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(5 Aprile 2013) Enzo Apicella
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Egitto
Via Morsi! Via i militari!

(3 Luglio 2013)

dichiarazione del Segretariato della Lit-Quarta Internazionale

Milioni scendono in strada in Egitto
Le masse popolari egiziane una volta ancora sconvolgono il mondo. La loro valorosa dedizione, la loro tenace persistenza e poderosa energia rivoluzionaria sembrano inesauribili e illuminano il cammino della liberazione sociale delle classi sfruttate di tutti i Paesi.
Al compiersi di un anno dall'investitura del presidente egiziano Mohamed Morsi, la classe lavoratrice e le masse popolari del Paese più popoloso di quella regione sono protagoniste, molto probabilmente, della più grande mobilitazione nella storia dell'umanità. Fonti dello stesso Esercito egiziano hanno riconosciuto che, la scorsa domenica 30 giugno, più di 14 milioni di persone sono scese in strada nelle principali città d'Egitto [1]. Le organizzazioni sociali e l'ampio insieme dei partiti borghesi di opposizione al governo dei Fratelli Musulmani, per parte loro, affermano che hanno colmato le strade non meno di 17 milioni di manifestanti.
Questo fatto è così maestoso, che supera di molto le mobilitazioni che hanno rovesciato il dittatore Mubarak nel febbraio del 2011.
Il ruggito di questi milioni, che si sentono vittoriosi dopo aver abbattuto il tiranno e sanno di essere artefici della propria storia, si riassume in un ultimatum categorico: Via Morsi!
Noi della Lega Internazionale dei Lavoratori - Quarta Internazionale (Lit-QI) esprimiamo il nostro più completo e incondizionato appoggio e solidarietà con questo nuovo gesto rivoluzionario delle masse popolari egiziane.
Senza dubbio stiamo assistendo ad un evento colossale, che con la sua forza travolgente, fa parte e rafforza enormemente l'intero processo di rivoluzioni che scuotono il Nord Africa e il Medio Oriente. La poderosa mobilitazione egiziana è un enorme incentivo per i combattenti che in Siria affrontano il dittatore Bashar Al Assad, per i giovani che si mobilitano in Turchia, Tunisia, Brasile, nelle città europee e in tutto il mondo!

Le masse irrompono e aprono una crisi nel governo e nel regime
Le vie del Paese sono completamente prese da una marea di migliaia di bandiere e striscioni con la parola “Erhal” (Vattene), scritto anche su “cartellini rossi” (come nel calcio) con l'immagine di Morsi. Altre migliaia protestano con in mano delle scarpe insieme alla foto del presidente islamista, un simbolo di rifiuto tra i musulmani.
Mentre scriviamo queste righe, informative provvisorie del Ministero della Sanità egiziano quantificano in almeno 20 il numero di manifestanti morti e oltre 800 feriti che si sono avuti, soprattutto, durante gli scontri con la polizia e con bande armate dei Fratelli Musulmani, che hanno attaccato le concentrazioni in piazza dell'opposizione.
