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(2 Maggio 2012) Enzo Apicella
A Torino contestato Piero Fassino al corteo del primo maggio. La polizia interviene con una carica pesante e immotivata.

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Da Milano a Bologna a Napoli la repressione contro studenti e lavoratori

(11 Giugno 2013)

bolognapolizei

Bologna, gli studenti rispondono e mettono in fuga la polizia

Cambiano i governi, cambiano i ministri, ma gli attacchi delle istituzioni ai danni degli spazi occupati e autogestiti non cessano di farsi sentire, sulla pelle di tanti studenti e studentesse, ma anche lavoratori precari, che dal nord al sud del nostro Paese mettono in piedi progetti di gestione alternativi degli spazi. Se quest'anno era cominciato all'insegna dello sgombero del Bartleby a Bologna e degli attacchi al Guernica di Modena, senza dimenticare l'eclatante sgombero del Teatro Pinelli di Messina, nell'ultimo mese abbiamo assistito ad una recrudescenza della repressione, con un susseguirsi di sgomberi violenti, provocazioni e cariche brutali della polizia. Milano, Napoli, ancora Milano, poi Bologna, e non è ancora finita. Come Giovani di Alternativa Comunista, partecipi dei movimenti di lotta e di occupazione che si sviluppano contro questo modello economico e sociale, riteniamo doveroso mettere in luce la sistematica repressione avutasi nell'ultimo mese, rappresentando, senza nessuno scrupolo verso il “politically correct”, la grave sospensione dei diritti democratici attuata sistematicamente dalle istituzioni borghesi di ogni livello.


Milano: sgomberi della Libreria Ex-Cuem e del centro sociale Zam

Lunedì 6 maggio, al mattino, gli studenti e le studentesse della libreria ex-Cuem, Università Statale, trovavano lo spazio occupato completamente devastato: pavimenti divelti, muri abbattuti, bacheche distrutte per ordine del rettore Vago. La libreria ex-Cuem era stata da molto tempo abbandonata e in disuso fino a quando un gruppo di studenti non decideva di rivitalizzarla, trasformandola in un luogo di discussione e di lotta. Immediata la reazione dei ragazzi che occupavano un'altra aula universitaria protestando contro lo sgombero senza preavviso. A questo punto giungevano sul posto le forze del disordine, che hanno caricato violentemente il gruppo di occupanti per tutto il pomeriggio, irrompendo nell'università. Ma i ragazzi resistevano e respingevano le cariche.

Il giorno dopo centinaia di studenti e studentesse scendevano in strada per un corteo diretto alla facoltà di Scienze politiche, e a seguito di un'assemblea di denuncia del pesantissimo intervento repressivo, tornavano a occupare la ex-libreria, cominciando a riarredarla dopo il devastamento poliziesco ordinato dal rettore. Lo stesso rettore che in quella giornata chiedeva agli occupanti di “tornare nell'ambito della legalità”, riferendosi evidentemente alla legalità dell'accettazione passiva dell'ordine imposto o, in alternativa, ai colpi di manganello. La medesima “legalità” di cui più volte si è fatto portavoce lo “sceriffo arancione” Pisapia che, di contro alle aspettative “rivoluzionarie” destate in alcuni al momento della sua elezione a sindaco di Milano (anche per la responsabilità di chi a sinistra ed estrema sinistra lo ha legittimato), ha mostrato nei fatti la sua chiara scelta di campo: il campo dell'ordine costituito, il campo della “legalità” al sapore di lacrimogeno, dunque il campo della repressione di ogni pratica di riappropriazione degli spazi. Una scelta confermata appena due settimane dopo, il 22 maggio, quando la polizia ha sgomberato brutalmente il centro sociale Zam: cinque camionette della polizia e dei carabinieri e una cinquantina di agenti in assetto antsommossa, accompagnati da circa una ventina di uomini della Digos, si presentavano quella mattina in via Olgiati per sgomberare il centro sociale Zam (Zona Autonoma Milano), nato in un palazzo abbandonato alla periferia sud di Milano due anni fa. In questi due anni si sono organizzati centinaia di concerti, un film festival, due laboratori di hip-hop e teatro e una palestra con oltre 150 frequentatori. Uno spazio di socialità, uno spazio autogestito, uno spazio che ha resistito per tutto quel pomeriggio alle cariche della polizia, erigendo le barricate con tavoli e sedie, fino a quando non è partito un corteo diretto a Palazzo Marino, sede del Comune, accolto anche questo a suon di manganellate per impedire ai ragazzi di fare irruzione. La rabbia era diretta in particolare contro Pisapia, il quale aveva promesso più spazi nella sua “rivoluzionaria” campagna elettorale. Ma questo non si è smentito, prima appellandosi per risolvere i problemi “nell'ambito della legalità”, poi ricordando che gli spazi si ottengono solo mediante la partecipazione a “bandi di concorso” che neutralizzerebbero il potenziale conflittuale nella burocrazia dell'amministrazione comunale. In ogni caso gli occupanti non ci sono cascati e il giorno seguente organizzavano un corteo di centinaia di partecipanti, provenienti da Milano ma anche da altre città italiane, che convergevano su via Santa Croce dove occupavano un nuovo edificio. Si tratta di una ex scuola di proprietà comunale, dove subito veniva convocata un'assemblea e partivano i lavori di ristrutturazione di contro alle numerose intimidazioni dell'amministrazione comunale che “invitava” i ragazzi a lasciare lo stabile per via... della struttura pericolante!

