">
il pane e le rose

Font:

Posizione: Home > Archivio notizie > Capitale e lavoro    (Visualizza la Mappa del sito )

Fiat voluntas Usa

Fiat voluntas Usa

(24 Settembre 2012) Enzo Apicella
Nel suo discorso all'Unione Industriale di Torino Marchionne addossa le colpe della crisi Fiat all'Italia che non si libera dalle zavorre.

Tutte le vignette di Enzo Apicella

PRIMA PAGINA

costruiamo un arete redazionale per il pane e le rose Libera TV

SITI WEB
(Capitale e lavoro)

A MARCHIONNE IL SINDACATO DOVREBBE RISPONDERE RIPROPONENDO GLI ANTICHI PILASTRI DELLA PROPRIA IDENTITA’ E DELLA PROPRIA RAGION D’ESSERE

(1 Agosto 2013)

marchionnsind

Sergio Marchionne ha nuovamente, per l’ennesima volta, rilasciato pesantissime dichiarazioni: “ In Italia – secondo lui – non è possibile fare industria, senza una nuova legge sulla rappresentanza sindacale che riduca finalmente a ragione questi operai ostinati nel chiedere salario e diritti”. Due lussi, salari e diritti, che nella società del liberismo selvaggio e della voglia padronale del ritorno al servaggio della gleba non dovrebbero essere permessi.
Anche in quest’occasione intendiamo, come ci è già più volta capitato, apparire ostinati custodi della memoria, incapaci di vedere il “nuovo che avanza”: ma intendiamo rammentare, prima di tutto a noi stessi e poi a qualcuno che può mantenere viva la stessa memoria, quali erano i pilastri di quel sindacato unitario che abbiamo, in altri tempi, cercare di definire come “soggetto politico” a tutto tondo.
Un sindacato che dopo tanti cedimenti, all’interno di una situazione drammatica per la condizione materiale di vita per milioni di persone, in un Paese quasi completamente privo di struttura industriale e con infrastrutture del tutto deficitarie, dovrebbe trovare finalmente un guizzo per ricordare e riproporre quelle che riteniamo i “pilastri” dell’identità e della ragion d’essere di un’organizzazione dei lavoratori.
Non sviluppiamo in questa sede la storia del sindacato italiano, la sua nascita parallela (a differenza di altre situazioni in Europa) alla formazione dei grandi partiti socialisti di massa, al fatto che accanto alle rivendicazioni puramente sindacali si situassero, sullo stesso terreno di lotta, le rivendicazioni di tipo politico: la libertà d'associazione, la libertà di stampa, l'allargamento del suffragio (quanti ricordano che, al momento della proclamazione del Regno d'Italia il diritto di voto era riservato a meno del 2% dei cittadini, in un paese con l'analfabetismo all'80% ?).
Poi, nel secondo dopoguerra, le diverse fasi della rottura e del recupero dell'unità sindacale, le grandi battaglie degli anni'50 in difesa delle fabbriche nella tormentata temperie della riconversione dell'industria bellica e dell'intervento pubblico, poi il “boom”, il consumismo (elemento sul quale andrebbe aperta una riflessione sincera e spregiudicata), la migrazione biblica dal Nord al Sud, l'avanzamento sociale, l'allargamento del terreno dei diritti.
Quale può essere, allora, il senso di questa estrema sintesi di ricostruzione storica?
Appunto, quello, di ricordare i pilastri su cui poggiava il sindacato italiano: non perché oggi si possa recuperare quella realtà, ma come punto di riferimento, nozione di idea-guida, tentativo di mostrare, partendo dal passato, un possibile campo di scelta.
Il primo elemento che è necessario sottolineare è quello dei collegamenti internazionali: oggi sono richiamate “convenzioni internazionali” sui diritti, strumenti sicuramente importanti ma nella maggior parte disattesi. Il punto risiede, invece, nella necessità di ripresa e sviluppo di organizzazioni sindacali che, attorno al nodo della realtà economica e produttiva dell'Europa di fronte alla crisi, si muovano unitariamente in una dimensione transnazionale.
Chiediamo, allora, a quanti sicuramente conoscono la situazione meglio di noi: come sta la CISL internazionale (cui anche la CGIL italiana aderì nel momento della chiusura dell'esperienza della FSM)?
Posta questa domanda, passiamo ad elencare quelli che abbiamo definito “ i tre pilastri”:
1) Il Contratto Collettivo nazionale di categoria: lo smantellamento di questo istituto ha rappresentato, prima ancora che sul piano normativo ed economico, il punto esiziale per il riconoscimento di un sindacato nazionale che ha, sempre e comunque, la sua ragion d'essere; il decentramento sotto questo aspetto, che pure poteva rappresentare parzialmente un momento di grande interesse nello sviluppo di vertenze d'azienda e territoriali, non doveva sostituire il momento fondamentale di un sindacato unitario come quello rappresentato dal contratto collettivo nazionale di categoria;
2) La scala mobile. Oggi, a distanza di tanti anni, credo si comprenda meglio il valore di quella battaglia perduta e ci permettiamo di non aggiungere altro;
3) La rappresentanza di tipo “consiliare” all'interno dei luoghi di lavoro. Senza alcun accento nostalgico (di cui pure ci potrebbe essere ragione) è necessario ricordare come l'unità sindacale possa poggiare soltanto su di un’unità di base che i “consigli” erano in grado di assicurare, pur dentro ad un dibattito acceso, non unanimistico, che rifiutava – ed è questo un altro punto decisivo- il neo corporativismo e lo straccio della “concertazione” (Concertazione da distinguere bene dalla politica dei redditi).
Potremmo ricordare, ancora, come la presenza contemporanea di questi tre elementi (il contratto collettivo garantito dallo Statuto dei Lavoratori; la scala mobile, ricordando l'accordo Lama-Agnelli; il sindacato dei consigli emerso dalla grande stagione del 68-69) coincise con il momento più forte e più alto della presenza sindacale nel nostro Paese, e di avanzamento delle ragioni dei diritti e del miglioramento della qualità della vita per tutti, non soltanto per i lavoratori dipendenti.
Qualcuno obietterà: c'era la classe operaia.
Giustissimo, e la classe operaia era legata ad un’idea di sviluppo industriale che il nostro Paese, a differenza di altri partner europei, ha abbandonato da tempo: siamo privi, per diverse ragioni, di chimica, elettronica, agroalimentare, con il peso della scelta sbagliata della privatizzazione di un settore ancora strategico come la siderurgia e la mancata difesa di tanti altri settori manifatturieri.
Abbiamo puntato su di una visione sbagliata del ciclo liberista: oggi la crisi reclama nuovi indirizzi, all'interno dei quali si recuperano concetti quali quelli della programmazione e dell'intervento pubblico in economia che apparivano superati ed obsoleti.
Obsoleti non appaiono certo quei “pilastri” dell’identità sindacale che si è cercato di ricordare ostinatamente anche questa volta.

Franco Astengo

Fonte

Condividi questo articolo su Facebook

Condividi

 

Ultime notizie del dossier «Crisi e lotte alla Fiat»

Ultime notizie dell'autore «Franco Astengo»

6458