Già venerdì 28 giugno, nel corso di forti mobilitazioni a favore e contro Morsi, si sono registrati due morti e 139 feriti.
Nella capitale, Il Cairo, ad Alessandria e in altre importanti città, migliaia di manifestanti hanno lanciato pietre, saccheggiato e incendiato alcune sedi del Partito Libertà e Giustizia, il braccio politico dei Fratelli Musulmani. Di fatto, molte delle morti occorse finora, si sono date in questi scontri presso le sedi di questo partito al Cairo e nella città di Asiut.
L'emblematica Piazza Tahrir è nuovamente al centro delle mobilitazioni. È stata occupata dai manifestanti e da centinaia di tende da campeggio, poiché in migliaia assicurano che non se ne andranno di lì fino alle dimissioni di Morsi. Altre migliaia di giovani hanno iniziato ad occupare gli spazi circostanti il palazzo presidenziale di Ittihadiya.
Il movimento giovanile Tamarrud (Ribellione), che ha convocato le proteste, assicura di aver raccolto 22 milioni di firme per chiedere le dimissioni di Morsi. Questo movimento, che fa parte di una piattaforma denominata “30 giugno”, ha dato un avvertimento al governo perché abbandoni il potere e convochi nuove elezioni.
Per ora, come risultato diretto dell'acuta crisi politica aperta nel Paese, quattro ministri del gabinetto di Morsi hanno presentato le loro dimissioni. Allo stesso modo, cinque senatori che si identificano con l'opposizione nella “Shura” o Camera Alta del Parlamento, si sono dimessi dai loro scranni.
La furia contro il governo si è combinata con un crescente sentimento antimperialista. Nelle marce e nelle piazze si sono potuti vedere molti cartelli con il volto di Morsi contornato dalle bandiere incrociate degli Stati Uniti e di Israele.
Questo rifiuto della politica imperialista, segnata in Egitto da un forte appoggio di Obama all'amministrazione di Morsi, ha raggiunto un tale punto di tensione, che ha obbligato Washington a ritirare parte del suo personale diplomatico "per i problemi politici e sociali che stanno avendo luogo" e a chiedere ai propri cittadini di rinviare i viaggi "non essenziali".
La realtà è che, con la loro azione rivoluzionaria, i milioni di persone che sono scesi nelle strade hanno aperto una crisi di potere al vertice del regime e posto all'ordine del giorno la possibilità di cacciare Morsi, che governa nell'ambito di un regime militare, il che sarebbe una grande vittoria per le masse.
In Egitto abbiamo la più incontestabile dimostrazione del carattere permanente della rivoluzione, per il quale una prima conquista è il punto di partenza per continuare la lotta per rivendicazioni maggiori. Tradotto nel processo rivoluzionario egiziano: il rovesciamento di Mubarak è stato solamente l'inizio.

