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Cuba, l’escozul e l’Occidente

(9 Luglio 2013)

cubalescozul

Lunedì 08 Luglio 2013 23:00

Escozul è il nome di uno scorpione, tipico di Cuba, Haiti e Repubblica Domenicana il cui veleno blu è utilizzato a scopo terapeutico, in particolar modo per le sue proprietà analgesiche, antinfiammatorie e, questa l’ultima frontiera della sperimentazione in atto, anche antitumorali. A stimolazione lo scorpione rilascia questa sostanza, non subisce alcuna tortura da cavia e non viene ucciso, per buona pace degli ambientalisti.

La letteratura ufficiale non riporta ancora evidenze cliniche ma empiriche, ma i viaggi della speranza dall’Europa, in modo massiccio dall’Italia, e da altri parti del mondo verso la piccola isola di Cuba alla ricerca di questo farmaco per casi di pazienti oncologici terminali come medicinale palliativo o per terapie alternative, quando la chemioterapia non funziona o non viene tollerata, continuano.

Esistono di questo principio attivo naturale due varietà, una delle quali - quella omeopatica - viene commercializzata da un’azienda italiana con sede a Tirana che produce il cosiddetto Vidatox, CH30 a partire dal 2011. Questa operazione di commercializzazione internazionale nasce proprio dalla difficoltà con cui si è imbattuto il governo cubano nel fronteggiare le numerosissime richieste provenienti dall’Italia. Tirana è vicina alle nostre coste e nel frattempo si spera di arrivare ad un accordo di distribuzione con l’AIFA.

Il farmaco puro, nome scientifico Rhopalurus junceus, prodotto dal centro governativo Labiofam, nell’isola di Cuba, è in sperimentazione anche nel trattamento dei tumori cosiddetti “solidi”, vale a dire non leucemie o linfomi. La dottoressa Mariella Guevara, responsabile del protocollo in atto, ha spiegato in appuntamenti internazionali sia che la raccolta dati e casi è ancora all’inizio sull’efficacia antitumorale, sia - questo l’aspetto più importante - che non va considerata come una strada alternativa alle terapie tradizionali, quale la chemioterapia. Si tratta di una chiarificazione importante specie per quanti hanno tentato di alzare una condanna pregiudiziale contro la “scoperta” cubana spacciandola per una sorta di stregoneria in antitesi alla medicina tradizionale.

La reazione della medicina occidentale di fronte a questa come a tante altre strade alternative ai protocolli consolidati è di sospetto e più probabilmente di scarsa conoscenza. E’ soprattutto questo clima di diffidenza che i medici come la dottoressa Guevara vogliono superare, testimoniando numeri alla mano il lavoro che questo paese porta avanti ogni giorno nonostante cinquanta lunghissimi anni di embargo che impediscono ancora oggi che entri negli ospedali cubani anche solo un’aspirina.

Nella storia di Cuba, isola della salute, la medicina è forse la vera e unica religione del paese. Non soltanto nella garanzia di un diritto di cura accessibile per tutti, ma nell’assoluta considerazione e rigore e protezione con cui i medici sono trattati dal governo.

La formazione degli operatori sanitari e il rigore del loro operato è considerata un priorità assoluta da parte del governo del Paese. Nel centro Internacional de Salud La Pradera il protocollo in corso di sperimentazione per i pazienti oncologici prevede, tra i farmaci utilizzati, il famoso veleno naturale dello scorpione, custodito gelosamente dall’attenzione morbosa delle multinazionali occidentali.

Nel quadro di isolamento e di ostracismo internazionale che patisce l’isola ci si aspetterebbe di leggere di continue epidemie e tassi di mortalità simil Africa, se non peggio. Eppure cosi non è mai stato, anzi. Ad Haiti sono stati i medici cubani ad intervenire per arginare il disastro dell’epidemia. La competenza del personale sanitario è nota e vale la pena ricordare che i medici cubani vengono inviati a prestare opera nei Paesi afflitti da malattie e povertà. Questa eccellenza insieme alla garanzia della sanità per tutti è un miracolo autentico che l’Occidente tanto patisce quanto non capisce.

