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(Lotte operaie nella crisi)

PRIMO MAGGIO 2013

(29 Aprile 2013)

Il capitalismo è ormai un nauseante cadavere, nella sua economia, nelle istituzioni politiche,
nelle sue superstizioni sociali
e solo attende di essere seppellito dai suoi becchini

V I V A I L C O M U N I S M O!

Il primo maggio è il giorno in cui i lavoratori di tutto il mondo, al di sopra dei confini nazionali, di razza, di religione, ribadiscono di appartenere ad una stessa classe sociale, di essere legati dagli stessi interessi, di condurre la stessa battaglia per l’emancipazione dallo sfruttamento e dalla miseria.

Questo fine storico da oltre un secolo è possibile, non più utopistico, grazie al capitalismo stesso che, condannato alla ricerca del profitto per la sua natura, ha sviluppato la forza produttiva del lavoro a tal punto da permettere la piena soddisfazione dei bisogni dell’umanità intera.

Ma, se da un lato ne ha creato le condizioni materiali, dall’altro proprio il capitalismo impedisce il raggiungimento di questo traguardo storico, perché vincola il lavoro alle leggi del profitto che sono inconciliabili con la soddisfazione dei bisogni della gran parte dell’umanità.

Questo primo maggio 2013 trova i lavoratori, in tutti i paesi del mondo, in una situazione che ormai da anni, invece di migliorare, si aggrava, a causa della crisi che ha colpito l'economia dell'intero pianeta. Di crisi in crisi – l’attuale è la quinta dal 1974 e ne è la naturale prosecuzione – il capitalismo distrugge i miti di pace, progresso e benessere crescenti, legati a doppio filo con la peggiore superstizione sociale e politica del capitalismo, la democrazia, rigettando l’umanità in un passato che proclamava superato per sempre.

Nei paesi a più vecchio capitalismo, l’Europa, il Nord America, il Giappone, la cui economia è in piena recessione, la classe lavoratrice è colpita dalla riduzione dei salari, dai tagli allo Stato sociale, dalla disoccupazione di massa.

Le conseguenze della crisi cominciano però a farsi sentire anche nei Paesi di più giovane industrializzazione, dalla Cina all’India, dalla Corea del Sud al Vietnam e all’Indonesia, nonostante i bassi salari e le durissime condizioni di lavoro. In America Latina l’Argentina è di nuovo in piena crisi, ma in tutti i paesi, dal Brasile socialdemocratico al Venezuela “chavista”, al Cile liberista, i vari regimi, nonostante che la crisi non li abbia ancora investiti con forza, fanno la stessa politica e cercano di aumentare lo sfruttamento del lavoro salariato.

Nell’Africa del Nord la lotta del proletariato per ottenere migliori condizioni di vita e di lavoro, libertà politiche e sindacali, è stata deviata verso il falso obbiettivo della democrazia e dei cambiamenti di governo che non hanno minimamente intaccato i meccanismi dello sfruttamento e dell’oppressione capitalistica mentre in Sud Africa le possenti lotte organizzate negli ultimi mesi dai lavoratori delle miniere dimostrano come lo sfruttamento sia terribile anche nei paesi a capitalismo più giovane e vitale.

Per il momento la borghesia con l'aiuto dei partiti falsamente “operai”, dei sindacati legati a doppio filo col regime, della polizia e, quando occorre, dell'esercito, riesce a tenere chiusa la pentola a pressione della rivolta proletaria, ma il fuoco continua a riscaldarla e non è lontano il momento dello scoppio.

LE VERE CAUSE DELLA CRISI ECONOMICA

La vera causa di questa crisi economica, prevista dall'analisi economica marxista, risiede nella sovrapproduzione di merci causata dalla caduta tendenziale del saggio del profitto, un fenomeno ineliminabile e inarrestabile dell’economia capitalistica perché implicito nel meccanismo infernale che la guida, la ricerca incessante del profitto tramite lo sfruttamento del lavoro salariato.

