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Esopo ad Assisi

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(26 Settembre 2011) Enzo Apicella

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Ombre nere sul movimento!!

(5 Ottobre 2004)

L’avvenuta liberazione delle due Simona ci offre la possibilità di ritornare, con maggiore lucidità, su alcuni snodi politici inerenti il necessario ed indispensabile rilancio del movimento contro la guerra.

Pur non essendo degli appassionati di dietrologia – e tutti comprendiamo bene come in questa vicenda ci sono tutti gli ingredienti “oggettivi” e “soggettivi” per una intrigata storia in cui si evidenzia lo zampino degli apparati al servizio delle truppe d’occupazione occidentali che stazionano sul suolo irakeno – la repentina conclusione del rapimento ci lascia con molte perplessità ed alcune preoccupazioni circa le direttrici di marcia che il movimento dovrà assumere nel prossimo periodo.

Non è in discussione l’umana soddisfazione per il ritorno a casa delle Simona. Ben altri sono i cinici e gli autentici criminali!!

Non è, però, indifferente, ai fini dell’autonomia politica del movimento, il complesso lavorio che il governo e le “opposizioni” (in tandem con alcuni pezzi di Ong, del mondo cattolico e dell’associazionismo..) hanno svolto attorno a questa vicenda, in Italia ma anche sul terreno irakeno, il quale peserà negativamente sulla capacità espansiva e progettuale del movimento no war.

(In un intervento collettivo, pubblicato sul Manifesto del 30/9, Nella Ginatempo ed altri compagni di alcuni social forum territoriali, interrogandosi sui problemi attuali del movimento, utilizzano il termine di ipnosi per indicare il condizionamento istituzionale a cui il movimento è sottoposto da alcune forze politiche. Pur concordando con questa diagnosi, in particolare quando si riconosce che alcune reti ed organizzazioni presenti nel movimento perseguono coscientemente tale finalità, ci chiediamo se a questa condivisibile analisi non sia mancata, proprio nei giorni in cui il ricatto istituzionale “antiterroristico” è stato più forte, una decisa spinta politica ed organizzativa verso la definizione di uno schieramento che sapesse, operosamente, porre un deciso argine a questa deriva che ha attraversato, ed attraversa tutt’ora, gli ambiti del movimento impedendone di svolgere il suo ruolo a pieno)

Anche dopo il rilascio delle due Simona, indipendentemente da alcune dinamiche con cui si è svolta l’intera vicenda e che confermano la presenza e l’azione manomissoria di settori degli apparati dello stato, continuiamo a ritenere che la responsabilità di questo “rapimento” come quella dell’incolumità di qualsiasi italiano (e/o occidentale), per l’oggi e per il futuro prossimo, debba ascriversi – totalmente - a carico di chi ha condotto l’aggressione all’Irak, di chi ha prodotto oltre 25000 morti in poco più di un annoi e di chi, da oltre un decennio, ha seminato lutti e distruzioni inenarrabili in Irak e nell’intera area Mediorientale.

Non ci accodiamo, quindi, alla montante ed ipocrita campagna buonista che viene diffusa nella società – frutto velenoso di quel redivivo clima di Unità Nazionale strumentalmente imbastito su tale vicenda – ed avvertiamo un inquietante brivido nella schiena nell’assistere all’unanimità degli applausi, manifestatesi nell’aula di Montecitorio, alla notizia della liberazione delle Simona!!

Al nostro posto:

Nessun indietreggiamento alla ragione di Stato, contro le aggressioni del capitale senza se e senza ma!!


Fin dalle prime ore del “rapimento” abbiamo affermato che - al di là di chi avesse, veramente, tra le mani le Simona – il compito utile (dell’intero movimento di lotta) continuava ad essere quello di separare nettamente i nostri comportamenti politici e le loro modalità di rappresentazione pubblica dall’azione interventista e guerrafondaia del governo Berlusconi. Anzi qualsivoglia contributo che il movimento no war poteva offrire, a qualsiasi titolo, doveva continuare ad indirizzarsi verso il riconoscimento delle aspirazioni alla piena Autodeterminazione del popolo irakeno ed alla legittimità della Resistenza verso l’occupazione militare.

