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Il Mandela conteso

(3 Luglio 2013)

Due villaggi si contendono il luogo di sepoltura del grande leader morente. Londra punta a una celebrazione funebre a Westminster con la presenza della regina Elisabetta.

madibacont

di Rita Plantera

Cape Town, 3 luglio 2013, Nena News - Il presidente Usa, Barack Obama, ha salutato domenica sera il Sudafrica per la Tanzania, l'ultima tappa del suo giro d'Africa, mentre continua il lungo addio di Mandela alla sua gente. Le condizioni di Madiba restano «critiche ma stabili», in quello che è diventato quasi un trinomio dalla cadenza litanica. Silenzio assordante dalla sua stanza d'ospedale, scandito dai toni di una diatriba interna alla sua famiglia - numerosissima - che pare sia ormai diventata una vera e propria faida sul paesino che ospiterà le sue spoglie e che ha già ha raggiunto le aule dell'alta Corte.

A contendersi i resti di un Mandela ancora in vita - ricoverato da più di venti giorni presso il Mediclinic Heart Hospital di Pretoria - due villaggi rurali nella provincia dell'Eastern Cape, Mvezo - il suo paese natale - e Qunu - dove è cresciuto e dove spesso, fino a poco prima di cominciare il calvario delle ospedalizzazioni frequenti, era solito soggiornare. Intanto dalla Gran Bretagna, il paese di Margaret Thatcher - che definì il partigiano Madiba «terrorista» e che si rifiutò di votare sanzioni contro il Sudafrica bianco dell'apartheid - è arrivata la richiesta di autorizzazione - così titolavano domenica il The Sunday Indipendent e il Weekend Argus - per una celebrazione funebre di Mandela nell'abbazia di Westminster con tanto di partecipazione di sua maestà la regina. Sarebbe il primo caso per un africano e per un cittadino non-britannico, per di più in passato considerato un «terrorista».

Mandela, insomma, ancora in vita è già oltre la leggenda e in via di santificazione: è l'«eroe personale» che Obama non è riuscito a incontrare. Ma a cui ha reso omaggio visitando l'ex carcere di massima sicurezza di Robben Island dove Nelson Mandela trascorse 18 dei 27 anni di prigionia. Un Obama, che per essere il primo presidente afro-americano, nel passaggio nel continente dei suoi avi, non ha certo fatto la differenza rispetto ai suoi predecessori. E anzi, il suo tour africano ha tutta l'aria di essere stato un viaggio di famiglia, più che una visita ufficiale. Toni celebrativi quelli dei suoi discorsi più che propositivi, certo non di respiro oratorio ma piuttosto retorico. Ha scelto l'University of Cape Town, per tenere il discorso al continente, gli stessi scranni da cui nel 1966 Robert F. Kennedy infiammò i movimenti anti-apartheid e per i diritti civili con il suo famoso «Day of Affirmation», che esortando alla lotta contro l'oppressione le giovani generazioni in un Sudafrica governato dal regime bianco della segregazione razziale, rivendicava alla singola battaglia di ciascuno contro le ingiustizie la forza di «una piccola onda di speranza».

Obama, invece, più che raccogliere qualche applauso di compiacimento non ha impressionato nessuno. Ad attenderlo fuori dall'Università, manifestanti che - come a Soweto e a Pretoria nei giorni precedenti - gli hanno urlato il malcontento contro le politiche statunitensi nel mondo, apostrofandolo «killer di massa» e invitandolo a «mettere fine alla guerra dei droni ora». Ma il presidente Usa, che pure si era detto «profondamente umiliato» per Madiba e per gli altri suoi compagni di prigionia - «gli eroi» di Robben Island li aveva definiti durante il giro sull'isola - non ha trovato parole per rispondere ed esprimere lo stesso sconcerto e la stessa solidarietà per i prigionieri di Guantanamo. Così come non ha proferito sillaba sui 6.000 licenziamenti pendenti annunciati dal colosso minerario dell'Anglo American Platinum - di proprietà per l'80% dell'AngloGold American - nella cintura di platino sudafricana.

Nena News

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