Un regime repressivo e sottomesso all'imperialismo che si mantiene senza Mubarak
Quello di Mubarak era un governo militare dentro un regime militare. Quando quel governo è stato contestato dalle masse, per salvare l'insieme del regime dalla mobilitazione popolare, l'Esercito ha dovuto sacrificarlo, in quanto Mubarak, dopo trenta anni di tirannia, era completamente discreditato davanti al popolo e, per il suo logoramento, non riusciva a stabilizzare il Paese.
Questa mossa di scartare il fusibile all'ultimo minuto, ha fatto si che le Forze Armate, che dall'epoca di Nasser sono depositarie di un relativo prestigio nella società, non affondassero con Mubarak. Tanto è vero ciò che, in questa crisi, sono stati visti da un settore delle masse come “alleati del popolo” e hanno assunto il governo nella forma di una Giunta Militare.
Ora, sebbene quello che è caduto è stato Mubarak e non il regime militare, questo non significa che il regime ne sia uscito illeso. Il regime si è mantenuto, ma molto danneggiato dall'azione delle masse.
La caduta di Mubarak ha aperto una situazione rivoluzionaria che è segnata da una crisi permanente, la quale si esprime nell'impossibilità che ha il regime di reprimere le lotte come prima, nella conquista di maggiori libertà democratiche, nel sorgere di nuovi sindacati e organizzazioni sociali e in un clima di mobilitazioni e scontri costanti.
In questo quadro, per stabilizzare la situazione, il regime militare e il suo governo, la Giunta Militare, avevano raggiunto un accordo con i Fratelli Musulmani, organizzazione borghese che godeva di un forte prestigio tra le masse e aveva vinto le elezioni presidenziali. Questo patto, come abbiamo spiegato in altri articoli, ha permesso ai Fratelli Musulmani di assumere il governo in cambio del fatto che Morsi mantenesse intatti i pilastri del regime politico in Egitto, il che significa, prima di tutto, la permanenza dei privilegi ostentati e di tutto il potere economico e politico delle Forze Armate.
Con questa forma, è nato il primo governo civile dalla caduta del re Faruk, nel 1952. Un governo civile, ma sempre nel quadro del regime militare.
È così che gli alti comandi militari egiziani, attraverso questo nuovo governo retto dai Fratelli Musulmani, continuano a controllare non meno del 40% dell'economia nazionale. Oltre a controllare le imprese e a possedere enormi appezzamenti di terra, i generali ricevono direttamente da Washington più di 1 miliardo e 400 milioni di dollari all'anno, i maggiori “aiuti militari” provenienti dall'imperialismo dopo quelli forniti a Israele.
E' per questo motivo che, durante il suo mandato, Morsi ha mantenuto impunito non solo l'ex dittatore Mubarak, ma persino i responsabili dell'assassinio di più di 850 persone durante le giornate che lo rovesciarono più di due anni fa.
In frequenti abusi di potere, Morsi ha attaccato la libertà di organizzazione, di manifestazione, di sciopero e di stampa. Nel dicembre del 2012, bisogna ricordare, migliaia di persone sono scese in strada per fermare l'imposizione di un decreto che gli conferiva poteri quasi assoluti. Nello stesso mese, Morsi conseguì l'approvazione, anche se con uno stretto margine e soffrendo sconfitte nei principali centri urbani, come Il Cairo e Alessandria, di una Costituzione scritta ad uso e consumo dei militari, antioperaia, antisciopero e basata su precetti religiosi.
La grave crisi economica che affligge l'Egitto è lo sfondo di queste mobilitazioni contro le misure autoritarie e le istituzioni di un regime che, nonostante la grande vittoria che ha significato rovesciare Mubarak, non è stato distrutto.
In questo quadro, si stima che il 40% della popolazione è al di sotto della soglia di povertà. La disoccupazione aumenta senza sosta, superando il 13% della popolazione. Questo indice, tra i giovani, è al 77% e supera l'85% nel caso di giovani con titolo universitario[2]. Il Paese ha un debito estero che rappresenta il 90% del PIL. L'anno scorso, Morsi ha speso circa il 10% del PIL solo nel pagamento di interessi sui prestiti che furono contratti da Mubarak. Il deficit fiscale (le spese sono maggiori delle entrate) è del 10,4%.
Eppure, Morsi e i militari si sono impegnati ad applicare un duro piano di aggiustamenti per soddisfare le esigenze imposte dal Fmi per approvare un nuovo indebitamento per 4 miliardi e 800 milioni di dollari.
A questo cocktail esplosivo, si somma il rincaro e la scarsità delle materie prime, l'aumento della benzina e le costanti interruzioni dell'elettricità.
Il popolo egiziano, confrontandosi con questa realtà, sta prendendo coscienza che ha rovesciato Mubarak per continuare la propria vita come prima o anche peggio.
C'è la sensazione in ampi settori delle masse che Morsi e i Fratelli Mususlmani non siano all'altezza di quella impresa iniziata nel 2011 e che abbiano tradito gli obiettivi della rivoluzione: "Tre erano i principi di quella rivoluzione: pane, giustizia e libertà. Morsi non ne ha rispettato nessuno. Ha avuto un anno, e il Paese è solo andato peggio. Deve andarsene", dice Zaid Sultan, 35 anni, ferito durante le manifestazioni contro Mubarak, come pubblicato da El Pais.
L'esperienza politica con i Fratelli Musulmani, fino a poco tempo un partito visto da molti come “progressista”, sta accelerando. Non c'è da stupirsi. Il Paese vive una rivoluzione e la coscienza, al galoppo delle azioni, dà salti e si sviluppa in pochi mesi tanto quanto in situazioni di “pace sociale” avrebbe impiegato decenni a fare.

