e unificare le mobilitazioni necessarie per contrastare la politica di austerità. Anzi, in diversi modi, si sono subordinate a queste vergognose politiche contro la classe lavoratrice.

Ma una responsabilità specifica spetta a quelle che sono state le principali forze della cosiddetta “sinistra radicale” che negli ultimi dieci anni hanno rincorso il centrosinistra socialiberale supplicando un’alleanza, con il solo risultato di distruggersi e, per quello che è più importante, avallando l’idea che l’alternativa al liberismo nelle sue diverse versioni non è da ricercare a sinistra.

C’è un evidente nesso tra questo comportamento e il fatto che tutta l’opposizione all’austerità emersa nel voto di fine febbraio sia confluita nell’astensione o nel sostegno alle liste di Beppe Grillo.

In Italia c’è un grande bisogno di una sinistra anticapitalista, indipendente e alternativa al centrosinistra, oltre che ovviamente alla destra. Ecco perché già nel recente congresso di Sinistra Critica (settembre 2012) ho sostenuto la necessità di costruire (cito dagli emendamenti presentati al documento congressuale) un “fronte unitario di classe, (ponendo) un’attenzione particolare … nell’aggregazione delle soggettività politiche e sociali più esplicitamente e dichiaratamente anticapitaliste, al fine di (dare vita a) un polo anticapitalista, cioè un’area programmaticamente più chiara nella individuazione delle radici della crisi e dell’aggressione padronale e governativa. Ovviamente, la nostra indicazione di formazione di un polo di questo genere non può essere un feticcio propagandistico, ma una proposta concreta da avanzare a interlocutori concreti in occasioni concrete”.

Ho così colto con grande interesse e con favore l’idea di promuovere insieme ad altre e altri militanti di diverse e varie provenienze questa “dichiarazione comune” che si propone di dare vita a “un movimento politico anticapitalista e libertario di donne e uomini che vogliono lottare, sulla base di un programma di alternativa economica, politica e culturale, con adesioni individuali e pratiche di democrazia realmente partecipativa, con un sistema di relazioni plurali ed aperte”.

L’idea, dunque, non è quella prospettata dalla recente “lettera aperta alla sinistra” stilata dalla direzione nazionale del PRC e pubblicata sul “Manifesto” di venerdì 12 aprile, lettera che non fa né vuole fare i conti con il fatto che il progetto del PRC e della “rifondazione comunista” è oramai un progetto sconfitto e che per qualunque nuovo progetto di sinistra occorre una netta rottura con quella storia.

La lettera del PRC ancora una volta esprime una totale ambiguità sui nodi politici di fondo a partire dalle disastrose esperienze delle alleanze politiche con le forze socialiberiste e una grande inadeguatezza dei contenuti programmatici e “pretende” di costruire un “soggetto politico unitario” sotto la direzione dell’attuale e fallimentare gruppo dirigente del PRC e in stretto rapporto con la Sinistra europea e il GUE.

Questa rottura c’è invece ed è rimarcata nella “dichiarazione comune”. “Tutti i tentativi di far emergere un progetto politico anticapitalista unitario dalle lotte sociali, civili, ambientali e per la libertà delle donne, afferma la “dichiarazione”, sono falliti. Questi fallimenti hanno precise responsabilità politiche … Agli inizi del nuovo secolo il grande movimento che portò alle giornate di Genova sembrava aver individuato la strada della costruzione di un soggetto politico anticapitalista di massa, nel quale tutti i conflitti potessero liberamente riconoscersi. La catastrofica esperienza della partecipazione della sinistra radicale al governo Prodi ha distrutto questo percorso”.

Oggi, inoltre, lo scontro sociale si sviluppa attorno alle politiche comunitarie, alla azione della Troika della BCE, del FMI e della Commissione europea e su questi temi la dichiarazione assume con nettezza una posizione di “rottura con questa Europa e con questo capitalismo, per costruire una nuova storia comune”.

