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Il rasoio di Occam

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(27 Dicembre 2011) Enzo Apicella

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Un anno di internamento in più

Ospedali Psichiatrici Giudiziari

(22 Aprile 2013)

Il 31 marzo scorso era la data in cui “ufficialmente” i sei OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) presenti in Italia, dovevano chiudere. Almeno secondo le disposizioni della legge 9/2012. Il termine chiudere forse può essere fuorviante. In realtà si stabiliva che gli attuali “ospiti” (1400 circa) avrebbero ricevuto le cure necessarie in strutture sanitarie. Alla fine è stato tutto rimandato al 1 aprile del 2014. Se ne riparla fra un anno. In fondo neanche tanto tempo considerando che gli uomini e le donne cui ci si riferisce sono da decenni reclusi in strutture disumane. Un anno in più o in meno che vuoi che sia! Bisognerebbe sentire i diretti interessati cosa ne pensano e magari organizzare un’evasione di massa da strutture disumane considerate non degne di un paese civile secondo il Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa che le visitò nel 2008. Bisognerebbe chiedere il parere a tutti gli internati e a tutti coloro che subiscono o hanno subito la costrizione della propria libertà in quelle che, il sociologo Goffman, chiama istituzioni totali. Le istituzioni totali sono i conventi, le caserme, le carceri – in certi casi i collegi e gli ospedali – i manicomi e tutti quei luoghi dove sono ravvisabili le seguenti caratteristiche: uno stretto controllo dall’alto da parte di una componente della popolazione (staff) rispetto ad un’altra (ospiti); l’essere una società altra a se stante che ti può portare a vivere in totale esclusione/separazione da quella umana in generale; una organizzazione gerarchica formalizzata della struttura, dei tempi e della vita al suo interno (orario dei pasti, relazioni, divieti, etc.). Non bisogna certo dilungarsi per dire come tutto ciò vada rifiutato, ma è bene conoscerne caratteristiche e definizioni. In questo la triste sorte degli internati degli OPG diventa così l’esempio negativo di cosa siano questi luoghi di tortura e sofferenza, le cui normative fanno capo al fascista Codice Rocco del 1930, e che ancora si applicano nelle sei strutture che si trovano a Napoli, Aversa, Barcellona Pozzo di Goto, Castiglione delle Stiviere, Montelupo Fiorentino e Reggio Emilia. Ancora un anno dunque. Lungo, infinito, in cui tutto può accadere. Alla fine però ci sarà la fine di una pena senza fine? Forse. O si andrà in tanti piccoli manicomietti, gestiti da cooperative private? Qualcuno si è chiesto se le 1400 persone di questi sei lager di stato hanno una famiglia, potranno essere seguiti, sostenuti, aiutati da qualcuno? Chi li aiuterà? In che tessuto sociale verranno reintegrate? E come? Queste ed un milione di altre domande fra tecnicismo, retorica e profondo senso della dignità umana devono necessariamente accompagnarsi alla vicenda, al fine di avere il miglior esito possibile. Sarà difficile, molto. Anche perché la questione non riguarda solo i 1400 individui segregati, e le loro storie, i loro nomi, le loro vite negate, etc., ma interessa anche tutto il mondo che sta ed è stato loro attorno. Chi ha gestito questi OPG, con quali soldi, quali incarichi, progetti e obiettivi? Chi sono i professionisti che dirigono e lavoravano in queste strutture? Il pensiero che li riguarda assume un aspetto sociale e culturale che pone l’interrogativo di come e quanto il loro lavorare e vivere – magari senza accorgersene – sia presente nella società immediata che li circonda, sia testimonianza di questa e quanto venga alimentato da essi stessi, ingranaggi di un meccanismo stritolatore di cui inconsapevolmente, in qualche caso, sono i portatori cronici di un’infezione gerarchica pericolosa. E tutto ciò in una società malata come la nostra, non solo perché affetta dalle patologie veicolate dallo stato e dal mercato, ma perché impoverita di tutto il patrimonio difensivo (verrebbe da dire di anticorpi sociali) sviluppato dalle lotte antifasciste, sindacali, civili, di cui rimane solo un tenue e nebuloso ricordo in un quadro sociale italiano dove alla comunità viene contrapposto l’atomizzazione individualista, ai diritti vengono preferiti i privilegi, in una guerra fra poveri infinita. Pur stando nel paese della riforma basagliana della psichiatria, ancora c’è qualche ciarlatano che preferisce legare, imbottire di sedativi, bruciare neuroni con la TEC (Terapia elettroconvulsivante, meglio nota come elettroshock). Pur stando nel paese dove sono stati chiusi i manicomi, non è detto che tutte le loro caratteristiche non siano state traghettate per intero all’interno dei piccoli reparti di psichiatria. La vicenda Mastrogiovanni è esemplificativa in merito. E non basta. Si deve ricordare che quanto detto in merito all’essere vittima di una istituzione totale valga in generale anche per chi si ritrova impiccato in cella, o vola da una finestra di una questura (Giuseppe Pinelli), o viene massacrato di botte durante un fermo (Giuseppe Uva), o muore in un CIE (Fatih) o all’aria aperta, in una strada di Ferrara (Federico Aldovrandi) e … l’elenco non finirebbe più, ma quanto detto serve unicamente a contestualizzare il problema dei 1400 internati e della società che li circonda. E’ difficile dire come dare un aiuto a loro durante questo anno, in termini di calore umano, relazioni, vita dignitosa (dormire, mangiare, ridere, etc.), e così via. Di certo in termini politici e di informazione seguire le loro sorti, sostenere la loro liberazione, parlarne (ma non basta) sono le prime cose utili da fare.

Giordano - Umanità Nova (n. 14 anno 93)

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