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La fatalità dominante

La fatalità dominante

(26 Novembre 2011) Enzo Apicella

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(Senza casa mai più!)

"Rilanciare l'intervento pubblico per risolvere l'emergenza casa"

Una conversazione con Fabrizio Ragucci, dell'Unione Inquilini di Roma

(3 Agosto 2013)

A Roma, non è più solo il tradizionale proletariato marginale a vedere minacciato il proprio diritto all'abitare. Per questo, secondo il compagno dell'Unione Inquilini che abbiamo intervistato, occorre intervenire sulla questione casa con un ampio ventaglio di strumenti. Rompendo con la logica che ha dominato per anni nell'Urbe, all'insegna della netta prevalenza degli interessi di pochi costruttori su quelli della collettività.

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Anzitutto, vorremmo sapere chi si rivolge, oggi, all’Unione Inquilini
Attualmente, vengono persone appartenenti a diversi ceti sociali. Sono poche, in questa fase, le categorie totalmente immuni dalla cronica malattia che minaccia il diritto all’abitare. Molti che, fino a poco tempo fa, guadagnavano bene e potevano ambire all’acquisto di una casa, oggi sono in sofferenza o addirittura si sono ridotti a vivere in un camper parcheggiato in questo o quel punto della città.
A parte questo dato generale, ti posso dire che, sebbene gli immigrati che si rivolgono a noi sono in aumento, la percentuale degli italiani può essere fissata attorno all’80%. Parliamo di pensionati, ma soprattutto di lavoratori dipendenti o precari. La maggior parte di quelli che vengono qui sono persone con un reddito medio. Non mancano quelli che hanno un reddito basso, ma spesso in questa fascia sociale si avverte una tale sensazione di debolezza che si rinuncia a cercare di far valere i propri diritti.

Quali sono le problematiche più ricorrenti che dovete affrontare?
Naturalmente, esse variano in relazione ai soggetti sociali. Ad esempio nella fascia che ho definito dei precari, vi sono studenti-lavoratori che, nove volte su dieci, hanno difficoltà legate all’affitto in nero. Ma il tema di gran lunga dominante è quello della morosità. Sino a 4 o 5 anni fa esso aveva una diffusione che era circa la metà di quella di oggi. Sì, attualmente la maggior parte di quelli che vengono da noi non riescono a pagare il canone.

Voi rispetto a questa situazione drammatica avete fatto delle proposte concrete alla Pubblica Amministrazione
Certo. Secondo noi è necessario anzitutto ampliare l’intervento del pubblico rispetto al tema della casa. Quindi va rifiutata la filosofia che ha dominato l’ultimo quindicennio. Il patrimonio edilizio pubblico e parapubblico non va dismesso. Così come non vanno vendute le case popolari, semmai ne vanno realizzate di nuove…

Con quali modalità? Qualcuno potrebbe pensare che siete favorevoli ad ulteriori cementificazioni, sia pure a scopi sociali
In verità, non c’è alcun bisogno di aumentare le cubature esistenti. Si può benissimo usare, riadattandolo, il vasto patrimonio edilizio pubblico esistente. Pensiamo alle ex strutture militari, che nella capitale sono particolarmente numerose. O agli edifici che, in un passato recente, il Comune e altri enti hanno adibito ad usi particolari (Case Cantoniere, Depositi Atac ecc.). Di certo, per muoversi nella direzione che abbiamo suggerito, ci vuole un censimento realistico – cioè il più possibile aggiornato – di questo patrimonio, che al momento non è a disposizione.
Ma noi pensiamo pure a tutto ciò che, negli ultimi anni, è stato realizzato dai palazzinari beneficiando di agevolazioni tali da poter costruire praticamente “a costo zero”. In alcune zone i costruttori si sono visti regalare i terreni dietro la garanzia che una parte delle case fosse locata a un prezzo basso, cosa che il più delle volte non è avvenuta.
Gran parte di questo patrimonio risulta inevitabilmente sfitto o invenduto. Certo, su un piano giuridico, si tratta di stabili privati, ma sono stati costruiti su terreni pubblici regalati o, comunque, chi li tirati su ha beneficiato di enormi agevolazioni pubbliche. A nostro avviso, si deve intervenire anche su questo fronte, mettendo i costruttori di fronte alla possibilità di destinare una parte di quelle case al pubblico.

