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Israele-Turchia: negoziato sulla Mavi Marmara

(6 Maggio 2013)

Secondo round di negoziati tra Ankara e Tel Aviv per il risarcimento alle nove vittime del raid del maggio 2010. Dietro, interessi economici e strategici.

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Betlemme, 6 maggio 2013, Nena News - Previsto per oggi il secondo round di negoziati tra Israele e Turchia per stabilire l'entità dei risarcimenti che Tel Aviv deve alle famiglie delle nove vittime del sanguinoso raid del 30 maggio 2010 contro la nave turca Mavi Marmara.

L'uccisione dei nove attivisti turchi, diretti a Gaza nell'ambito della prima missione umanitaria Freedom Flotilla, era stata per tre anni una delle apparenti ragioni di congelamento dei rapporti diplomatici e economici tra i due Paesi. Che ora si sono concretamente riavvicinati: un riavvicinamento frutto delle Primavere Arabe e dell'incapacità del premier Erdogan a ergersi a nuovo leader di un nuovo Medio Oriente, ma anche frutto degli interessi economici e energetici che Israele e Turchia condividono da tempo.

Dopo il primo meeting sul raid alla Mavi Marmara dello scorso 22 aprile, oggi i negoziatori turchi e israeliani si incontreranno in Israele, al fine di normalizzare una volta per tutte relazioni gradite ad entrambi. I "parametri iniziali" sono stati stabiliti, avevano detto i funzionari di Ankara all'indomani del primo round di negoziazioni, ma va ancora stabilito l'ammontare esatto dei risarcimenti.

Una nuova stagione nei rapporti tra i due Paesi, figlia della necessità di fare affari. Nonostante Erdogan abbia sempre cercato di mostrarsi un alleato indifesso del popolo palestinese - definendo più volte Israele uno Stato terrorista - non disdegna firmare contratti da svariati miliardi di dollari con il "nemico". E la sua visita a Gaza, promessa da mesi e sempre rimandata, è stata bloccata poche settimane fa dal presidente Obama che ha chiesto ad Ankara di non fare un simile sgarbo al ritrovato amico israeliano.

Dietro c'è la vendita da parte di Tel Avi di sistemi militari elettronici alla Turchia - contratto sospeso dopo i fatti della Mavi Marmara - e un progetto congiunto per la costruzione di un gasdotto sottomarino che dal bacino Leviatano in Israele, via Turchia, esporti gas naturale in Europa: un totale di 425 miliardi di metri cubi di gas, un affare da non perdere.

Infine, le rivoluzioni interne al mondo arabo e lo stravolgimento - spesso solo apparente - degli equilibri interni alla regione. Erdogan non ha mai nascosto la sua intenzione di scalzare Egitto e Siria dal ruolo di Paesi leader in Medio Oriente e lo ha fatto abbandonando senza rimorsi un alleato decennale, come Damasco. La Turchia, se riuscisse nel suo intento, potrebbe diventare per Israele quello che è stato l'Egitto di Mubarak.

"Per decenni Turchia e Israele hanno mantenuto ottimi rapporti, politici e militari - ci ha spiegato l'analista e scrittore palestinese Nassar Ibrahim - L'attacco alla Mavi Marmara è l'eccezione, non la regola. Il premier turco Erdogan ne ha subito approfittato per mostrarsi al mondo arabo come l'unico leader in grado di affrontare Israele e difendere i diritti del popolo palestinese. Poi con lo scoppio della Primavera Araba Erdogan, a capo di un partito che è figlio dei Fratelli Musulmani ha capito che quello era il momento della Turchia: Ankara avrebbe potuto fare la differenza e diventare il nuovo leader in un Medio Oriente guidato dalla Fratellanza Musulmana".

Ma a due anni dall'inizio della guerra civile siriana, il governo di Damasco non cade: "Erdogan è entrato in crisi: il popolo turco è tradizionalmente e storicamente vicino a quello siriano e nessuno ha compreso la necessità di abbandonare Damasco. In tale contesto va letto il riavvicinamento a Israele - conclude Ibrahim - La Turchia si è isolata, è ormai circondata da Stati antagonisti. La Siria, l'Iran, l'Iraq. Ad Erdogan restano la NATO, l'Europa e gli Stati".

Emma Mancini - Nena News

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