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ITALIAni BRUCIAno

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(21 Agosto 2012) Enzo Apicella

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OM E BRIDGESTONE: IL COPIONE È SEMPRE LO STESSO

(25 Maggio 2013)

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Il copione è sempre lo stesso, in tutte le fabbriche, a Bari e altrove.

Il padrone dichiara la crisi dell’azienda o decide di chiuderla subito. Il costo ricade su noi operai: cassintegrati o licenziati, alla fame.

I sindacalisti chiedono tavoli di confronto, organizzano qualche viaggio a Roma o processione di protesta, ci invitano a stare buoni, poi firmano un accordo di ristrutturazione o messa in cassa integrazione, presentandocelo come una conquista.

I politicanti ci invitano a stare buoni e invocano gli ammortizzatori sociali, lo stato ci mette qualche euro e finisce là.

Se la fabbrica chiude, andiamo tutti in mezzo alla strada. Se la fabbrica non chiude, una parte di noi va comunque in mezzo alla strada e quelli che rimangono lavorano il doppio per gli stessi soldi e con meno diritti di prima.

Questo sta accadendo anche alla Om e alla Bridgestone di Bari.

Alla Om, dopo la decisione della Kion di chiudere la fabbrica, per gli operai si è aperto da due anni il solito copione di tavoli di trattative per mendicare il mantenimento del posto di lavoro. Una catena di illusorie proposte, fino all’ultima promessa dell’inglese Frazer di produrre taxi elettrici, secondo un accordo che non conserva scatti e livelli maturati finora dagli operai. Oggi quell’accordo, portato a esempio agli operai della Bridgestone, pare sfumato! E la Kion chiama poliziotti e carabinieri per buttare all’aria il presidio operaio e far uscire i macchinari.

Alla Bridgestone è iniziato da mesi lo stesso copione dei tavoli concertativi chiesti da politicanti e sindacalisti. I padroni giapponesi non fanno più abbastanza profitti a Bari, perciò vogliono chiudere o imporre una pesante ristrutturazione. Per gli operai una continua tribolazione da un tavolo all’altro, da una riunione all’altra, da un viaggio all’altro.

Nel 2009, in una fabbrica storica di Milano, l’INNSE, si fece in modo diverso.

Il padrone voleva chiudere la fabbrica. I sindacalisti volevano firmare l’accordo sulla dismissione e sugli ammortizzatori sociali. Gli operai decisero di non andare a casa. Individuarono il nemico. Formarono un esercito organizzato. Si diedero una strategia.

Occuparono un edificio all’entrata della fabbrica e costruirono un rifugio per resistere. Ostacolarono lo smantellamento degli impianti. Non si mossero di lì per 18 mesi. Alla fine, sostenuto da centinaia di poliziotti, il padrone cercò di smontare e portare via gli impianti. Mentre la massa degli operai dell’INNSE premeva sulla polizia, quattro di loro salirono su un carro ponte a 20 metri da terra al centro della fabbrica. Rimasero là fino alla vittoria finale. Nell’agosto 2009 la storia di “quelli dell’INNSE” fu su televisioni e giornali. Era un brutto esempio! Altre fabbriche stavano chiudendo. Altri operai potevano fare la stessa cosa. Padroni, politici e sindacalisti si affrettarono a chiudere la questione. Fu individuato un imprenditore che rilevò la fabbrica. Ancora oggi all’INNSE si continua a lavorare.

La lotta dell’INNSE è un esempio da seguire. Basta con la cassa integrazione, la mobilità, i licenziamenti. Basta con le continue prese in giro dei tavoli di trattative.

Associazione per la Liberazione degli Operai-Sez. Bari

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