Il capitalismo non può che affondare nella crisi ogni giorno di più. I proclami dei governi borghesi d’ogni colore, di destra come di sinistra, che vagheggiano di superare la crisi cambiando politica economica, imponendo delle “regole” ai mercati, ecc., sono mera propaganda per convincere i lavoratori ad accettare i sacrifici secondo la formuletta “stare peggio oggi per stare meglio domani”, mentre i tagli alla spesa sociale, ai sussidi di disoccupazione, alle pensioni, sono misure crudeli e inutili imposte dalla borghesia per ribadire il suo dominio sul proletariato e sulle mezze classi.

Dalla crisi economica alla guerra?

Il capitalismo è una lotta permanente fra Stati, gruppi industriali e finanziari, banche e imprese, ciascuno in difesa degli interessi del proprio Capitale, del proprio profitto.

In ogni Paese la borghesia chiama i “propri” lavoratori a sacrificarsi per vincere la sua battaglia rendendo più competitiva l’economia nazionale e cerca di convincerli che "sono tutti sulla stessa barca". Ma, al contrario, in questa guerra lo sconfitto è sempre dalla stessa parte, è sempre il proletariato. Quando accettano di legare le proprie sorti a quelle dell’azienda, del Paese o della Patria, i lavoratori si arruolano nell'esercito borghese, sono spinti in guerra fra di loro, oggi a colpi di salari più bassi e ritmi di lavoro più alti, domani a colpi di fucile e di cannone.

L’ineluttabile avanzare della crisi economica renderà sempre più insopportabili le condizioni di vita del proletariato di tutti i paesi e più dura la competizione economica, commerciale e militare tra i vari Stati borghesi fino a che si porrà all’ordine del giorno l’alternativa o guerra mondiale imperialista o rivoluzione comunista internazionale.

Il proletariato dovrà allora ricollegarsi alla tradizione rivoluzionaria tracciata dalla vittoriosa rivoluzione in Russia dell'Ottobre 1917 che fermò la Prima Guerra Mondiale scatenando l’ondata rivoluzionaria in tutto il mondo e opporsi con tutte le sue forze alla prospettiva di un nuovo macello mondiale che oggi sarebbe certamente ancora più terribile e sanguinoso delle due guerre imperialiste che hanno permesso di sopravvivere ancora un secolo a questo regime infame.

Che fare?

I lavoratori salariati devono in primo luogo organizzarsi per difendere ogni giorno le loro condizioni di vita e di lavoro; devono unirsi tra loro superando le artificiali divisioni nazionali, di religione, di categoria e lottare per difendere il loro salario, per ridurre l'orario di lavoro, per opporsi ai licenziamenti rivendicando uguale salario per meno lavoro.

In ogni Paese dovranno rinascere, sotto la spinta delle lotte rivendicative, dei Sindacati di Classe pronti alla difesa intransigente delle condizioni di vita dei lavoratori, decisi nel rifiutare ogni responsabilità verso l’economia aziendale e nazionale, cioè capitalistica, perché consapevoli che se questa affonda la classe lavoratrice non morirà con essa, ma coglierà l'opportunità storica di abbattere il regime statale borghese e instaurare la dittatura proletaria, liberando le forze produttive dalle leggi economiche del Capitale e dal lavoro salariato.

È in questa fase storica di ripresa internazionale della lotta di classe che il Partito Comunista Internazionale, erede del programma storico del comunismo rivoluzionario di Marx e Engels, di Lenin e della Sinistra italiana, raccogliendo le avanguardie più combattive e decise della classe lavoratrice, potrà sferrare la battaglia per impedire un nuovo macello mondiale e seppellire con la rivoluzione il capitalismo col suo dissennato sfruttamento del lavoro umano, le sue guerre permanenti e la sua miseria crescente per milioni e milioni di proletari.

I proletari non hanno da perdere che le loro catene ed un mondo intero da conquistare!

Partito Comunista Internazionale

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