Non è possibile che in un paese come l’Italia ”la sola lotta di classe pienamente legittimata sia quella che viene dai ricchi verso i poveri, dai padroni verso gli operai, da chi ha il potere verso chi non ne ha”.

Questa è la conseguenza della “concertazione sindacale (che) ha accompagnato e cogestito la regressione sociale e dei diritti del lavoro. Per questo una alternativa radicale alle politiche liberiste passa anche attraverso la la lotta per restituire a lavoratrici e lavoratori un grande movimento sindacale di classe, democratico e indipendente dai partiti”.

Anche la “piattaforma” del movimento è condivisibile e centrata su tutte le emergenze della fase: “No all’Europa del fiscal compact e dell’austerità, … no alle missioni di guerra e alla Nato” no “alla disoccupazione di massa, al vincolo del debito”, sì alla “nazionalizzazione e alla socializzazione delle banche e delle imprese strategiche, all’istituzione di poteri democratici reali e diffusi nei luoghi di lavoro, nel territorio, nelle istituzioni”. Sì a “grandi interventi pubblici per milioni di piccole opere, cancellando tutte le TAV che distruggono ambiente e lavoro”. Sì alla “costruzione, difesa, riappropriazione e gestione sociale dei beni comuni, contro la mercificazione delle vite, dell’ambiente e della salute, della conoscenza”. Sì alla “eguaglianza sociale, alla riduzione generalizzata degli orari di lavoro, all’abbassamento della età della pensione, alla cancellazione delle leggi sulla precarietà, e di quelle sullo schiavismo e la criminalizzazione dei migranti”. Sì a “una grande redistribuzione della ricchezza verso il basso, con un generale ed egualitario incremento delle retribuzioni e delle pensioni più basse, e con la istituzione di un reddito minimo garantito”.

Naturalmente la sfida che abbiamo davanti è enorme e molti sono i passaggi che andranno ricercati e verificati nel tempo, ma essa è ineludibile e va preseguita. Non tentare la strada della convergenza tra tutte e tutti coloro che condividono queste parole d’ordine e non tentare di allargarla ulteriormente significa rassegnarsi alla dispersione, accettare le sconfitte già incassate e prepararsi a subire le sconfitte che seguiranno. Credo quindi che le compagne e i compagni di Sinistra Critica che condividono questo tentativo parteciperanno a questo movimento, investendo il loro radicamento sociale, il loro ruolo nei posti di lavoro, di studio, nei territori.

Infatti, è proprio dal contributo delle/i militanti impegnate/i nel propri luoghi di lavoro per difendere diritti e condizioni salariali e di lavoro e nei territori contro le devastazioni ambientali e le privatizzazioni, nei movimenti sociali, da quello contro le guerra e le politiche militariste (scontro politico cruciale su cui, per altro è nata Sinistra Critica) a quello femminista, a quello LGBT, che questo movimento potrà conquistare forza e credibilità.

Naturalmente, va da sé, l’attività di Sinistra Critica continuerà ad essere ben presente; la considero anzi essenziale per il positivo sviluppo di questa coalizione anticapitalista. Il movimento da costruire è infatti un movimento plurale, ad adesione individuale, ma che non vuole (né potrebbe) negare il diritto all’esistenza e all’azione delle realtà organizzate che vorranno cooperare a costruire questo progetto.

Il movimento politico anticapitalista e libertario che si cerca di far nascere diventa quindi uno dei terreni di sfida dell’impegno militante, per fare sì che anche nel nostro paese (come già in molti altri d’Europa) l’alternativa non sia solo tra una politica liberista dal volto feroce ed una un po’ più amichevole ma altrettanto distruttiva ma che si presenti sulla scena politica e dei movimenti anche una proposta nettamente antagonista, basata sul conflitto sociale e sulla voglia di trasformazione radicale alternativa alla barbarie capitalista.

Franco Turigliatto - Sinistra Critica

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