Da quel che sappiamo, voi avete formulato ulteriori proposte relative agli affitti e agli sfratti
Sì, noi partiamo dalla constatazione che gli affitti sono troppi alti e che debbano scendere. Bisogna intervenire sul tema in modo concreto e non sulla base di proposte come quella fatta da Marino in campagna elettorale, che prevedeva di sostenere con 700 euro al mese chi non riesce a pagare il canone. Ora, a parte la fattibilità o meno sul piano economico, l'idea del neo sindaco ha il torto di lasciare gli affitti così come sono. Noi invece proponiamo una regolazione del problema attraverso un confronto tra enti locali, inquilini e proprietari. Per scendere nel dettaglio: se io non riesco più a pagare 900 euro al mese, posso rivolgermi al Comune, che convoca me ed il proprietario e spinge quest’ultimo ad abbassare il canone a 600 euro. Laddove io, inquilino, continuo ad avere difficoltà, il Comune mi può aiutare, diciamo, nell’ordine di 200 euro. In sostanza, quello che ti ho descritto è il funzionamento della Commissione gradazione sfratti che convoca le parti e le rispettive associazioni di appartenenza per trovare un accordo. In essa, il Comune fa da garante per l’inquilino. Noi proponiamo di istituirla pure a Roma perché laddove è già funzionante (a Bologna e a Torino) è riuscita spesso a risolvere i problemi.

Tornando sulla proposta di Marino, la possiamo catalogare come mera sparata elettorale?
Direi proprio di sì. Marino aveva presentato la sua proposta come alternativa immediata ai residence. Ma se analizziamo il problema, scopriamo che il Comune ha sottoscritto contratti intoccabili con i proprietari dei residence. Per disdirli dovrebbe pagare delle penali enormi. E’ chiaro che collocare le famiglie sfrattate nei residence non rappresenta una soluzione, bensì una prassi che va superata. Ma per farlo occorre una progettualità seria, che non passa per slogan occasionali.

Chiarissimo. Per concludere, ci piacerebbe che tu ci spiegassi come vedete i movimenti che, a Roma, danno vita ad occupazioni a scopo abitativo. Alcuni sindacati degli inquilini spendono contro di essi roboanti parole di condanna
Le realtà comprese nella sigla Movimenti per il diritto all’abitare esprimono delle idee che in gran parte coincidono con le nostre. E portano avanti lotte rispetto alle quali esprimiamo la massima solidarietà. Del resto, questi movimenti organizzano un settore sociale molto largo, che spesso non ha alternative all’occupazione e che quindi è portato a sostenere un alto livello di conflittualità.
Però, nella capitale, non sono in pochi quelli che pur vivendo lo stesso dramma, a torto o a ragione confidano ancora nelle “regole del gioco”. Si pensi alle migliaia di persone che attendono un alloggio popolare attraverso il meccanismo delle graduatorie. In fondo, il nostro ruolo è anche quello di creare un dialogo fra questo mondo e quello di chi occupa, superando le divisioni che la stampa locale - spesso legata i costruttori - tende ad esacerbare.
Il punto è che, in una metropoli come la nostra, il problema della casa presenta tante facce, che richiedono soluzioni variegate. C’è tutta una fascia che si rivolge a noi e che, pur vivendo una situazione limite, non potrebbe comunque occupare. Si pensi a quelle persone anziane che, in conseguenza di una pensione bassa hanno problemi non solo con l’affitto ma, ormai, anche con la spesa quotidiana. Si tratta di figure sociali sempre più diffuse, che non possono adottare le forme più estreme della lotta ma che vanno assolutamente tenute in considerazione.

A cura de Il Pane e le rose - Collettivo redazionale di Roma

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