In ogni caso il nuovo Zam ha appena cominciato a muovere i suoi primi passi e noi Giovani di Alternativa Comunista esprimiamo la massima solidarietà nei confronti della lotta coraggiosa e solitaria portata avanti da questi ragazzi contro le camicie arancio-brune di Pisapia. La battaglia continua...


Napoli: ex-Lido Pola resiste!

Di arancione in arancione, anche la giunta De Magistris, l'altro “rivoluzionario” delle amministrative 2011, conferma la sua naturale predisposizione alla legalità repressiva (o alla repressione legale!). La stessa mattina in cui lo Zam veniva sgomberato, a Napoli scattava una provocazione a tutti gli effetti nei confronti della nuova occupazione ex Lido Pola a Coroglio, su litorale di Bagnoli. Alcuni rappresentanti del Demanio e la Guardia di Finanza si presentavano minacciando di sgombero lo spazio che per oltre 20 anni loro stessi hanno lasciato vuoto, in completo stato di abbandono e di degrado. Una minaccia accompagnata da una promessa. In una città come quella di Napoli, dove soprattutto alcune zone sono da anni oggetto di speculazione da parte dell'amministrazione locale impegnata nella svendita del patrimonio pubblico, studenti e precari si riappropriano di spazi per restituirli alla città e farli rivivere con diverse attività, mentre c'è dall'altra parte chi continua a sgomberare. La giornata del 22 maggio, da Milano a Napoli, ha dimostrato la furia cieca, quella degli arancioni, che si scatena sugli spazi liberati, per non dimenticare ancora una volta che i responsabili hanno sempre un nome.


Bologna: riprendiamoci Piazza Verdi!

