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Fumo di Londra

(28 Maggio 2013)

fumlondr

Lunedì 27 Maggio 2013 23:00

Come quasi sempre accaduto all’indomani dei principali atti di “terrorismo” portati a termine o sventati nell’ultimo decennio in Occidente, anche i due accusati del recente orribile assassinio di un militare britannico in una strada di Woolwich, a sud-est di Londra, erano da tempo noti alle autorità del Regno Unito per i loro legami con il fondamentalismo islamico.

Il 28enne di origine nigeriana Michael Adebolajo, ad esempio, dopo essere stato tenuto sotto osservazione in Inghilterra per le sue campagne a favore dell’integralismo jihadista, era stato arrestato nel 2010 in Kenya con l’accusa di volersi unire al gruppo terrorista somalo affiliato ad Al-Qaeda, Al-Shabab. Dopo varie torture e un’apparizione in un tribunale di Mombasa, Adebolajo era stato deportato in Gran Bretagna, dove, secondo quanto rivelato in un’intervista al programma della BBC Newsnight da un amico di quest’ultimo, era stato avvicinato da agenti dell’MI5 in un tentativo di reclutarlo come informatore.

Secondo quanto riportato dal Guardian, inoltre, lo scorso anno Adebolajo aveva addirittura contattato un legale per porre fine alle molestie dei servizi segreti britannici nei suoi confronti. L’amico di infanzia di Adebolajo, Abu Nusaybah, dopo le sue rivelazioni è stato invece arrestato negli studi della BBC, ufficialmente per motivi non legati ai fatti di Woolwich ma per il suo coinvolgimento nel gruppo estremista Al-Muhajiroun, messo da tempo fuori legge dal governo di Londra e attorno al quale gravitava lo stesso Adebolajo.

Anche prima del suo viaggio in Kenya, in ogni caso, Adebolajo era stato toccato, sia pure marginalmente, da varie indagini dell’anti-terrorismo britannico, in particolare dopo la sua conversione dal cristianesimo all’Islam nel 2003, lo stesso anno dell’invasione illegale dell’Iraq da parte di Gran Bretagna e Stati Uniti che avrebbe scatenato un lungo periodo di violenza settaria nel paese mediorientale e una campagna anti-musulmana sul fronte domestico.

Il complice di Adebolajo, il 22enne Michael Adebolawe, era anch’esso finito sotto il radar della polizia britannica dopo essere passato attraverso un processo di radicalizzazione in seguito ad un’aggressione razzista subita alcuni anni fa.

Tutti questi sviluppi hanno costretto le autorità della Gran Bretagna a negare la versione iniziale del cosiddetto “lone wolf”, cioè di uno o più giovani disturbati che avrebbero agito al di fuori di ogni connessione con le reti integraliste conosciute e le cui azioni erano perciò impossibili da prevedere per l’intelligence e le forze di polizia.

Queste ultime, al contrario, erano perfettamente a conoscenza della situazione personale e dei rapporti con il fondamentalismo islamico di Adebolajo e Adebolawe, i quali però, secondo la versione ufficiale, non erano stati considerati una minaccia per la Gran Bretagna. Alla luce dei livelli di paranoia che caratterizzano l’anti-terrorismo inglese, così come quello statunitense e di quasi tutti i paesi occidentali, appare però quanto meno dubbia la versione ufficiale e legittimo invece interrogarsi sulle responsabilità di agenzie governative come l’MI5 che cercano di utilizzare giovani radicalizzati per i propri discutibili fini, a volte con conseguenze disastrose.

Per quanto riguarda la Gran Bretagna, un drammatico esempio di questa ambiguità è quello di uno dei responsabili degli attentati suicidi del 7 luglio 2005 a Londra, Mohammed Sidique Khan, il quale era ben noto per i suoi legami con il terrorismo internazionale sia alla CIA che all’intelligence inglese, anche se per entrambe sembrava non rappresentare un reale pericolo.

Più recentemente, anche gli autori dell’attentato alla maratona di Boston, negli Stati Uniti, erano stati al centro di indagini dell’FBI su indicazione delle autorità russe dopo un viaggio di uno dei due in Cecenia e in Daghestan, dove il governo USA da tempo collabora in maniera clandestina con i gruppi integralisti in guerra con il Cremlino.

Pur trattandosi di un atto barbaro da condannare fermamente, l’omicidio di Woolwich affonda innegabilmente le proprie radici nella politica estera britannica dopo l’11 settembre 2001, caratterizzata da avventure imperialiste a fianco degli Stati Uniti che hanno causato milioni di morti e la totale distruzione del tessuto sociale di paesi come Iraq e Afghanistan, producendo come diretta conseguenza il radicalizzarsi di giovani musulmani che non trovano altro mezzo per manifestare la propria frustrazione.

Una politica, quella di Londra e Washington, oltretutto apparentemente schizofrenica, dal momento che quegli stessi gruppi terroristi che da oltre un decennio vengono indicati come i nemici giurati dell’Occidente e le cui azioni hanno giustificato guerre illegali, nonché un drammatico deterioramento dei diritti democratici in patria, operano di fatto come alleati in determinate circostanze.

Questo è infatti il caso di Libia e Siria, dove formazioni integraliste spesso legate ad Al-Qaeda sono state usate o continuano ad essere usate come forze d’avanguardia per promuovere gli interessi occidentali, nello specifico il cambio di regime in paesi poco disposti a piegarsi al volere dell’Occidente.

Significativamente, non molti giorni prima del feroce assassinio di Woolwich - prontamente bollato come un atto terroristico da media e politici britannici - i cosiddetti “ribelli” anti-Assad in Siria avevano diffuso un agghiacciante filmato in rete nel quale il leader di una brigata jihadista appoggiata dall’Occidente apriva il petto di un soldato dell’esercito regolare per poi divorarne il cuore davanti alla telecamera.

Nonostante tutte le perplessità del caso, infine, i fatti di Woolwich sono stati puntualmente utilizzati dalla classe politica britannica per cercare di implementare nuove misure straordinarie che assegnino poteri sempre più ampi al governo e alle forze di polizia.

Il ministro dell’Interno, Theresa May, nella giornata di domenica ha così manifestato la volontà di riproporre una bozza di legge nota come “Snooper’s Charter”, già proposta nei mesi scorsi e successivamente ritirata a causa della massiccia opposizione della società civile e dello stesso partner di governo dei conservatori, il leader dei liberal-democratici e vice-primo ministro Nick Clegg.

Questo provvedimento, tra l’altro, consentirebbe alle forze di polizia e ai servizi segreti di accedere pressoché indiscriminatamente alle informazioni e ai dati raccolti dai provider di servizi internet, inclusi i dettagli sui siti visitati dagli utenti e i messaggi scambiati sui social network.

Ben lontano anche solo dal considerare una qualche autocritica, ciò che il premier David Cameron - partito questa settimana per una lussuosa vacanza a Ibiza - intende preparare dopo l’assassinio della scorsa settimana è dunque una nuova pericolosa invasione della privacy, anche se, come dimostrano le rivelazioni emerse negli ultimi giorni, la vera minaccia continua ad arrivare dalla condotta dello stesso governo o da elementi radicali già noti alle autorità anche senza il ricorso a misure anti-democratiche come il monitoraggio delle comunicazioni elettroniche dei cittadini britannici.

Mario Lombardo - Altrenotizie

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