E’ capitato, invece, che, a vari livelli, il movimento di lotta contro la guerra è stato sottoposto ad una incredibile pressione, mirante al depotenziamento delle sue ragioni, per renderlo una icona inoffensiva verso il complesso dei poteri forti che sovrintendono alla dottrina imperialistica della guerra preventiva e, nel caso specifico, per impedirgli di rilanciare, con ancora più forza, anche durante i giorni del sequestro delle ragazze, l’obiettivo del Ritiro delle Truppe senza se e senza ma.

A questo risultato hanno concorso, oltre al governo del Cavaliere, tutte le “opposizioni” istituzionali le quali hanno operato, con grande solerzia e dispiegamento di mezzi, per inibire ed autoritariamente normalizzare qualsiasi tentativo mirante a sottrarsi a questo asfissiante clima politico e sociale.

Attorno al “caso” delle due Simona ed attorno alla morte del giornalista Baldoni, il governo italiano e le sue appendici politiche, militari ed “umanitarie” (compresa la Croce Rossa ed alcune Ong da sempre sul libro paga delle istituzioni e di alcune importanti imprese italiane interessate agli affari connessi alla “ricostruzione”) hanno tentato di determinare un mutamento di idee nell’opinione pubblica indispensabile per il prosieguo dei disegni di occupazione militare e manomissione economica e sociale dell’Irak.

Da qui il ritrovato feeling bipartizan con le “opposizioni”, la martellante campagna mediatica contro i “pacifisti irriducibili”, il pesante silenzio del Vaticano verso le quotidiane sofferenze della popolazione civile irakena ed il disciplinamento coatto dell’arcipelago dell’associazionismo e del volontariato che pure era stato protagonista attivo nella precedente fase del movimento contro la guerra.

Abbiamo già preso atto e registrato le difficoltà della piazza, evidenziatesi nell’ultima tornata di mobilitazioni italiane. Conveniamo che non si tratta unicamente dei numeri (bassi) dei cortei ma di un effettivo disorientamento già evidenziatosi, con altre caratteristiche, all’indomani delle grandi manifestazioni (Firenze, 15 Febbraio, 20 Marzo…)

A molti, mentre era in atto il rapimento delle due Simona, è sembrato difficile mantenere una netta posizione di contrasto alle politiche guerrafondaie (in primis del nostro imperialismo, quello tricolore!!). Su molti è pesato il ricatto che lo scendere in piazza, con parole d’ordine apertamente divaricanti dalle direttive del Governo e dagli evidenti/plateali cedimenti delle “opposizioni” potesse significare, obbligatoriamente, una completa identificazione con l’ideologia, i programmi e le azioni di combattimento delle tendenze maggioritarie della Resistenza Irakena.

Si è realizzato – insomma – un forte condizionamento che è riverberato nelle pieghe del movimento ed ha prodotto un preoccupante abbassamento di quella genuina radicalità (di obiettivi e di concrete pratiche di lotta) che, felicemente, aveva segnato la perdurante novità del movimento no war e del più generale moto di contestazione agli effetti antisociali della globalizzazione capitalistica.

L’aggressione imperialistica non è terminata:
non deve terminare la nostra irriducibilità allo stato di cose presenti!!


Tutti gli indicatori politici in campo, la cruda cronaca di queste giornate, ci mostrano, inequivocabilmente, che il rullo compressore delle potenze imperiali è tutt’altro che fermo.

Continuano i sanguinosissimi e terroristici bombardamenti sulle città dell’Irak, vanno avanti senza sosta i programmi di rapina e di spoliazione del petrolio ad opera delle compagnie occidentali mentre il governo fantoccio di Allawi vorrebbe, attraverso elezioni da svolgere sotto il ricatto dei cannoni, imporre una sorta di transizione democratica verso nuovi equilibri e stabilizzazioni politico-istituzionali che deriveranno, unicamente ed obbligatoriamente, da una ricontrattazione complessiva tra gli USA ed il resto dei paesi capofila e gregari dell’aggressione in atto.