Il giorno dopo, giovedì 23 maggio, la repressione si scatenava anche a Bologna (altra città in cui governa una giunta di centrosinistra sostenuta da Sel e Rifondazione). In Piazza Verdi, i militanti del Cua (Collettivo Universitario Autonomo), avevano organizzato un'assemblea pubblica in solidarietà ai lavoratori della Sodexo. La polizia, venti agenti in tenuta antisommossa, arrivava in piazza e iniziava ad avanzare contro i ragazzi e le ragazze che, di tutta risposta, lanciavano bottiglie e poi sedie cercando di difendersi dalle cariche. Quattro giorni dopo, lunedì 27, sempre il Cua organizzava un'assemblea di analisi dei fatti di giovedì in piazza Verdi. Presenti anche i Giovani di Alternativa Comunista. Ma lo schieramento della polizia ha cercato di impedire l'ingresso nella piazza intimando agli studenti di allontanarsi. A questo punto inizia la battaglia e ci permettiamo di citare la cronaca di InfoAut, che rappresenta quanto avvenuto quel giorno in piazza: “Passano decine di minuti e mentre arriva mezza questura in piazza Verdi con altri celerini schierati, il numero dei manifestanti aumenta. Le guardie non cedono, sono determinate a reprimere la piazza, ma in risposta la determinazione degli studenti e delle studentesse aumenta. I cordoni premono sui celerini, le prime manganellate colpiscono le teste, e le scudate si alzano per tagliare le braccia e i colli. Ma nessuno indietreggia. "Assemblea, assemblea!", e si spinge in avanti ancora, non curanti delle mazzate, "piazza Verdi è nostra!", e anche gli studenti che ai lati erano rimasti a guardare rispondono agli slogan e si avvicinano alle guardie, che fanno i primi passi indietro. Ma le cariche, schizofreniche si ripetono: due, tre, quattro, cinque. I manifestanti vanno avanti e i carabinieri e la celere indietreggiano, indietreggiano e poi di corsa si danno alla fuga: "carica!" grida la piazza, mentre le guardie in fuga raggiungono le camionette a Largo Respighi e vi si rifugiano. "Abbiamo vinto!", e questa volta per davvero!”.

Un ritratto fedele non solo dal punto di vista descrittivo ma anche nel rappresentare le emozioni che in quella occasione hanno attraversato la piazza. Piazza che è tornata a riempirsi martedì 4 giugno (mentre in Turchia si sviluppava il Movimento di Gezi Park), quando sempre il Cua ha indetto un corteo per protestare contro la repressione e che ha visto partecipare un paio di centinaia di ragazzi affiancati dai lavoratori delle cooperative della logistica, da mesi in lotta contro i padroni e la polizia. A

nche questa volta i Giovani di Alternativa Comunista di Bologna erano presenti per portare la solidarietà militante ai tanti attivisti che si sono mobilitati a difesa dei diritti di espressione e di manifestazione. Eppure non possiamo fare a meno di criticare la gestione del conflitto messa in pratica dal Cua: anche questa volta, come in tante altre occasioni, la pratica del conflitto, seppure coraggiosa e ostinata, è stata indebolita da una evidente disorganizzazione, dalla spettacolarità dell'azione in luogo di una lotta ragionata, dall'estetica dello scontro come surrogato di una vacuità paradossale in termini di parole d'ordine e rivendicazioni programmatiche. Una prassi purtroppo molto comune all'interno dei centri sociali in generale, e nell'autonomia bolognese in particolare, affetta da quello che Slavoj Zizek definisce il “narcisismo della lotta”: quando il conflitto diventa un fine in sé, e coloro che lo praticano s'innamorano della propria immagine, al punto da non staccarsene più, mettendo da parte altre prospettive che non siano quella della “cacciata dello sbirro”, legandosi dunque ad una concezione della lotta che cessa di essere “pratica strategica” (Lenin) per ridursi a mera “pratica estetica”.



I Giovani di Alternativa Comunista nelle lotte

Come Giovani di Alternativa Comunista e come Pdac continueremo a combattere in prima linea contro ogni tentativo di repressione, al fianco di ogni esperienza di occupazione e autogestione, ma sempre portando avanti un programma chiaro con parole d'ordine chiare e una prospettiva strategica ben definita: la prospettiva della rivoluzione socialista e del potere ai lavoratori. Una prospettiva che non abbiamo inventato noi, ma che si è collaudata in quel grande laboratorio storico che è la lotta di classe: lotta che continua anche in Italia, aldilà di ogni repressione poliziesca, da Milano a Bologna a Napoli, e che guarda a Piazza Taksim a Istanbul, dove decine di migliaia di studenti e lavoratori stanno aprendo la strada alla rivoluzione in Europa.

Adriano Lotito (coordinatore nazionale Giovani di Alternativa Comunista)

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