In virtù di questa tradizione così sentita e seria sono per prime le Istituzioni sanitarie e i medici di Cuba a non proporre l’escozul naturale come farmaco in grado di guarire il tumore; sia perché la sperimentazione è ancora in atto sia perché le proprietà del farmaco, che pure hanno avuto finora riscontri importanti in merito alla regressione delle neoplasie, hanno un largo spettro di applicazioni a fronte di una tossicità ridicola se non nulla se paragonata alle nostre terapie, dalla chemio alla radio che anzi se combinate all’uso di questo farmaco riescono ad essere meglio tollerate dai pazienti.

Sarebbe bene domandarsi perché non crei analogo scompiglio sapere che di un vaccino fondamentale come quello contro l’Hpv, nella versione tetravalente della Sanofi Pasteur o in quella bivalente Cervarix prodotta da GlaxosmithKline, ancora non sia dato stabilire quanto protegga e per quanto tempo una donna che lo faccia dopo aver già iniziato una vita sessuale, nonostante sia raccomandato fortemente dai ginecologi anche a questa categoria entro una certa soglia di età.

Eppure, al netto di questa incognita, le donne si vaccinano, pagando di tasca propria il costo della medicina, (ancora poche dire il vero e purtroppo) e continuano a sottoporsi allo screening ginecologico annuale. Stupisce che analogo atteggiamento prudenziale, ma non censorio non si possa adottare per un farmaco a zero effetti collaterali su cui, anche fuori dai confini cubani, non c’è business se paragonato al mercato dei farmaci occidentali che ora ha messo a pagamento, di tasca propria da parte degli ospedali, alcuni chemioterapici di nuovissima generazione trattati come farmaci da banco.

In Italia il dibattito sull’escozul è iniziato con maggior clamore dopo un servizio giornalistico delle Iene, andato in onda nel 2010 e nel 2012 è iniziata un’indagine conoscitiva sulla variante omeopatica Escozul da parte della Commissione sanità del Senato. Istituto Superiore di Sanità e Società di Farmacologia sono al lavoro per raccogliere dati scientifici, ma non esistono ancora pubblicazioni incontrovertibili in tal senso.

Non si tratta di una smentita, ma dei necessari numeri che la casistica medica richiede per avvalorare una scoperta che al momento ha solo delle evidenze empiriche ogni giorno maggiori. Sarebbe quindi auspicabile che l'Italia si aggiornasse sugli studi cubani sul medicinale, che negli ultimi anni hanno fatto passi avanti considerevoli.

Quel che manca da parte della medicina tradizionale e dell’Occidente è un atteggiamento di apertura a questa sfida terapeutica che non porta l’ombra di alcun danno per chi volesse avvalersene. Sono i pazienti e i loro familiari ad essersi armati per una battaglia senza frontiera per la libertà di cura, forse spesso anche con una dose ingenua di speranza sulla guarigione dal cancro.

Una speranza che non è poi tanto diversa da quella di chi si accanisce fino all’ultimo ciclo di chemioterapia su corpi debilitati e spenti da cure molto tossiche che serviranno, su casi avanzati e terminali, al massimo per qualche mese di sopravvivenza in più. Eppure nessuno rifiuta tentativi estremi, magari spesso anche sbagliando nel non dire con esattezza la prognosi di una malattia, specialmente in Italia.

I due mondi, forse questo la scuola di Cuba vuole suggerire al mondo dei big del farmaco, hanno bisogno di incontrarsi riconoscendo all’isola che sfida i giganti il miracolo, anche politico e sociale, di una scoperta che copiata da qualche colosso farmaceutico avrebbe già, fuori da quell’isola, il nome di un brevetto.

Silvia Mari - Altrenotizie

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