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Pakistan: i droni di Obama

(31 Maggio 2013)

taliban

Giovedì 30 Maggio 23.00

Nella primissima mattinata di mercoledì, gli Stati Uniti hanno lanciato un bombardamento in una località del Waziristan del Nord che ha assassinato il numero due dei talebani attivi nel paese centro-asiatico e almeno altre quattro persone. L’operazione condotta dalla CIA, che ha interrotto un periodo relativamente lungo senza incursioni di droni in territorio pakistano, rappresenta con ogni probabilità un messaggio lanciato da Washington al Primo Ministro entrante, Nawaz Sharif, e contraddice la promessa fatta la settimana scorsa dal presidente Obama di porre un freno alla valanga di eccessi e illegalità messe in atto in oltre un decennio di “guerra al terrore”.

La vittima più illustre del blitz americano di questa settimana è Wali ur-Rehman, il secondo in comando della coalizione di gruppi militanti integralisti Tehrik-i-Taliban Pakistan (TTP), più comunemente conosciuti come Talebani Pakistani, operanti nelle Aree Tribali al confine con l’Afghanistan.

Secondo le testimonianze riportate dai media occidentali, attorno alle tre del mattino di mercoledì alcuni missili sono caduti su un’abitazione alla periferia di Miranshah, la principale città del Waziristan del Nord, uccidendo, oltre a Rehman, due jihadisti uzbeki e ferendo almeno tre bambini.

La morte di Rehman è stata inizialmente confermata dalle autorità pakistane e solo giovedì dal portavoce ufficiale di TTP, Ehsanullah Ehsan. Sulla testa di Rehman era stata messa una taglia di 5 milioni di dollari dagli Stati Uniti, i quali lo accusavano di avere organizzato svariati attacchi contro le forze di occupazione americane in Afghanistan e di essere coinvolto nell’attentato suicida commesso da un doppio agente giordano nel dicembre 2009 che uccise sette dipendenti della CIA in una base della provincia di Khost, al confine con il Pakistan.

Soprattutto, però, Rehman era considerato relativamente moderato rispetto al leader dei Talebani Pakistani e suo diretto superiore, Hakimullah Mehsud. La sua morte, perciò, potrebbe rendere ancora più improbabile l’avvio di un già complicatissimo processo di riconciliazione con il governo civile di Islamabad.

Nei commenti pubblicati in questi giorni dai giornali americani, Rehman viene definito come un militante in grado di risolvere pacificamente le dispute tra le varie fazioni jihadiste, nonché contrario agli attacchi indiscriminati contro i civili spesso portati a termine dai Talebani. Inoltre, lo stesso comandante sembrava avere legami con svariati partiti religiosi pakistani che si erano offerti di mediare tra il governo e i Talebani.

Una qualche speranza di trovare un’intesa per far diminuire il livello di violenza in Pakistan era emersa in seguito al successo nelle elezioni dell’11 maggio scorso della Lega Musulmana del Pakistan-N (PML-N) di Nawaz Sharif, il quale in campagna elettorale aveva più volte criticato l’uso dei droni nel proprio paese da parte degli Stati Uniti e lasciato intravedere la volontà di aprire un dialogo proprio con Tehrik-i-Taliban.

All’inizio della scorsa settimana, ad esempio, il premier in pectore aveva ribadito pubblicamente la necessità di perseguire un processo di pace “per il progresso e lo sviluppo del paese”, aggiungendo che il suo governo si adopererà per “il dialogo, rispondendo all’offerta di pace dei Talebani”.

In una dichiarazione rilasciata giovedì al quotidiano pakistano The Express Tribune, il portavoce di TTP ha però inevitabilmente annunciato che la sua organizzazione intende ritirare l’offerta di dialogo fatta al nuovo governo. Ehsan, inoltre, ha attribuito l’intera responsabilità degli attacchi con i droni nelle Aree Tribali all’esecutivo di Islamabad, colpevole di passare agli americani informazioni cruciali per localizzare i militanti.