La stessa opzione della NATO (come ambiguo surrogato alle attuali truppe occupanti agenti attualmente in Irak) si annuncia come una riconfigurazione, per il prossimo periodo, delle modalità di stabilizzazione, per il medio-lungo termine, della presenza militare in questo paese.

Parimenti le presunte “Conferenze Internazionali” (di cui è piena la tragica storia di tutto il Medio Oriente a cominciare dalla martoriata Palestina) o i goffi tentativi, in salsa franco/tedesca, di riesumare la foglia di fico dell’ONU potranno avere una qualche possibilità di affermazione a condizione di liquidare ogni resistenza/opposizione (non solo armata ma anche sociale e sindacale) all’occupazione neo-coloniale del paese e rappresentano solo il tentativo di alcune potenze europee di rientrare nel gioco della spartizione della preda irakena.

Le stesse recenti aperture di Frattini verso Al Sadr (il quale, nonostante tutto, non è ancora stato normalizzato ed addomesticato) sono sintomatiche di una attitudine – presente storicamente nel dna della politica estera italiana – a voler rabbonire gli avversari che non si possono subito eliminare.

Come è evidente per chiunque – volendo anche solo limitarci al quadrante irakeno, pur sapendo che l’intera area è intimamente correlata ed intrecciata in tutti i suoi esplosivi aspetti sociali - permangono inalterate tutte le fondamentali questioni che hanno fatto lievitare la protesta contro la guerra, in Italia come altrove.

Pur considerando la necessità di interrogarci su come dare una maggiore efficacia a questo moto sociale, anche alla luce delle difficoltà intervenute, occorre rilanciare l’iniziativa autorganizzata e le forme del conflitto da mettere in atto. Ogni altra inconcludente attesa si pone – di fatto – come una moratoria del conflitto verso Berlusconi e Bush:

A questo proposito continuiamo a ritenere, positivamente, paradigmatica la vicenda del movimento in Spagna che ha saputo imporre il Ritiro delle Truppe in una difficile congiuntura oppure la permanente maturità del movimento inglese, frutto di un sapiente intreccio/fusione tra espressioni di lotta locali e vaste comunità di lavoratori islamici, la quale, in un paese chiave della coalizione imperialistica, ha saputo mantenere una forte opzione conflittuale a Blair senza arretrare dai suoi presupposti programmatici.

(Leggiamo su l’Unità del 27/9 un'altra perla del Bertinotti-pensiero. Interrogato dal giornalista sulla presenza, a suo dire, nel movimento di sacche di irresponsabili che strizzerebbero gli occhi ai “tagliatori di teste” il nostro Fausto indica nel prossimo Social Forum di Londra il luogo dove queste sacche di irresponsabili troverebbero il loro humus indispensabile per le loro presunte aberrazioni. Inoltre, facendo sfoggio di una grande disonestà intellettuale, indica nella letteratura terzomondista, la quale non andrebbe presa sottogamba, il brodo di coltura per simili pratiche. Ogni commento ci sembra, a volere essere miti, superfluo!!)

Non tocca a noi indire scadenze o formulare appuntamenti vincolanti. Siamo convinti, però, che vada ripreso il confronto tra quanti concorrono alla tenuta del movimento e non intendono consegnarlo nelle mani delle istituzioni.

I prossimi appuntamenti, a livello nazionale ed oltre, (il Forum Europeo di Londra, la manifestazione del 30 Ottobre contro la ratifica della Costituzione Europea, ma anche le articolazioni di lotta del “fronte interno” come l’annunciato corteo, a Roma, della popolazione di Acerra, la manifestazione per il Reddito/Salario Garantito del 6 Novembre, le lotte dei lavoratori contro l’inasprirsi delle ristrutturazioni, la stagione dei processi politici contro i protagonisti di una stagione di lotte….) ci segnalano l’urgenza di un Incontro/Discussione che sappia riattivizzare l’universo no war ed attrarre nuove energie nel vivo della lotta.

1/10/04

I/le compagni/e di Red Link

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