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Prima le donne e i bambini

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(22 Febbraio 2009) Enzo Apicella

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(Lotte operaie nella crisi)

Roma, 4/07: le lotte dei lavoratori e la reazione dei padroni

(6 Luglio 2013)

rickantoni

Giovedì 4 luglio alle ore 19.00, in via Galilei 53 a Roma, si è tenuto l’incontro “le lotte dei lavoratori e la risposta dei padroni”.
Questo momento di discussione è stato promosso dal Laboratorio Politico Comunista di via Efeso, animato da compagni provenienti da diversi percorsi ma accomunati dall’intento di creare collegamenti tra i conflitti in atto in diverse parti d’Italia.
Nel corso dell’incontro hanno preso parola Riccardo Antonini, consulente dei familiari delle vittime della strage di Viareggio, un compagno del SI Cobas – che si è soffermato sulla vicenda Granarolo, però fornendo elementi sulle lotte nella logistica in generale – e un militante che, a Milano, ha sostenuto con altri la lotta degli operai dell’INNSE contro lo smantellamento della fabbrica.
Prima di questi preziosi interventi, vi è stata una breve introduzione, volta a mettere a fuoco i mezzi con cui il padronato e lo Stato cercano di piegare ogni forma di resistenza operaia: dai licenziamenti politici all’uso di una pesante eredità fascista come i fogli di via.
Inoltre, negli ultimi tempi, sono stati definiti degli strumenti atti a sradicare la possibilità stessa del confitto nei luoghi di lavoro, come quel Patto sulla Rappresentanza siglato da Confindustria e Sindacati di Stato che – oltre a demolire di fatto l’idea stessa di contratto nazionale – pone seri limiti alla libertà sindacale.
Dal canto suo, Riccardo Antonini, reduce dalla sentenza “tutta politica” che ne ha confermato il licenziamento da Trenitalia, ha sottolineato alcuni dei caratteri della campagna che i lavoratori delle ferrovie, l’associazionismo e tanti cittadini di Viareggio pongono in essere da quattro anni contro i responsabili della strage del 29 giugno 2009. I quali sono stati rinseguiti ovunque, a partire da Mauro Moretti, e in ogni dibattito pubblico si sono sentiti gridare quelle verità che loro, e i media complici, tendono a negare. Come il fatto che la strage era annunciata, una spaventosa conseguenza del progressivo venir meno delle condizioni minime di sicurezza in favore della logica del profitto. Un discorso, questo, che trova conferma in un dato terribile: la morte, in Italia, dal 2007 a oggi, di ben 39 lavoratori sui binari.
La battaglia è stata sin qui condotta con determinazione, senza vittimismi: Antonini stesso ha tenuto a precisare che il suo licenziamento (per aver violato l’”obbligo di fedeltà” nei confronti dell’azienda) era un prezzo da pagare per portare avanti una mobilitazione senza cedimenti alla controparte.
Il suo esempio è stato, si direbbe, contagioso, come dimostrano tutti quei familiari delle vittime che hanno rinunciato a risarcimenti milionari per costituirsi come parti civili nel processo contro i dirigenti di Trenitalia. Ma l’attività sin qui svolta ha ottenuto altri significativi risultati: le 10.000 firme raccolte a Viareggio per chiedere le dimissioni di Moretti e il fatto che nella stessa città, a quattro anni dalla strage, anche la manifestazione dell’ultimo 29 giugno ha avuto un carattere di massa.
L’intervento del compagno del SI Cobas è stato segnato dalla constatazione che, a parte il caso eclatante di Granarolo/Coop Adriatica, sono almeno 6 o 7 anni che il settore della logistica vede svilupparsi lotte di notevole radicalità, nel segno del felice incontro tra lavoratori – in prevalenza immigrati – che non hanno nulla da perdere e un sindacalismo di base che si pone realmente al servizio del conflitto (al SI Cobas può essere aggiunto, in Veneto, l’ADL Cobas).
Tra le tappe e i luoghi di questo percorso abbiamo le lotte all’Ortomercato di Milano, quelle alla Bennett di Origgio (2008-2009: c’è una vicenda processuale ancora in corso), la spietata repressione di Basiano, i licenziamenti all’Ikea di Piacenza (tutti rientrati tranne uno, riguardante una persona sotto processo penale), la battaglia all'Esselunga di Pioltello.