L’assassinio di Rehman da parte degli americani, perciò, sembra assestare un colpo mortale alle già esili prospettive di pace che avrebbero potuto teoricamente determinare una limitazione delle attività “anti-terroristiche” americane in territorio pakistano.

Dal momento che Nawaz sta per ultimare le trattative attorno alla formazione del suo prossimo governo, l’incursione con i droni della CIA di mercoledì può dunque essere considerata come un messaggio preliminare lanciato da Washington a Islamabad a non abbassare la guardia nella lotta all’integralismo islamico in Pakistan, ovvero a non deviare dalla strada percorsa dal precedente gabinetto, fedele esecutore delle politiche statunitensi nonostante la diffusa ostilità della popolazione.

Il ritorno dei droni nei cieli del Pakistan questa settimana, come anticipato in precedenza, giunge poi a pochi giorni di distanza da un importante quanto contraddittorio discorso tenuto da Obama presso la National Defense University di Washington. Nel suo intervento di giovedì scorso, l’inquilino della Casa Bianca aveva in sostanza ammesso la totale illegalità dei metodi più discussi utilizzati dagli Stati Uniti, compresa la sua amministrazione, nell’ambito della “guerra al terrore”.

Esprimendo le inquietudini di alcune sezioni della classe dirigente d’oltreoceano, preoccupate per il venir meno della legittimità di un sistema di potere che ha ormai istituzionalizzato il ricorso a metodi di governo profondamente antidemocratici, Obama si era perciò impegnato a modificare, tra l’altro, la gestione del programma “anti-terrorismo” basato sull’impiego dei droni.

In particolare, il presidente democratico aveva annunciato una revisione di questo stesso programma, così da renderlo più trasparente, sottraendolo in alcuni casi alla CIA - incaricata delle incursioni in Pakistan - per assegnarne la completa responsabilità al Dipartimento della Difesa.

Sia pure limitata e del tutto inadeguata a mettere fine ad un programma palesemente illegale, questa presunta svolta prospettata da Obama è apparsa da subito poco più che una farsa. Infatti, come ha spiegato giovedì il New York Times, “fin dai giorni successivi al discorso del presidente, membri della sua amministrazione hanno chiarito dietro le quinte che i nuovi standard [per la gestione della campagna con i droni] non sarebbero stati applicati al programma condotto dalla CIA in Pakistan”, almeno “fino a quando le truppe americane rimarranno in Afghanistan”.

Questa eccezione per “il teatro di guerra afgano” - all’interno del quale, per gli USA, rientra anche il Pakistan - è stata alla fine confermata dall’incursione di mercoledì che ha eliminato il numero due dei Talebani Pakistani.

Nonostante le promesse di maggiore trasparenza e l’affermazione inequivocabile fatta da Obama circa l’incompatibilità con la democrazia degli assassini con i droni, gli Stati Uniti hanno così già chiarito che questa campagna di morte illegale nel territorio di un paese sovrano continuerà ancora a lungo.

Secondo alcune stime, la CIA ha condotto più di 360 attacchi con i droni in Pakistan a partire dal 2004, uccidendo migliaia di civili innocenti, considerati nient’altro che “danni collaterali” di assassini mirati di semplici militanti o, in misura decisamente minore, di esponenti di spicco delle formazioni jihadiste attive al confine con l’Afghanistan.

Come ha messo in luce un rapporto di qualche mese fa delle università di New York e Stanford, la campagna con i droni in Pakistan non causa soltanto un numero altissimo di morti tra i civili ma ha ormai trasformato la vita dei residenti delle zone colpite in un vero e proprio incubo. Qui, infatti, adulti e bambini vivono in uno stato di perenne terrore, con “la consapevolezza di essere totalmente indifesi” di fronte ad un attacco dal cielo che potrebbe giungere in qualsiasi momento.

Mario Lombardo - Altrenotizie

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