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Malaysia, il regime barcolla

(3 Maggio 2013)

malayparis

Giovedì 02 Maggio 2013 23:00

Le elezioni di domenica prossima in Malaysia promettono di essere le più combattute della storia di questo paese a maggioranza musulmana del sud-est asiatico fin da quando ottenne l’indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1957. La storica coalizione di governo Barisan Nasional (Fronte Nazionale, BN), guidata dall’Organizzazione Nazionale dei Malesi Uniti (UMNO) del premier Najib Razak rischia infatti seriamente di perdere per la prima volta il potere a vantaggio del leader dell’opposizione, Anwar Ibrahim, ex vice primo ministro gradito all’Occidente e a capo di un’alleanza multietnica.

Sfruttando il malcontento per la corruzione diffusa nel paese, i metodi autoritari impiegati dal regime e le tradizionali discriminazioni nei confronti delle minoranze indiana e cinese, Anwar sembra essere riuscito a suscitare un qualche entusiasmo tra gli elettori più giovani e quelli che vivono nelle principali aree urbane della Malaysia.

Già nelle elezioni generali del 2008, peraltro, la coalizione di Anwar, Pakatan Rakyat (PR), era riuscita a conquistare 82 dei 222 seggi del Parlamento nazionale, nonché la guida di 5 dei 13 stati che compongono il paese, negando per la prima volta al BN la possibilità di contare su una maggioranza di due terzi, necessaria per modificare a piacimento la costituzione.

Del principale raggruppamento dell’opposizione fanno parte, oltre al partito Keadilan Rakyat di Anwar, il partito su base etnica cinese Azione Democratica (DAP) e quello islamico Parti Islam Se-Malaysia (PAS).

Con le proprie quotazioni in discesa in vista del voto, la coalizione di governo ha così messo in atto una serie di provvedimenti in buona parte propagandistici, sia per dare l’impressione di voler riformare il paese in senso democratico - allentando, ad esempio, il controllo quasi assoluto sui media - sia distribuendo una serie di sussidi eccezionali alle classi più povere e benefit vari ai dipendenti pubblici.

Il controllo della macchina del governo fa temere inoltre a molti tra l’opposizione che le procedure di voto potrebbero essere in qualche modo manipolate a favore del blocco attualmente al potere. Lo stesso Anwar, d’altra parte, ha subito una serie di persecuzioni motivate politicamente da oltre un decennio a questa parte.

Nel 1998, quest’ultimo venne sollevato dal proprio incarico di vice primo ministro dal suo diretto superiore, Mahathir Mohamad, poiché in contrasto con i vertici del partito sulla direzione da dare al paese nel pieno della crisi finanziaria che colpì il continente asiatico. Anwar era cioè in sostanza favorevole all’implementazione in Malaysia delle ricette richieste dal Fondo Monetario Internazionale per aprire l’economia del paese, misure profondamente impopolari e quindi osteggiate da Mahathir.

Dopo l’espulsione dal partito, Anwar venne arrestato e torturato per poi essere sottoposto ad un procedimento penale con l’accusa di sodomia. Anwar venne scagionato una prima volta nel 2004, ma le stesse accuse gli sarebbero state rivolte nuovamente nel 2010 fino al definitivo proscioglimento avvenuto lo scorso anno.

La mancata condanna nel 2012 di Anwar indica chiaramente un certo appoggio per il suo progetto politico ed economico all’interno di alcune sezioni delle élite malesi, insoddisfatte delle parziali “riforme” in senso liberista adottate dal governo di Najib in questi ultimi anni.

Anwar, inoltre, vanta legami con governi e istituzioni occidentali, nonché con gli ambienti finanziari internazionali, come confermano le sue esperienze presso il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e l’influente università Johns Hopkins negli Stati Uniti, ma anche con associazioni e think tank soprattutto conservatori americani, alcuni dei quali hanno sostenuto e finanziato il movimento popolare per la democrazia in Malaysia “Bersih”, le cui manifestazioni di piazza hanno di fatto favorito l’ascesa politica dell’ex vice premier.

