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    30 giugno 1960: la battaglia di Genova

    (29 Giugno 2013)

    In esclusiva per Popoff Giordano Bruschi uno dei protagonisti di quelle giornate rievoca gli scontri del 30 giugno 1960. [Ludovica Schiaroli]

    battagdigen

    Giugno 1960: l'Msi in cerca di legittimazione organizza il suo congresso nazionale a Genova, città medaglia d'oro alla Resistenza. La popolazione si ribella e in migliaia scendono in piazza. Sono portuali, ex partigiani, operai delle fabbriche del ponente e i ragazzi con le magliette a righe che combatteranno strada per strada in scontri durissimi con le forze dell'ordine.
    Dopo Genova insorgeranno altre città. A seguito di tutto questo il presidente del consiglio Tambroni sarà costretto a dimettersi.
    Giordano Bruschi fu uno dei protagonisti di quelle giornate. Già partigiano, era segretario del sindacato dei marittimi e membro della CGIL. In seguito diventerà segretario genovese di Rifondazione Comunista.
    Il racconto di quei giorni in esclusiva per Popoff.

    La mia è una delle 100.000 testimonianze del 30 giugno 1960.
    Sono passati cinquantatré anni e la cronaca è diventata storia da trasmettere ai giovani di oggi. Noi della Cgil avevamo proclamato, da soli, lo sciopero contro il congresso neofascista, e contro Tambroni, appena divenuto componente della maggioranza del governo democristiano.
    Il decennio 1950/ 1960 era stato duro per gli operai, licenziamenti, negazione dei diritti, accentuato sfruttamento mentre nasceva il "miracolo economico "dei padroni.
    I fascisti ottennero dalla Dc il premio del riconoscimento e della riabilitazione, col congresso neofascista del 2 luglio a Genova, (città medaglia d'oro della Resistenza), presieduto da Emanuele Basile assassino degli antifascisti Guglielmetti, Bellucci, Lattanzi, Mirolli; torturatore massacratore del giovane Giacomo Buranello; deportatore in Germania, il 16 giugno 1944, di 1600 operai lavoratori delle fabbriche in lotta: SIAC, Fossati, San Giorgio, Ansaldo.

    Fu un operaio, Giulio Bana a lanciare l'appello sull'Unità del 5 giugno '60 "compagni", scrisse, "ritornano i fascisti come nei giorni della repressione sui monti, accogliamoli come abbiamo saputo fare da garibaldini e partigiani".
    Da anni il movimento di lotta era quasi scomparso. La Cgil credette nella risposta dei lavoratori, dei precari.
    Fu deciso lo sciopero e il corteo per il 30 giugno: tre giorni prima dell'annunciato congresso fascista: ritrovo alle 15 in piazza dell'Annunziata, luogo piccolo per una partecipazione incerta.
    Il "miracolo genovese" sorprese tutti, a cominciare da noi del direttivo Cgil. Alle 14.30 la piazza traboccava, il corteo partì da solo, dai vicoli dalle strade, i rivi di folla crescevano, alle 16 la sosta in via XX settembre di fronte al sacrario dei caduti consentì un conteggio: eravamo in 100.000. Tambroni voleva dare una lezione a chi osava contestare il centrodestra. 4000 poliziotti in assetto di guerra con il reparto celerini di Padova capofila delle repressioni di strada; Poi 2000 carabinieri e 2000 finanzieri.

    Tambroni però non aveva fatto i conti con la "qualità" dei 100.000. Dopo il corteo nessuno tornò a casa, presidi antifascisti sorsero in città. Piazza De Ferrari divenne il luogo strategico della partita fascismo/ antifascismo. La brigata celere di Padova, sistemata con numerose camionette attrezzate per l'offesa, non poteva tollerare lavoratori, giovani fermi in piazza. Alle cinque della sera, l'ordine di sgombero arrivò, forse dall'alto. Le camionette iniziarono il carosello selvaggio, condito da lancio di lacrimogeni. I celerini vinsero, ma solo per 15 minuti. Lavoratori manganellati, giovani piangenti, cittadini cacciati nella vasca di De Ferrari. Poi la scelta della celere di inseguire i compagni nelle vie adiacenti a De Ferrari. Infine la brutalità di rincorrere, picchiare chi si rifugiava nei vicoli. Proprio la struttura di Genova verticale, quella cantata da Caproni, capovolse la partita. I "carruggi" divennero l'arma segreta di Genova antifascista.

    Operai, giovani si sistemarono nei grandi casamenti, nelle scale di 7/8 piani.
    Vico San Matteo, vico Falamonica, vico Castagna, salita Pollaioli, Ravecca, divennero fortezze di popolo. Se i celerini salivano le scale ricevevano colpi di ombrello, di bastone, di pentole fornite dalle popolane. In pochi minuti lo scenario era cambiato, continuavano i caroselli, ma solo nelle grandi strade. De Ferrari venne gradualmente accerchiata con migliaia di cittadini che stringevano d'assedio i padovani . Quelli della "Severino" i garibaldini che nell'aprile '45 avevano liberato Genova dai tedeschi, applicarono la tattica partigiana. Li comandava "Martin" Agostino Pesce, tra di loro un giovane di via Sertoli, che ne avrebbe fatta di strada, si chiamava Paride Batini, portuale precario occasionale, di 26 anni. La Severino continuò la resistenza con l'autodifesa.

