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Solidarietà alla lotta del popolo turco!

(25 Giugno 2013)

Pubblichiamo qui sotto il volantino che abbiamo diffuso venerdì 21 giugno nella zona stazione a Padova durante il presidio di solidarietà con la lotta del popolo turco. Il presidio si è svolto per circa 2 ore e ha visto la partecipazione di una ventina di compagni e compagne. La musica ha intervallato vari interventi sia sui fatti di lotta e repressione che proseguono in Turchia, ma anche sui venti di guerra in Medioriente e in particolar modo contro i continui tentativi di aggressione alla Siria da parte dell’imperialismo occidentale e dei suoi servi “ribelli”. Buono l’interesse dei passanti ma in particolare dei numerosi immigrati di tutte le nazionalità che stazionano in questa zona della città, quando scoprivano il motivo della nostra presenza in strada la loro curiosità aumentava così come la facilità di confrontarsi reciprocamente.

solipopolturk

Il 28 maggio è iniziata a Istanbul, in Turchia, la lotta in difesa del parco Gezi di Piazza Taksim. Nel giro di pochi giorni una protesta contro la cementificazione di un’area verde ha portato in strada decine di migliaia di persone. La protesta ha abbracciato ben sessanta provincie, ma non a caso ha scelto Piazza Taksim come suo luogo simbolo. Questa piazza è il simbolo delle lotte operaie, è la piazza dei lavoratori da cui partono ogni anno le manifestazioni del 1 Maggio, vietate nel 2012, e anche per questo motivo aumentando la volontà delle masse popolari turche di riprendersi tale piazza.

Il popolo turco, con un determinante protagonismo dei giovani, dei lavoratori e del proletariato turco e curdo, è sceso in strada unito, stavolta senza deleghe né compromessi, non solo per impedire l’abbattimento degli alberi di Gezi Park, come i media occidentali vorrebbero farci credere. Le principali rivendicazioni dei manifestanti erano, infatti, opporsi alla partecipazione della Turchia all’aggressione imperialista alla Siria, rifiutare le manovre economiche neoliberali del governo islamico dell’AKP e infine combattere la brutalità fascista della repressione poliziesca.

Il premier fascista Erdogan, non rispettando neppure le sue stesse leggi, ha provato a fermare la lotta con i proiettili di gomma sparati ad altezza uomo, gli idranti arricchiti da sostanze chimiche, i lacrimogeni, gli arresti di massa, tra cui medici e avvocati, le torture nei commissariati, ma, sebbene almeno tre manifestanti siano morti nel corso degli scontri di piazza e centinaia siano stati i feriti e gli arrestati, la lotta non ha dato alcun segno di cedimento ma anzi si è intensificata e inasprita.


Quello che si sta giocando oggi in Turchia non è semplicemente la capacità di stabilità di un governo, ma piuttosto una ben più importante partita a scacchi dal contorno internazionale.

La Turchia, strategico avamposto NATO, ha sempre rappresentato un decisivo ponte tra l’Europa e l’Asia sia dal punto di vista economico che da quello militare, durante la Guerra fredda come bastione militare filo-americano posto alle porte dell’Unione Sovietica, oggi come trampolino di lancio alle forze militari yankee contro gli stati non allineati ai voleri americano-israeliani, i cosiddetti stati canaglia. Come nel passato è stato l’Iraq di Saddam Hussein o come ora rappresentano la Siria di Assad e l’Iran sciita, oltre che le storiche resistenze del popolo libanese e palestinese.

La leadership islamica dell’AKP rappresenta una borghesia nazionale tendente ad ampliare i propri confini e che si traduce sul piano interno nella “pacificazione” delle istanze di liberazione nazionale, in primis contro il popolo curdo, attraverso la più spietata repressione, e in una politica estera per trovare nuovi spazi di profitto e di espansione economica mirando ad un proprio protagonismo nel ricco Medioriente. Quest’obiettivo sta alla base del forte sviluppo economico turco e alla sua esponenziale crescita interna dell’ultimo decennio. Per tale ragione sono state rotte vecchie alleanze con l’Iran e la Siria, entrambe sancite da accordi economici in materia di gas naturale, per stringerne di nuove con l’Egitto del premier Morsi e l’Emiro del Qatar, esponenti dell’islam dei Fratelli Mussulmani dalle posizioni filo-americane e tendenti a egemonizzare l’area araba, anche come tampone alle rivolte delle Primavere arabe. In particolare il governo di Ankara sta avviando assieme proprio al Qatar la costruzione di un nuovo gasdotto per il rifornimento energetico dell’Anatolia, passante per l’Iraq.

Oggi la Turchia è soprattutto protagonista dell’aggressione imperialista alla Siria, mediante l’appoggio politico e militare ai mercenari, pagati e armati dagli Stati Uniti, che stanno combattendo Assad (da ultima la scoperta della fornitura turca ai cosiddetti ribelli di reali armi chimiche), l’installazione di batterie missilistiche americane e mediante il diretto intervento armato, come il bombardamento del territorio siriano del quattro ottobre scorso.

Appare dunque chiaro il ruolo di ariete dell’imperialismo occidentale che ricopre la Turchia nella guerra contro la Siria. Scalzare Assad significa riposizionarsi strategicamente nell’area e togliere di mezzo il principale alleato del rivale energetico iraniano. Le rivolte popolari in Tunisia o in Egitto, tutt’altro che terminate, sono state accettate purché fossero ricondotte in un alveo politico filo-occidentale, in Turchia non poteva andare certo così. Infatti a parte qualche frase di rito, tutti i governi occidentali, hanno ribadito l’appoggio a Erdogan definendo il suo governo come duro, ma comunque democratico.


Ma la situazione turca ci sta dimostrando che un popolo, seppur oppresso con ferocia, non solo è in grado di resistere, ma è anche in grado di farlo vittoriosamente.

La guerriglia urbana diffusa e continua che ha infiammato decine e decine di piazze in Turchia è un vero e proprio grido di rivolta generalizzato che fa tremare i palazzi dei potenti, non solo quelli turchi, ma anche i loro sostenitori del “democratico” occidente, tra cui anche l’Italia.


Chi ha da sempre subito il prezzo della crisi, della guerra e del profitto dei padroni adesso sta portando il conto ai suoi aguzzini. Non solo in Turchia, come dimostrano le recenti lotte che si sono sviluppate dalla Grecia alla Svezia fino al Brasile. Il vento di rivoluzione lo sentiamo fischiare fin qui, spetta a noi agire e lottare, per far pagare la crisi anche ai nostri padroni!


PIAZZA TAKSIM OVUNQUE!

Collettivo Politico Gramigna

Fonte

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