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(10 Luglio 2013)

guantaparis

Martedì 09 Luglio 2013 23:00


La drammatica situazione nel lager statunitense di Guantánamo è tornata in questi giorni ad occupare le prime pagine dei giornali in seguito all’invito fatto da un giudice federale americano al presidente Obama per fermare il sistematico abuso dei diritti umani dei detenuti che da mesi stanno attuando uno sciopero della fame. Il parere del giudice distrettuale del District of Columbia, Gladys Kessler, è stato espresso nell’ambito di un procedimento avviato dal detenuto Jihad Ahmed Mujstafa Diyab, un 41enne di nazionalità siriana “ospite” del carcere sull’isola di Cuba da quasi 11 anni.


I legali di Diyab avevano chiesto al tribunale americano di ordinare l’interruzione dell’alimentazione forzata, praticata al loro cliente con una modalità pressoché universalmente considerata come tortura. Il giudice Kessler ha fatto notare come la pratica dell’alimentazione forzata sia considerata una violazione dell’etica medica e, appunto, una forma di tortura anche dall’Associazione dei Medici Americani. “È perfettamente chiaro”, ha scritto il giudice Kessler in una sentenza di quattro pagine, “che l’alimentazione forzata risulta essere un procedimento doloroso, umiliante e degradante”.

Ciononostante, la richiesta del detenuto siriano è stata respinta e nessuna ingiunzione all’autorità militare di Guantánamo è stata emessa dal tribunale. Infatti, il giudice del District of Columbia ha affermato che le leggi federali non le consentono di intervenire per decidere delle condizioni dei detenuti definiti come “nemici in armi”.

Con una mossa decisamente insolita, tuttavia, il giudice Kessler ha concluso che il presidente Obama “ha l’autorità per decidere sulla questione”, citando un discorso dello scorso mese di maggio nel quale l’inquilino della Casa Bianca aveva espresso i propri dubbi sulla pratica dell’alimentazione forzata.

La posizione di Obama appare però molto più sfumata, dal momento che in un altro intervento pubblico aveva affermato di “non voler vedere morire questi individui”. Se il dilagare dello sciopero della fame a Guantánamo è infatti già un motivo di grave imbarazzo per il governo americano, l’eventuale morte di decine di detenuti che protestano contro il trattamento a loro riservato appare come un vero e proprio incubo da evitare a tutti i costi per le autorità militari e per l’amministrazione Obama.

Per questa ragione, appare estremamente improbabile che il presidente democratico possa dar seguito all’esortazione del giudice Kessler, preferendo piuttosto continuare ad autorizzare il nutrimento forzato dei detenuti e, viste anche le restrizioni imposte ai giornalisti, attendere che lo sciopero della fame venga sostanzialmente dimenticato dai media.

Che la pratica non verrà abbandonata risulta poi evidente anche dall’annuncio fatto recentemente dal colonnello Gregory Julian del Comando Meridionale degli Stati Uniti in occasione dell’inizio del Ramadan nella giornata di lunedì. Il responsabile della struttura di Guantánamo ha infatti reso noto che il personale del carcere è perfettamente attrezzato per somministrare l’alimentazione forzata ai detenuti nel rispetto del digiuno dall’alba al tramonto.

L’iniziativa è stata presa anche in risposta ad un secondo procedimento avviato dai legali del detenuto siriano Jihad Ahmed Mujstafa Diyab, il quale chiedeva allo stesso tribunale distrettuale di Washington di interrompere quanto meno l’alimentazione forzata nelle ore diurne durante il Ramadan.

Lo sciopero della fame in corso da parecchi mesi nel carcere di Guantánamo era scaturito da una protesta contro l’applicazione di regole detentive più dure e, in particolare, contro la profanazione da parte delle guardie americane delle copie del Corano a diposizione dei prigionieri nelle loro celle.

Più in generale, la forma di protesta già messa in atto varie volte negli anni scorsi è la diretta conseguenza del limbo legale in cui si trovano i detenuti, quasi tutti rinchiusi in condizioni estreme da un decennio senza essere mai stati accusati formalmente di alcun crimine e senza avere affrontato un qualsiasi procedimento penale.

Oltre 80 dei 166 detenuti sarebbero poi già stati autorizzati dallo stesso governo americano a lasciare il carcere ma il via libera definitivo continua ad essere negato, sia a causa dei disaccordi politici a Washington sia perché i loro paesi d’origine dove dovrebbero essere trasferiti - come ad esempio lo Yemen - vengono giudicati troppo instabili o tuttora interessati da una minacciosa presenza di gruppi terroristici.

A causa delle scarse informazioni che vengono dal lager, non è chiaro quale sia il numero di detenuti che stia prendendo parte allo sciopero della fame, anche se alcune testimonianze dei loro legali indicano la partecipazione di virtualmente tutta l’attuale popolazione carceraria di Guantánamo.

Secondo le informazioni fornite dai militari americani, i prigionieri per i quali è stata approvata la pratica dell’alimentazione forzata sono invece 45, anche se in realtà verrebbe eseguita su circa la metà di essi, poiché gli altri avrebbero deciso di nutrirsi in privato o di assumere volontariamente le sostanze nutrizionali somministrate per evitare una pratica al limite della tollerabilità.

Le modalità brutali con cui le autorità militari di Guantánamo praticano l’alimentazione forzata sui detenuti che rifiutano il cibo erano state rivelate da un documento ottenuto e pubblicato da Al-Jazeera lo scorso mese di maggio.

Secondo quanto stabilito dalla procedura, un detenuto risulta ufficialmente in sciopero della fame quando rifiuta almeno nove pasti consecutivi oppure scende a meno dell’85% del suo peso ideale. Quando le autorità mediche stabiliscono la necessità di procedere con l’alimentazione forzata, il detenuto viene immobilizzato ad una sedia con una maschera assicurata sulla bocca “per evitare che sputi o morda”. Successivamente viene inserito un tubo attraverso le narici per far passare gli elementi nutritivi direttamente nello stomaco.

La procedura richiede in media dai 20 ai 30 minuti ma il detenuto può rimanere legato anche fino a due ore, in attesa che una lastra confermi che le sostanze abbiano raggiunto effettivamente lo stomaco. Il detenuto viene poi trasferito in un’apposita cella dove è tenuto sotto osservazione da una guardia per un’altra ora, nel caso ci siano segnali di vomito o cerchi di provocarsi volontariamente il vomito. In questo caso, la procedura viene ripetuta per intero.

Il ricorso all’alimentazione forzata con metodi che causano sofferenze indicibili ha quindi come obiettivo quello di piegare la resistenza residua dei prigionieri, così da farli desistere da un’imbarazzante forma di protesta estrema contro una situazione ormai disperata e senza via d’uscita.

Michele Paris - Altrenotizie

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