    Prima di tutto organizzare le barricate sulle strade di accesso a De Ferrari, suddivisi in piccoli gruppi, i vecchi partigiani con l'aiuto dei giovani delle magliette a strisce, utilizzarono sedie e tavolini del bar, auto anche camionette. Un reparto della Severino fu incaricato del rifornimento delle armi di autodifesa, prelevati dal cantiere di Piccapietra: tavole sassi e mattoni. Un flusso ininterrotto sino al momento cruciale, un partigiano sale su un tavolo bar della barricata posta tra via XX Settembre e De Ferrari, sventola una bandiera che fa da richiamo, 1000, 3000, 5000 accorrono sulla barricata, seguono il partigiano entrano nella piazza. Le camionette che ancora circolavano sono bloccate dai petti dei ragazzi, le ruote girano a vuoto, i poliziotti cercano di scappare.
    Il loro capo, quello di Padova è tirato fuori dal suo veicolo, un operaio, Pietro, ancora umido di acqua per la prima carica delle 17.00, vuole restituire la cortesia e prende il capitano per il collo, lo trascina ai bordi della vasca, lo immerge nell'acqua. 10, 20, 30 secondi il capo della celere rischia la vita ma c'è un partigiano che si accorge dell'evento, urla a Pietro: "non si fa così, lascialo!". Pietro obbedisce, il capitano può scappare, salvarsi. Alle 19 la partita sembra vinta dagli antifascisti ma non è finita, Tambroni chiede al prefetto Pianese di far intervenire l'esercito in una città bloccata da moltissime barricate, presidiate da migliaia di giovani.

    Trovare una via d'uscita non è facile: divengono allora protagonisti due compagni che vanno ricordati e onorati, si chiamano Giorgio Gimelli partigiano Gregory presidente dell'ANPI e Bruno Pigna segretario della Cgil di Genova. Ogni movimento, anche il più duro, deve sempre trovare uno sbocco positivo. Genova ha respinto la provocazione poliziesca, le barricate ora non servono più, Gregory ha un amico in questura si chiama Angiolino Costa capo della squadra mobile un passato di partigiano della divisione Mingo.

    Per cinque ore Gimelli e Costa vanno sulle barricate, parlano, si scontrano con i compagni sanno ragionare, sanno convincere, la mobilitazione continua, le barricate però vengono smontate. Gregorio è straordinario, dice ai suoi partigiani: "Nessuna casa, tutti nelle strade a difendere la resistenza ad impedire anche i compromessi dei 1000 mediatori di ogni risma.
    Gimelli conosce l'intenzione di esponenti politici di ogni parte; vietare il congresso missino al Margherita spostarlo al teatro Ambra di Nervi, sempre di proprietà del fascista Gadolla. Anche Pigna della Cgil è interpellato dal prefetto, i due compagni si intendono al volo, niente congresso niente mediazione.

    L'arma segreta di Giorgio e Bruno è semplice, partigiani e lavoratori presidiano la città a cominciare dalle stazioni. Principe e Brignole sono i punti strategici, centinaia di compagni stanno sui binari. Ad ogni arrivo dei treni l'avviso ai camerati congressisti è esplicito il congresso, non c'è più, molti camerati neppure scendono, altri sono convinti con urla, altri presi di peso e ricaricati sui treni.

    I giovani delle magliette a strisce sembrano prenderci gusto, il coro possente si leva in piazza Acquaverde, in piazza Verdi "fascisti carogne tornate nelle fogne" mentre a Roma la DC discute, litiga con Tambroni e Segni che sostengono l'intervento militare, mentre Moro con Fanfani trattano coi socialisti per scaricare Tambroni, a Genova decidono invece partigiani lavoratori. Il Congresso non si fa per mancanza di partecipanti.

    Alle 23.00 del 1 luglio il prefetto Pianese comunica a Bruno Pigna che il congresso del Movimento Sociale Italiano è revocato. Tocca a me, con una malandata 500, andare al Ponte Monumentale per comunicare ai 500 partigiani del presidio la grande notizia, sono canti e salti di gioia. Non è finita però la vicenda, perché Tambroni spalleggiato da Gronchi non si arrende non si dimette.

    Il 5 luglio spara sul popolo a Licata: un morto.
    Il 6 luglio aggredisce gli antifascisti a Roma con i cavalieri di D'Inzeo.
    Il 7 luglio organizza l'eccidio di Reggio Emilia con cinque compagni uccisi: Serri, Farioli, Reverberi, Franchi, Tondelli.
    Il 19 luglio la Dc capisce che bisogna cambiare: Tambroni è cacciato, nasce l'esperienza lunga del centro sinistra con l'alleanza Democrazia Cristiana Partito Socialista.

    E' difficile oggi dare un giudizio storico sul significato del 30 giugno anche dopo 53 anni. Politicamente la Dc si è salvata mantenendo predominio ed egemonia, però il movimento dei lavoratori si è ripreso, è risorto, ha cambiato nel Paese i rapporti di forza. E' mia opinione che le grandi conquiste sociali del '60 e '70 siano il frutto del movimento del 30 giugno 1960. Non sono conquiste da poco: statuto dei diritti dei lavoratori, riforma delle pensioni, riforma della scuola pubblica, sanità pubblica, diritto alla casa. Sono conquiste che dal 1994 la destra di Berlusconi, del padronato è riuscita ad intaccare, oggi difendiamo ancora quello che rimane del 30 giugno, dell'antifascismo, ricordare oggi il 1960 significa riprendere le lotte espresse in questo corteo del 28 giugno 2013: la casa, il lavoro, i diritti, la sanità e le pensioni. Ricordiamoli allora i compagni delle lotte del '60: Gimelli, Pigna, Sulas, Cerofolini, Rum insieme ai caduti di Reggio Emilia: Farioli, Reverberi, Franchi, Serri, Tondelli. Ricordiamoli ancora.

    Giordano Bruschi

    popoff.globalist.it

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