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Cinque buone azioni per Obama

(5 Giugno 2013)

cinquazob

Mercoledì 05 Giugno 2013 00:00


Almeno una volta, nella vita, ognuno di noi si chiede cosa può fare per migliorare il suo paese, proteggere le persone e le cose, difenderne la sovranità e la sua autodeterminazione. A Cuba questo pensiero per molti e di diverse generazioni, è pensiero quotidiano. Perché Cuba, oltre ad essere paese assolutamente diverso da altri, oltre a rappresentare un modello di società dove il mercato obbedisce alle persone, i politici agli elettori e le banche alla politica, è meta ossessiva dei suoi nemici.

E più i suoi nemici odiano, progettano morti e distruzione, sognano vendette e cospirano per terrorizzare, più gli uomini e le donne dell’isola socialista devono lavorare, pensare, immaginare, lavorare e cospirare per difendere il loro paese e la loro gente.

S’ inserisce semplicemente in questo quadro storico la vicenda scandalosa dell’arresto e della condanna a pene assurde - tanto relativamente alle accuse (mai provate) quanto in assoluto nel rapporto tra reato e pena prevista dai codici statunitensi - di Gerardo Hernandez, Ramon Labanino, Antonio Guerrero, Fernando Gonzalez e Renè Gonzalez, diventati prigionieri dell’impero nel 1998.

I cinque erano e sono patrioti. Persone che dovettero rinunciare ad una vita nel loro contesto naturale, lasciare il loro paese e andare a vivere negli Stati Uniti per portare a compimento il loro lavoro: la difesa di Cuba. Negli Stati Uniti Gerardo, Ramon, Antonio, Fernando e Renè hanno svolto la missione che gli era stata assegnata: infiltrarsi nelle organizzazioni terroristiche e mafiose dei fuoriusciti cubani in Florida, carpirne i segreti e i piani terroristici per allertate L’Avana e smontare i piani del terrore.

I cinque cubani detenuti e condannati negli Usa sono innocenti dei reati di cospirazione e di complicità in omicidio. Non hanno commesso nessun reato in violazione della sicurezza nazionale degli Usa, mentre hanno messo Cuba nella condizione di potersi difendere dagli attacchi terroristici che da Miami venivano e vengono finanziati, organizzati e realizzati. I cinque hanno svolto il loro compito smascherando prima ed indicando poi al loro Paese, gli autori, le date, i modi, i mezzi, gli obiettivi e le complicità con i quali il terrorismo made in Usa colpisce l’isola caraìbica da decenni.

Hanno svolto, insomma, il compito proprio di qualunque agente di qualunque servizio di qualunque paese: la difesa della sua integrità territoriale e dell’incolumità dei suoi cittadini, del suo gruppo dirigente e dei suoi obiettivi sensibili; il compito cioè, che ogni persona addetta alla sicurezza del proprio paese, indipendentemente da dove si trovi, è chiamato a svolgere. Un lavoro necessario, vista l’infame continuità della storia di attentati che le organizzazioni terroristiche hanno progettato e realizzato contro l’isola. Un triste computo, che nessuno si pregia di ricordare per non disturbare il manovratore statunitense.

La storia non prevede quasi mai letture univoche, ma in alcuni casi, e tra questi Cuba, parla chiaro. Da 54 anni una superpotenza aggredisce una piccolissima isola con un blocco economico, commerciale, politico e diplomatico, cui si aggiunge l’iniziativa di tipo militare. Il governo più potente al mondo realizza la politica nell’emisfero sotto la dettatura di organizzazioni terroristiche cubano-americane. Queste, con l’aiuto, il denaro e la copertura delle agenzie statunitensi, non solo si addestrano indisturbate ad azioni armate nella Florida, ma organizzano attentati nell’isola e fuori.

Il menù che il terrorismo cubano-americano, finanziato e organizzato dalla CIA nel quadro della sua politica criminale contro Cuba, ha fornito ogni tipo d’ingrediente: un’invasione mercenaria, stragi con bombe sugli aerei e negli hotel, attentati a strutture economiche, assassini mirati di dirigenti cubani e sequestri di aerei e navi, spargimento di agenti chimici letali nelle colture agricole, diffusione di virus tra la popolazione.

Esagerazioni? Dal 1959 al 2001 Cuba ha subito un’invasione (fallita), 3478 morti, 2099 feriti, 294 tentativi di dirottamenti marittimi ed aerei, 697 atti terroristici, 600 tentativi di assassinio di Fidel Castro, quasi 2000 miliardi di dollari di danni diretti e dimostrati procurati all’economia dell’isola. Non era pensabile né giusto che Cuba non cercasse di difendersi.