La vicenda Granarolo, con i 41 facchini licenziati per aver osato scioperare, si svolge nel cuore economico-finanziario dell’Emilia “rossa”. E rappresenta un salto di qualità proprio per questa ragione: perché lo scontro si ha con padroni di grosso calibro, anzi con un intero sistema di relazioni industriali e politiche. Di qui, le prese di posizione di certa stampa locale, che fornisce la pedana al Boss della Granarolo per etichettare come “eversore” chi cerca di difendere i propri diritti elementari.
Di qui, inoltre, la pressione di tutto il tessuto imprenditoriale locale sulle autorità pubbliche per fare in modo che l’esempio dei facchini non si diffonda. Tanto che la Commissione Nazionale di Garanzia è intervenuta sostenendo che, in questo caso, gli scioperi rientrano nel campo della L. 146 del 1990, che regolamenta le interruzioni del lavoro nei “servizi pubblici essenziali”. La motivazione ufficiale di questo pronunciamento è vagamente surreale, muovendo dalla definizione del latte come genere alimentare "deperibile". Ma la realtà è che lorsignori hanno compreso le potenzialità del conflitto (e le sue possibilità di espansione) forse meglio degli stessi militanti che, in qualche modo, lo stanno sostenendo.
Per quanto riguarda la vicenda INNSE, invece, si è parlato dell’ultima fase di quella lotta snodatasi per 15 lunghi mesi e volta a evitare lo smantellamento di una fabbrica.
In particolare, ci si è soffermati su un episodio del principio dell’agosto del 2009: il blocco della tangenziale a Milano per impedire che lo stabilimento fosse raggiunto da coloro che dovevano concretamente asportarne i macchinari.
L’iniziativa ha avuto successo: lo smantellamento non ha avuto luogo. Ma ci sono state conseguenze giudiziarie, peraltro mirate. Nel senso che, tra i partecipanti al blocco, si è scelto di colpire i militanti e non gli operai. Lanciando un chiaro segnale contro la possibile saldatura tra operai coscienti e realtà, più o meno organizzate, dei compagni.
Entrando nello specifico, ci si è affidati a medici compiacenti che – ribaltando gli iniziali referti del pronto soccorso – hanno stabilito per diversi carabinieri prognosi sino a 90 giorni (una delle “vittime”, però, è ora sotto processo per falsa testimonianza, poiché si è scoperto che, durante il periodo di convalescenza, ha potuto sostenere una gara di triathlon).
L’atteggiamento dimostrato dai Pm in questo caso s’inscrive in una chiara linea di tendenza. Quella di attaccare una soggettività politica che – pur con i suoi indubbi limiti – può favorire il diffondersi della conflittualità e la connessione delle lotte in corso.
In generale, l’approccio dello Stato agli episodi conflittuali qui esaminati, dimostra una spinta alla “illegalizzazione del conflitto”. In una fase di acuta crisi economica, in cui le contraddizioni possono da un momento all’altro esacerbarsi, c’è sempre meno spazio per le mediazioni, per i tentativi di incanalare le battaglie dei lavoratori dentro l’alveo istituzionale. Le lotte sono pericolose in quanto tali. Se poi presentano i connotati di conseguenzialità di quelle svolte a Viareggio, nella logistica o all’INNSE, l’atteggiamento dello Stato diventa di scontro frontale, di abbandono di ogni parvenza di “terzietà” fra capitale e lavoro.
In un quadro come questo, occorre ridefinire la propria cassetta degli attrezzi, recuperando quelle forme di solidarietà tipiche del vecchio movimento operaio che sembravano passate di moda, come la cassa di resistenza, utile a sostenere i lavoratori colpiti da sanzioni e licenziamenti per il loro atteggiamento combattivo. Ma soprattutto occorre diffondere la consapevolezza che, nei luoghi di lavoro, vanno sviluppati livelli di resistenza maggiori di quelli praticati sinora.

Il Pane e le rose - Collettivo redazionale di Roma

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