L'ultimatum dell'Esercito
Di fronte alla crisi completa dei vertici istituzionali e alla possibilità che il secondo governo del suo regime sia rovesciato dalle masse, i vertici delle Forze Armate hanno deciso di intervenire e cercare di ripetere la mossa che hanno fatto quando la crisi pose fine al governo di Mubarak .
Davanti al fatto che Morsi non sta dimostrando la capacità di contenere la mobilitazione di massa, le Forze Armate hanno dato il 1° Luglio un ultimatum di 48 ore ai partiti politici per trovare un accordo: "Le Forze Armate concedono 48 ore come l'ultima opportunità affinché le forze politiche si assumano le proprie responsabilità in questo momento storico che attraversa la patria, che non perdonerà nessuna forza che smetta di assumesi le proprie responsabilità", ha dichiarato il generale Abdel Fattah Al Sissi, capo dell'Esercito e ministro della Difesa, in un comunicato trasmesso in televisione.
Nel caso che ciò non accada, l'Esercito ha annunciato che si troverà nell'"obbligo nazionale e storico di rispettare le rivendicazioni del popolo e annunciare una tabella di marcia e incaricarsi di applicarla con la partecipazione di tutte le correnti leali, inclusi i giovani [che hanno dato impulso alla rivoluzione], e senza l'esclusione di nessuna parte".
I vertici militari hanno giustificato la loro posizione con la necessità di “proteggere la patria”, poiché "la sicurezza nazionale dello Stato è molto minacciata dagli avvenimenti che vive il Paese". I militari hanno avvertito, tuttavia, che "la perdita di più tempo comporterà solo più divisione e conflitto" (Afp).
Questo annuncio fatto dai militari dimostra che la crisi aperta dall'immensa mobilitazione popolare ha turbato fortemente non solo il governo ma il regime politico in sé, in quanto vi sono divisioni nelle alte sfere del potere.
Sembra chiaro che il vertice delle Forze Armate è disposto, nuovamente obbligato dalla forza delle mobilitazioni popolari, a sacrificare un altro governo per mantenere il suo regime. Questo, anche se all'aumentare delle contraddizioni i vertici militari dovessero riprendere direttamente le redini del governo, sarà una nuova vittoria delle masse popolari, parziale ma importantissima, poiché anche se non lo distruggeranno avranno assestato un colpo tremendo al regime militare.
Sfortunatamente, vi è un settore importante delle masse che ha accolto con speranza e perfino con gioia questo annuncio dei generali. Questo ha a che vedere col fatto che, nonostante la mobilitazione si scontri oggettivamente col regime nel suo insieme, il nemico più chiaro e immediato per le masse continuano ad essere i governi (Mubarak, Morsi) e non esattamente le Forze Armate come istituzione. I generali continuano ad essere visti, da un settore importante, come “arbitri” e perfino “amici del popolo” e non come i principali nemici.
E' per questo che ci sembra un grave errore che il gruppo Tamarrud abbia salutato la posizione dell'Esercito affermando che, presumibilmente, si starebbe collocando “a fianco al popolo”. Questo collettivo giovanile, già aveva sollecitato in un comunicato le “istituzioni statali, incluso l'esercito, la polizia e la magistratura, ad allinearsi chiaramente alla volontà popolare la quale è rappresentata dalle moltitudini scese in piazza”. È un grave errore poiché il problema non si riduce a Morsi, ma a tutto un regime, fondato sui militari, che sostiene lo Stato capitalista e regala le ricchezze del Paese all'imperialismo, senza la sconfitta del quale non solo sarà impossibile conquistare complete libertà democratiche, ma anche risolvere i problemi strutturali delle masse popolari egiziane.
Detto questo, ciò a cui stiamo assistendo in Egitto non può essere considerato un “golpe militare” ma un riposizionamento tattico dell'Esercito (che non ha mai perso il controllo del Paese) di fronte al logoramento del governo Morsi (che a sua volta ha sempre fatto parte di questo regime), al fine di salvare, di nuovo, un regime politico sempre più violentemente colpito dalla rivoluzione in corso.