Ed essendo a Miami che si pianificano e si organizzano le azioni terroristiche contro Cuba è quindi a Miami che l’attività del controspionaggio cubano aveva deciso di operare. Il lavoro dei cinque agenti cubani ha evitato 44 attentati nell’isola e smascherato le attività, le complicità ed i legami tra i terroristi cubano-americani e le strutture federali e statali governative.

Il governo cubano, nel tentativo di operare concretamente per la riapertura di un dialogo diretto tra Washington e L’Avana senza dover passare per Miami, offrì a Clinton, attraverso Gabriel Garcia Marquez, documentazione, prove inoppugnabili sull’operato delle organizzazioni terroristiche che agiscono in Florida. L’Avana riteneva che in qualche modo gli Usa cercassero di liberarsi anch’essi di questo ricatto lungo all’epoca quarant’anni e che la nuova frontiera americana, definita come “la guerra al terrore” dalla sua propaganda, fosse davvero un obiettivo politico della volontà di governance planetaria degli Usa.

Il risultato fu che i terroristi rimasero liberi e gli agenti dell’antiterrorismo cubano vennero arrestati. Processi farsa celebrati tra Miami e Atlanta, prove finte, rifiuto dei testi e dei documenti a discarico, rinuncia ad una sede del processo effettivamente terza, furono il piatto su cui si posarono sentenze di condanna oltre ogni immaginazione, inedite per la storia giuridica, pure piena di ombre, degli Stati Uniti.

Venne inscenato un processo politico dal quale dovevano uscire condanne esemplari, che andassero ben oltre ogni limite concepito dallo stesso codice, fino all’outing vero e proprio rappresentato dal divieto di frequentazione dei luoghi noti per essere frequentati dai terroristi dopo aver scontato due ergastoli.

Amnesty International e altre organizzazioni umanitarie si sono ripetutamente pronunciate contro i processi farsa e numerose personalità in tutto il mondo, sostenute da una incessante attività dei cubani e della solidarietà internazionale, hanno richiesto la liberazione dei detenuti, colpevoli solo di antiterrorismo e patriottismo.

Quello del terrorismo contro Cuba è un capitolo a sé stante nel libro degli orrori della politica estera statunitense. Vi si può leggere in ogni pagina una incestuosa e nauseabonda comunanza d’interessi tra i fedeli e i nostalgici di Batista, cui si è aggiunta nel corso dei decenni una marmaglia indistinta di mercenari, e gli obiettivi di politica regionale di Washington, che delega appunto la parte più sporca del lavoro alle bande terroristiche allocate in Florida. Non è un segreto che il governo degli Stati Uniti incoraggia - o perlomeno permette - le attività terroristiche delle organizzazioni criminali anticubane coordinate dalla FNCA della Florida.

La fondazione, che vide la sua nascita sotto la presidenza Reagan, è legata a triplice filo con la famiglia Bush e gode di aiuti economici e coperture legali, sostegno politico e favore di ogni normativa relazionata con Cuba. Dal blocco economico fino alla “legge del piede bagnato”, dalla legge Torricelli alla Helms-Burton, i gusanos sono l’interlocutore unico, addirittura il referente della politica statunitense nell’area.

In cambio, la rete della mafia cubano-americana s’incarica di offrire manovalanza criminale alle “covert actions” della CIA in America Latina e di dare sostegno elettorale ai candidati dei due schieramenti in Florida (Stato chiave per eleggere il Presidente USA). Ovvio, con una naturale preferenza verso i repubblicani, ma senza disdegnare i democratici che scendono a patto con loro. Non hanno problemi di schieramento alla FNCA: quale che sia il partito del candidato, l’importante è che s’impegni a conservare il dominio territoriale, le norme di favore, il sostegno alla formazione paramilitare dei loro aderenti, i finanziamenti pubblici e l’appoggio politico al terrorismo anticubano, core business della FNCA, mano d’opera fondamentale dell’agenzia con sede a Langley.

In questo binomio d’interessi sporchi, s’inseriscono leggi e norme costruite appositamente per permettere alla mafia cubana di prosperare finanziariamente sull’ostilità statunitense contro l’isola socialista. L’immigrazione clandestina dei cubani, che diversamente da ogni altro emigrato del mondo per il solo fatto di toccare con i piedi il suolo statunitense ottengono residenza e cittadinanza, permette uno dei business migliori per i gusanos, quello che deriva dal ruolo di scafisti. Che se operano nel Mediterraneo sono volgari banditi, ma nel Mar dei Caraibi diventano combattenti per la libertà.

