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(7 Gennaio 2012) Enzo Apicella

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Monopolio economico e del potere, tra multinazionali e dominio militare.

Il caso emblematico degli F 35 di Cameri.

(9 Maggio 2013)

Cameri (NO), il cantiere dei nuovi F35 voluto dal neutrale e austero governo Monti è lì, pronto a sfornare nuove macchine di morte in nome del “progresso” e della “crescita economica”. Questo stabilimento incarna bene l'aspetto deumanizzante del nostro modello economico. Infatti, nell'estate scorsa l'austero governo “tecnico” ha deciso un cospicuo intervento pubblico per finanziare la costruzione di caccia-bombardieri - nonostante il periodo di crisi economica gravissima - contraddicendo così le linee guida del pensiero economico austeritario. Il muro del silenzio calato sulla vicenda, nonostante la campagna elettorale, ha dato modo di occultare ai più le connivenze politiche del Pd che consentirono la realizzazione del progetto in totale assenza di opposizione. Ma, la contraddittorietà di chi massacra la sanità pubblica (e non solo) per investire in cacciabombardieri da guerra, secondo i nostri neutrali amministratori non esiste, e se esiste, è presto spiegata col solito ricatto del lavoro. A tutti i contestatori veniva infatti spiegato che 10.000 posti di lavoro in questo periodo erano una manna dal cielo e che, comunque, l'indotto attorno allo stabilimento avrebbe costituito una ghiotta occasione per far ripartire il mercato. Il “sole 24 ore”(23 febbraio 2013), poi, rincarava la dose elencando tutti i diktat statunitensi su un progetto per cui “gli F35 restano una scelta senza alternativa”.
Ad oggi, la situazione è questa: il progetto finanziato dall'Italia pare destinato agli israeliani e i posti di lavoro disponibili si sono drasticamente ridotti a 600, come se non bastasse: la Difesa pare dovrà licenziare qualche migliaio di militari per restare nei vincoli di bilancio richiesti dall'Europa. Insomma, l'austero governo tecnico non solo ha stanziato sull'unghia 20 miliardi per finanziare l'imperialismo sionista, ma ha pure fatto passare l'evento come “occasione per la crescita economica”, fallendo poi miseramente con i bilanci ancora prima di partire con la produzione. Da un punto di vista politico si può constatare una continuità con la politica dei Reagan, Bush e Tony Blair vari, mentre seguendo fino in fondo la mentalità del pensiero economico dovremmo augurarci lo scoppio dell'ennesima guerra in Medio Oriente per sperare in un incremento del PIL generato dalla produzione di caccia-bombardieri. Infatti, il massacro ordinario non basta a far ripartire la crescita, l'unica soluzione è ottenere più massacro, più sangue, e allargare gli scopi predatori alle terre straniere non ancora dominate. Peccato che, come ricordava Togliatti, il nostro resta “imperialismo da straccioni”, infatti gran parte dei profitti dell'investimento pubblico italiano se li beccherà Israele che ha annunciato la produzione di 800 ali sviluppate dall'Italia, tutto a costo zero per gli israeliani
( http://www.reuters.com/article/2010/08/30/us-israel-fighter-idUSTRE67T2JX20100830 ).

Per rintracciare questa deriva politica credo dovremmo quindi partire dal potere economico che indirizza la spesa pubblica statale - che viceversa dovrebbe essere decisa nell'interesse dei cittadini e non delle lobby private militari. La Lockheed Martin, multinazionale aerospaziale americana, non ha un passato limpidissimo, poiché negli anni '70 (quando era ancora solo Lockheed ) fu protagonista di una colossale operazione corruttiva in cui vennero coinvolti alcuni dei più importanti governi occidentali, compreso ovviamente quello italiano. Così la Lockheed fu responsabile delle dimissioni di un Presidente della Repubblica, era Giovanni Leone al centro della bufera internazionale. Come risulta chiaro, attualmente è la Lockheed ad aver commissionato gli F35 ed è lei di fatto a gestire il mercato dei caccia-bombardieri muovendo una mole di profitti non indifferente tra i governi più potenti del mondo.

La più completa analisi dell'economia monopolistica ad oggi resta “Il capitale monopolistico” di P. A. Baran – P. M. Sweezy, ossia la più ampia ricognizione sul funzionamento dell'economia nello stadio avanzato del capitalismo dall'analisi leniniana de “L'imperialismo. Fase suprema del capitalismo”. Il soggetto dell'azione capitalista diventa così “la società per azioni gigante” (the giant corporations) e il centro dell'analisi viene spostato sulle storture al modello economico classico di concorrenza che ne derivano. La logica del profitto non scompare, ma si rimodula in diversi processi che portano a rallentare la “caduta tendenziale del saggio di profitto” teorizzata da Marx e ad innescare processi di frantumazione del “pubblico”. Insomma, un libro del '66 che può ancora aiutarci ad interpretare quanto accade sotto i nostri occhi tutti i giorni, dalla concorrenza al ribasso sulla manodopera salariata ai venti di guerra in Medio Oriente.