Con i sondaggi che indicano un sostanziale equilibrio tra le due coalizioni, secondo molti osservatori a decidere l’esito del voto potrebbero essere i risultati nei due stati situati nel Borneo: Sarawak e Sabah. Qui, infatti, il consueto predominio del BN potrebbe essere messo in discussione in seguito alla recente esplosione di scandali e alle accuse di corruzione rivolte a importanti funzionari affiliati al partito di governo.

Lo stato di Sabah, poi, un paio di mesi fa è finito nel caos in seguito all’invasione di un esercito improvvisato proveniente dalle Filippine, i cui leader si erano definiti difensori del Sultanato di Sulu, proprietario di questo territorio prima di essere ceduto alla Gran Bretagna e di entrare successivamente a far parte dello stato malese dopo l’indipendenza. Lo sbarco ha causato decine di morti negli scontri con le forze di sicurezza inviate da Kuala Lumpur e, visto anche il totale allineamento del governo filippino agli obiettivi strategici americani in Asia, alcuni hanno sollevato il sospetto di un’operazione ben programmata per destabilizzare il governo della Malaysia in previsione del voto.

Inevitabilmente, la competizione elettorale in Malaysia risente della crescente rivalità tra Cina e Stati Uniti in Asia sud-orientale. Come ha scritto recentemente sulla testata on-line Asia Times l’analista Nile Bowie, “dopo la crisi globale del 2008 il premier Najib ha guardato sempre più verso Pechino per rianimare l’economia malese basata sull’export, puntando su una crescita degli investimenti cinesi a beneficio dell’industria locale”. Non solo, Najib ha anche promosso scambi con la Cina in ambito “finanziario, dello sviluppo delle infrastrutture, della scienza, della tecnologia e dell’educazione”. Tutto ciò ha fatto in modo che la Cina diventasse il principale partner commerciale della Malaysia, con gli scambi bilaterali che hanno raggiunto un valore di 90 miliardi di dollari nel 2011.

Pechino, dunque, favorisce chiaramente la conservazione del potere da parte del BN, dal momento che un’affermazione di Anwar potrebbe “minacciare gli investimenti e le politiche legate alla sicurezza sviluppate negli ultimi cinque anni sotto la guida di Najib”, prospettando per la Malaysia una svolta strategica simile a quella che ha caratterizzato le vicine Filippine con la conquista della presidenza nel 2010 del filo-americano Benigno Aquino dopo i due mandati di Gloria Macapagal-Arroyo segnati dal riavvicinamento di Jakarta alla Cina.

Molti dubbi, in ogni caso, sono stati sollevati circa la tenuta di un eventuale prossimo governo guidato da Anwar, la cui coalizione mette assieme un partito secolare cinese (DAP) con uno islamico con tendenze fondamentaliste (PAS). Queste differenze sono state infatti ampiamente utilizzate in campagna elettorale dall’alleanza di governo, la cui tattica potrebbe avere contribuito ad allontanare dall’opposizione una parte dei malesi che in larga misura pratica un islamismo moderato.

Il premier Najib, inoltre, ha più volte messo in guardia gli elettori da una scelta elettorale che, favorendo l’opposizione, potrebbe rappresentare un salto nel vuoto dopo quasi sei decenni di dominio incontrastato della sua formazione politica. Oltre al controllo sui principali media, poi, il Barisan Nasional potrà contare anche su una legge elettorale creata a proprio vantaggio, come dimostrano i risultati del 2008, quando la coalizione ottenne il 63% dei seggi in parlamento a fronte di appena il 51% del voto popolare.

Najib, infine, metterà in gioco tutto il suo futuro politico in questa tornata elettorale. Un’eventuale clamorosa sconfitta del BN domenica prossima lo costringerebbe infatti con ogni probabilità a lasciare la leadership del partito, come accadde nel 2009 al suo predecessore, Abdullah Badawi, messo da parte dopo il deludente risultato nel voto dell’anno precedente.

Ad indicare la sorte di Najib in mancanza di un chiaro successo è stato lo stesso Mahathir, potente premier malese per 22 anni e ritiratosi nel 2003, il quale in una recente intervista ha avvertito il primo ministro in carica di una probabile rivolta all’interno del partito anche solo nel caso non dovesse arrivare una prestazione migliore di quella fatta registrare nel 2008.

Michele Paris - Altrenotizie

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