Il compito immediato è rovesciare Morsi!
Avendo chiaro questo, il compito principale e immediato che si pone è proseguire e intensificare la mobilitazione per rovesciare Morsi e, allo stesso tempo, distruggere il regime, basato sui generali e finanziato dall'imperialismo.
Oggi più che mai è fondamentale mantenere gli assi della mobilitazione: Via Morsi! Per la caduta del regime militare! Via i militari dal potere!
La caduta di Morsi, insistiamo, sarà una importantissima vittoria delle masse, poiché sarà il secondo governo del regime militare ad essere sconfitto nelle strade. Questo sarà vero – anche nell'ipotesi in cui la mobilitazione, per ora, non distrugga il regime – poiché già ora lo debilita e ne approfondisce la crisi.
Nel quadro di questa lotta contro un regime bonapartista, è necessario applicare una politica di ampia unità di azione contro il regime militare e i suoi governi. Questa unità di azione, realizzata a partire dalla più completa indipendenza politica del movimento operaio e delle organizzazioni rivoluzionarie, deve includere tutti i settori democratici e che si oppongono al regime militare, dalle organizzazioni e piattaforme giovanili come Tamarrud, fino al Fronte di Salvezza Nazionale di El Baradei e Amr Moussa.
In questa ampia unità di azione, concreta e circostanziata, con tutti i settori “democratici” per affrontare Morsi e i militari, non si deve perdere di vista per un momento che, per il loro carattere di classe, i partiti borghesi saranno inconseguenti anche nel conseguente scontro con il regime militare, posto che il loro programma economico è ugualmente capitalista, neoliberista e sottomesso all'imperialismo.
In questa lotta democratica, dobbiamo incorporare, inoltre, le richieste e le misure concrete contro la disoccupazione, per l'aumento generale dei salari e per una radicale riforma agraria. Questo è così importante poiché è indispensabile l'entrata in scena della classe operaia egiziana in forma organizzata, una delle più forti della regione, per la sua forza determinante per il processo e la sua comprovata tradizione di lotta contro Mubarak e anche contro Morsi.
Nel mezzo di questa crisi e come parte del lavoro nel movimento operaio, è necessario porre la possibilità e la necessità di uno sciopero generale che determini la caduta di Morsi e dei militari.
Pertanto è necessario che tutto il movimento operaio, giovanile e popolare lotti per queste parole d'ordine:
* Via il governo di Morsi e dei militari! Abbasso la Costituzione di Morsi e dei militari!
* Esigiamo una nuova Assemblea Costituente per instaurare ampie e totali libertà democratiche, per rompere tutti gli accordi con l'imperialismo, per espropriare i beni di Mubarak e dell'insieme dell'antico regime!
A questo aggiungiamo:
* Per un aumento immediato e generale dei salari che corrisponda al costo dell'inflazione reale!
* Per un piano economico di emergenza e la riduzione immediata dell'orario di lavoro senza riduzione di salario in maniera da garantire lavoro per tutti!
* Per l'espropriazione delle grandi imprese nazionali e multinazionali e del sistema finanziario!
Inoltre, come si è visto nelle mobilitazioni, si pone la lotta per la completa rottura con l'imperialismo:
* Rottura immediata del Trattato di Camp David e di tutta la subordinazione finanziaria e politica dell'Esercito all'imperialismo e a Israele!
* No al nuovo indebitamento di 4 miliardi e 800 milioni di dollari che Morsi e i militari stanno negoziando con i banchieri di Washington!
* No al pagamento del Debito Estero affinché queste risorse siano investite in lavoro, salute e istruzione per il popolo egiziano!
* Rottura totale con il Fondo Monetario Internazionale e tutto gli organismi imperialisti!
Allo stesso tempo, il compito di cacciare Morsi e distruggere il regime delle Forze Armate deve essere concepito come un passo in direzione della prospettiva strategica di instaurare, in forma ininterrotta, un governo operaio, contadino e popolare basato sulle organizzazioni operaie e sociali e sulla loro democrazia. Per raggiungere questo obiettivo è indispensabile, nel calore di questa lotta, costruire un partito operaio, rivoluzionario e internazionalista.

Segretariato Internazionale della
Lega Internazionale dei Lavoratori - Quarta Internazionale

San Paolo, Brasile, 2 luglio 2013


[1] El País, 01.07.13
[2] http://www.dinero.com/edicion-impresa/editorial/articulo/la-trampa/174785

Traduzione dall'originale in spagnolo di Giovanni “Ivan” Alberotanza

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