Il principio economico marxiano della “caduta tendenziale del saggio di profitto” non sembra essere minimamente intaccato, anzi, semmai confermato, dalla legge qui esposta dell' “aumento tendenziale del surplus” e della “trasformazione strutturale del capitalismo concorrenziale in quello monopolistico”(Cfr. p.63). Come confermano gli autori stessi analizzando minuziosamente l'assorbimento del surplus, la “caduta tendenziale del saggio di profitto” continua ad erodere carsicamente la base economica della nostra economia e a portare il sistema economico capitalista a ricadere nell'imperialismo: “Se le spese militari fossero nuovamente riportate alle proporzioni che avevano anteriormente alla seconda guerra mondiale l'economia nazionale ritornerebbe nelle condizioni di profonda depressione” (p. 130).

Dall'analisi sull'assorbimento del surplus (capitoli 4-5-6-7) risulta infatti evidente che la parte preminente della spesa pubblica viene riservata alla spesa militare, e risulta ancora più lampante l'impossibilita del modello keynesiano come modello “civile”. La tendenza del modello di Keynes a degenerare in keynesismo militare (macroscopico da Reagan in poi, ma già evidente dalla presidenza Truman , passando per quella Eisenhower e poi attraverso quelle democratiche di G. Ford e J. F. Kennedy) è considerata dai neomarxisti come inevitabile, poiché nello Stato borghese le forze che si oppongono all'espansione della spesa civile sono troppo potenti per essere vinte. La prova di questa tendenza viene dai dati sulla ripartizione della spesa pubblica statunitense (tra il '29 e il '57): spesa civile +1,7%, spese militari +9,6% (p.129).

Se poi leggiamo l'analisi economica svolta dai due neomarxisti alla luce dell'enorme portata del keynesismo militare sulla spesa pubblica ( triplicazione del debito pubblico federale da 994 a 2857 miliardi di dollari. Storia degli Stati Uniti - O. Bergamini) scopriamo la inevitabile tendenza del capitalismo ad autoriprodursi tramite i conflitti bellici .
Oltre la retorica post ottantanovina esaltatrice di un mondo liberato dal demone comunista e dunque libero e pacificato troviamo un panorama di guerre iniziate e ancora mai concluse: I guerra del Golfo ('90-'91); guerra del Kosovo ('96-'99) ; guerra in Afghanistan (2003-oggi); II guerra del Golfo(2003-2011); questo tanto per un didascalico sunto dei pricipali e più duraturi fronti di guerra occidentali degli ultimi anni, alcuni dei quali restano inevitabilmente aperti, e anzi, vengono rifinanziati costantemente anche da amministrazioni di sinistra come quella del premio Nobel per la pace 2009 B. Obama. Tralascio poi per brevità gli interventi statunitensi avvallati costantemente dalla comunità internazionale, vassalla degli Stati Uniti.
La degenerazione imperialista, scoperta da Lenin e confermata e rilanciata dai neomarxisti, resta così una costante fondamentale del sistema economico occidentale, oggi basato su cicli di taglio sistemico della spesa pubblica. La categoria della politica è e resta una parte fondamentale della scalata al potere nello Stato, ma attualmente il tassello ineliminabile della struttura economica capitalistica indirizza anche la politica che cerca di proporsi con intenti progressivi (vedi Obama). Non a caso il problema delle lobby è ormai al centro di ogni tema politico che interessi qualsiasi settore della politica economica. Le stesse carte costituzionali sbilanciate in senso pacifista - come quella italiana - vengono calpestate e aggirate dalla comunità sovranazionale che ricrea un ordine dal quale è difficile scappare.

Tuttavia, l'obiettivo finale del dominio militare - a prescindere dalle questioni geopolitiche che inevitabilmente s'innescano (come per la II guerra mondiale) - resta finalizzato alla riproduzione del Capitale e allo stimolo della domanda aggregata. Per mantenere l'oligarchia al potere è quindi poco desiderabile un imponente intervento pubblico nel campo “civile” (scuola-sanità-lavoro), l'unico intervento pubblico desiderabile permane quello nel campo “militare”, ed è dimostrato dalle attuali politiche neoliberiste: austeritarie in ogni campo della spesa pubblica, salvo che in quello militare. Il fine ultimo di questa politica resta dunque quello dell'autoriproduzione dello sfruttamento di classe interno.

Riprendendo gli Scritti Corsari, non si possono non sposare le parole di Pasolini: “Non è affatto vero che io non credo nel progresso, io credo nel progresso. Non credo nello sviluppo. E nella fattispecie in questo sviluppo”. L'intellettuale spiegava come il concetto di “sviluppo” avesse subito un riscrittura ideologica“di destra”, fatta dagli “industriali”, per produrre “beni superflui”, al quale contrapponeva “il progresso” voluto da “coloro che non hanno interessi immediati da soddisfare”(Saggi sulla politica e sulla società - Scritti corsari).
E' evidente dunque che più continueremo su questa via di “sviluppo” più ammazzeremo il “progresso” e dietro ad esso tutti i suoi materiali realizzatori, ovvero: le classi subalterne.

Alex Marsaglia

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