">
il pane e le rose

Font:

Posizione: Home > Archivio notizie > Imperialismo e guerra    (Visualizza la Mappa del sito )

Iraq

Iraq

(12 Agosto 2010) Enzo Apicella
Dopo numerosi rinvii, sembra che gli Stati Uniti rispetteranno i tempi previsti per il ritiro delle truppe dall’Iraq

Tutte le vignette di Enzo Apicella

costruiamo un arete redazionale per il pane e le rose Libera TV

SITI WEB
(Iraq occupato)

Che Falluja il 13 novembre sia su tutte le nostre bandiere

(10 Novembre 2004)

Cari compagni,

la controinformazione internazionale e in particolare quella USA, perlopiù ripresa da Uruknet, ci riversano agghiaccianti materiali su quello che sta succedendo a Falluja. Come sapete, la città è assediata e bombardata giorno e notte da oltre un mese. Nessun centro abitato, dalla fine della seconda guerra mondiale, da Dresda, Stalingrado e Hiroshima, ha subito un simile tentativo di liquidazione totale. 10.000 soldati statunitensi, rinforzati nelle retrovie dalle truppe britannicke della Black Watch e da decine di migliaia di mercenari delle compagnie private, stanno stringendo d'assedio i 100.000 abitanti sopravvissuti o non fuggiti dei 500.000 originari. Sono ormai quasi esclusivamente uomini. I bombardamenti hanno distrutto centinaia di case d'abitazione con il pretesto, totalmente falso e smentito da osservatori, analisti, nonchè dalle autorità religiose e amministrative della città, di voler colpire Abu Mussab Al Zarkawi e i suoi seguaci. Mentre è ormai provato che Zarkawi è un'invenzione degli strateghi USA (oscenamente avallata da Padre Benjamin - divenuto repentinamente antisaddamista - che gli attribuisce addirittura il controllo su 62 gruppi di combattimento: http://www.uonna.it/vivi-reporter-francesi.htm ), un pretesto come lo era Bin Laden quando si trattava di polverizzare l'Afghanistan per uccidere il socio di Bush, gli abitanti di questo eroico simbolo della resistenza antimperialista sono privati, non solo degli elementi di base per sopravvivere - acqua, cibo, medici e farmaci (quasi tutti gli ospedali sono stati distrutti), energia - ma perfino di un minimo di solidarietà internazionalista, di quella che era ancora viva e si manifestava al tempo dei massacri sionisti di Jenin, Ramallah, Rafah, Khan Junis, Nablus - pure assai minori per portata genocida - e quanto menoriuscì a frenare l'impeto stragista degli israeliani e a portare questi crimini contro l'umanità alla ribalta internazionale, alimentando la crescita e la forza del movimento contro la guerra e contro l'imperialismo.

A Falluja sono stati frantumati a forza di bombe ad alta penetrazione, ordigni incendiari, cannonate di grosso calibro, bombe a grappolo, bambini, donne, uomini, quanti non ne hanno uccisi nei loro attacchi tutti i combattenti suicidi palestinesi. Contemporaneamente una ONG dalle ambiguità comprovate come Human Rights Watch, da sempre in sintonia con i regimi di Washington, salvo qualche "correzione", fa circolare la cifra di 400.000 vittime del precedente governo iracheno, di cui 100.000 curdi, curdi che sarebbero stati uccisi nell'ultimo anno di guerra Iraq-Iran. Inutile dire che la bufala dei curdi gassati da Saddam a Hallabja è già stato smentita (il bombardamento con i gas fu effettuato dagli iraniani) nel modo più autorevole dagli alti livelli della CIA (Stephen Pelletiere, capo analista Cia di quella guerra, New York Times 31/1/2003) (1), nonchè da tutti i servizi d'informazione dell'epoca. Ma HRW non fornisce la benchè minima prova, oppure una per quanto dubbia fossa comune, a sostegno della cifra (2), che, comunque, collide con quanto ipotizzato dalla Croce Rossa e da altri enti di ricerca per i quali le morti violente sotto il precedente regime non superano il 2% di quelle verificatesi dall'inizio di questa guerra. E' chiaro l'intento di questa organizzazione sedicente non governativa di annullare l'effetto degli almeno 100.000 ammazzati tra i civili iracheni, documentati da istituti prestigiosi come la Columbia University e l'Università Al Mustanseria di Bagdad e riportati dall'insospettabile periodico medico britannnico "Lancet".