Quindici anni dopo loro arresto, la battaglia per liberarli si va intensificando. Renè Gonzales, detentore della condanna minore (15 anni!!) è ormai libero. Tornato a Cuba per la morte del padre, ha ottenuto dal tribunale di Miami la possibilità di restarvi per sempre in cambio della rinuncia alla nazionalità statunitense. Ne restano ancora quattro tra gli artigli dell’impero e il loro definitivo rilascio è questione ormai solo politica, essendosi esaurito il percorso giuridico della loro vicenda. A Cuba, invece, si trova agli arresti Alan Gross, cittadino statunitense, di professione spia, che per conto di organismiUSA consegnava materiali e denaro alla rete interna di mercenari americani che parlano cubano, meglio conosciuti come “dissidenti”.

I casi siano molto diversi, dal momento che i cinque cubani difendevano il loro paese dal terrore che parte dalla Florida, mentre mai da Cuba nessun attacco è mai partito all’indirizzo di Miami. I cinque non avevano nessun interesse a spiare uomini e istituzioni statunitensi, non era quella la loro missione, non era quello il loro interesse; loro infiltravano le bande terroriste per sventarne i piani. Alan Gross, invece, contribuiva alla costruzione di un fronte interno sovversivo a Cuba, in parte clandestinamente e in parte pubblicamente; dunque agiva contro gli interessi e la sovranità nazionale del paese nel quale era ospite, appunto come una perfetta spia. Arrestato e condannato, si trova in ospedale dove riceve cure ed attenzioni, oltre che visite, che ai cinque cubani prigionieri negli Usa sono drasticamente negate, vittime ancora oggi di un regime carcerario durissimo che impedisce persino le cure e il contatto facilitato con i parenti.

Benché i casi siano completamente diversi, Cuba si è detta pronta ad una iniziativa umanitaria reciproca che porti ad uno scambio di prigionieri, ma gli Stati Uniti non sembrano voler accettare. Ovviamente non si tratta di riconoscimento della legittimità della procedura di scambio di prigionieri, dal momento che dagli USA è stata regolarmente praticata in lungo e largo per il mondo anche nei decenni recenti. Si tratta forse di non inimicarsi la comunità terroristico-mafiosa di Miami, già in passato capace di dimostrare come non approvi anche minimi segnali di mutamento di rotta dalla guerra aperta verso il dialogo da parte di Washington verso L’Avana.

Oggi, in ogni parte del mondo, come ogni cinque di ogni mese e di ogni anno e fino a quando sarà necessario, i difensori dei giusti saranno in piazza contro l’ingiustizia. Per protestare contro la prosecuzione della carcerazione di uomini per il cui operato si può andare orgogliosi.

Il premio Nobel Obama ha la possibilità di assegnare il perdono presidenziale ai quattro detenuti cubani e permettergli di tornare a Cuba dai loro cari. Non serve una riflessione lacerante: non un morto né un ferito statunitense è stato vittima del loro operato, nessun segreto militare statunitense è stato violato, nessun atto violento è stato commesso.

Non c’è nemmeno una ragione, almeno tra quelle rivendicabili pubblicamente, che può impedire il perdono presidenziale, in passato concesso a noti terroristi, tra cui Orlando Bosh, criminale cubano americano autore materiale di decine di attentati tra i quali l’esplosione in volo dell’aereo della Cubana de Aviacìòn sui cieli delle Barbados costato 73 morti. La mano di Bush non ha tremato mentre firmava il perdono all’assassino, perché quella di Obama dovrebbe tremare davanti a persone innocenti di ogni crimine?

La strada per Obama quindi c’è: ripari con il perdono presidenziale al torto giudiziario, reagisca con la clemenza alla vergogna di un paese che ha voluto tutelare i terroristi e imprigionare gli antiterroristi. Una firma giusta che potrebbe rispondere alle domande che tutti si pongono quando analizzano il rapporto USA-Cuba: per quanto tempo una comunità criminale su base locale dovrà dettare la politica estera regionale dell’unica superpotenza planetaria? Per quanto tempo terrore e odio dovranno rappresentare l’alfa e l’omega della relazione di Washington con L’Avana?

Fabrizio Casari - Altrenotizie

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