A Falluja si muore come le mosche, a Falluja si sta compiendo, secondo Simon Hersh, il giornalista che ha violato la consegna del silenzio sulle stragi di My Lai in Vietnam e la strategia delle torture imposte da Washington ad Abu Ghraib e in mille altre carceri, un olocausto di porporzioni inenarrabili. Confortato dalla rielezione del burattino Bush, la cerchia di neonazisti sionisti germogliati sotto Reagan e ormai completamente padroni di un paese lobotomizzato dalla paura indotta e in corso di rapida fascistizzazione, si appresta, fuori dal giudizio di qualsiasi consesso umano o giuridico, a menare colpi definitivi al più resistente e avanzato popolo del Medio Oriente. Un popolo decisivo per il destino di quella regione, e non solo. Caduta Falluja, e poi le altre città sotto controllo di una Resistenza che, come dimostrano il suo eccezionale coordinamento, la sua capacità di colpire come e quando vuole, l'appoggio popolare totale, le sue riserve militari e umane, la sua coscienza politica, rappresenta oggi la più grande minaccia per l'avanzata dell'imperialismo occidentale, le armate barbare intenderanno muoversi all'assalto e alla distruzione di altri popoli, stati, classi.

Falluja è una linea di resistenza dall'elevatissimo valore simbolico e politico. Falluja è la cartina di tornasole dell'agghiacciante barbarie degli aggressori e dell'eroismo degli aggrediti. A Falluja, come hanno scritto gli abitanti della città martire inviando appelli alla comunità umana, si difendono i valori di quella comunità, la sua stessa vita, il suo futuro. Possibile che il presidente fantoccio installato dagli USA a Bagdad si possa spendere per frenare il suo primo ministro, l'arnese terrorista Cia Allaui, dall'assalto a Falluja, possibile che lo spento notaio della "comunità internazionale" a stelle e striscie, Kofi Annan, si sbilanci con un'invocazione ad evitare la carneficina e passare al negoziato, mentre il movimento contro la guerra, lo schieramento antimperialista, le persone perbene se ne rimangano in silenzio, per poi inorridire magari quando qualche evento fortuito o qualche residuato dell'ecatombe porteranno alla luce frammenti dell'orrore inflitto a Falluja?

Dove è la nostra solidarietà con coloro che resistono all'imperialismo ben oltre le nostre capacità e disponibilit, fino al costo della vita? Potevano, i combattenti, la gente di Falluja fuggire tutta quanta e lasciare ai barbari il loro deserto. Perchè credete che sono rimasti lì, in armi, a difendere la loro città, il loro paese, la loro sovranità, la loro dignità? Per tutte queste cose e per una cosa in più: noi!

IL 13 NOVEMBRE ABBIAMO ANNUNCIATO CHE MANIFESTEREMO A ROMA, DA TUTTO IL PAESE, CONTRO IL MURO DI SHARON, Abbiamo anche inserito un capoverso contro l'occupazione di Palestina e Iraq e per il ritiro delle truppe straniere dall'Iraq. Giusto. Ma oggi come oggi, con Falluja moribonda e in piedi sotto i nostri occhi e alla mercè del nostro nemico mortale, forse, nel rilanciare la manifestazione nazionale del 13, ci vuole qualcosa in più. A Stalingrado abbiamo dovuto stare zitti. A Dresda eravamo confusi. A Marzabotto eravamo inermi. A Hiroshima abbiamo capito tardi. Non facciamo che dobbiamo vergognarci davanti ai ragazzi di Falluja stroncati con l'RPG in mano, alle mamme e ai bimbi tritati dalle bombe, davanti al nostro specchio, davanti ai nostri figli. Non pieghiamoci davanti agli imbroglioni della "spirale guerra-terrorismo"! Non ce le perdonerebbero gli stessi palestinesi che, ricordiamocene, il 17 gennaio del 1991 seppero stare, a costo di tutto, dalla parte giusta.

Che Falluja il 13 novembre sia su tutte le nostre bandiere, su tutti i nostri striscioni, in tutte le nostre parole d'ordine, in tutte le nostre anime, se ce l'abbiamo.

Fulvio Grimaldi

Fonte

Condividi questo articolo su Facebook

Condividi

 

Ultime notizie del dossier «Iraq occupato»

Ultime notizie dell'autore «Fulvio Grimaldi»

9684