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13 Novembre: chi c’e’ e chi non c’e’

(11 Novembre 2004)

A pochi giorni dall’annunciata manifestazione contro il Muro dell’Apartheid e per il ritiro delle truppe di occupazione dalla Palestina e dall’Iraq, può essere interessante dare uno sguardo ai presenti ed agli assenti di quello che già si configura come un appuntamento politico di estrema rilevanza.

All’appello lanciato la scorsa estate dalla Campagna Palestinese contro il Muro dell’Apartheid, dall’Italia hanno risposto centinaia di associazioni, comitati, forze politiche, sindacali e di movimento, oltre a personalità della cultura, dell’informazione e della politica.

Fra le adesioni individuali, spiccano quelle di Joseph Halevi, dell’europarlamentare Luisa Morgantini (che, pur non potendo essere presente fisicamente, ha augurato agli organizzatori un pieno successo dell’iniziativa), dei parlamentari Verdi Bulgarelli, Cento e Zanella, di una nutrita pattuglia di operatori dell’informazione non embedded (Stefano Chiarini, Tommaso Di Francesco e Vauro Senesi del Manifesto, il direttore di Liberazione Piero Sansonetti, il giornalista della stessa testata Giancarlo Lannutti, Maura Gualco dell’Unità, il free lance (suo malgrado) Fulvio Grimaldi, Maurizio Musolino della Rinascita della Sinistra ed altri meno noti ai più, ma non meno impegnati nella difficile opera di informazione sulla realtà del Medio Oriente. Molti gli esponenti politici locali, dai consiglieri comunali romani Adriana Spera (PRC) e Nunzio D’Erme (Disobbediente), al consigliere indipendente della Provincia di Roma Remo Terenzi, dal capogruppo del PRC alla Regione Toscana, Giovanni Barbagli, all’intero gruppo consiliare alla Provincia di Roma del PdCI, insieme ad interi gruppi consiliari comunali, provinciali e regionali dello stesso partito ed a molti esponenti del PRC, particolarmente della Toscana.

Per quanto riguarda le adesioni “collettive”, sono presenti tutte le comunità italiane dei Palestinesi della Diaspora, associazioni, collettivi, comitati di solidarietà, le due maggiori organizzazioni del sindacalismo di base (RdB e Cobas), centri sociali, il Partito dei Comunisti Italiani, la Sinistra DS per il Socialismo, molti circoli del PRC, Social Forum e reti no global.

Si tratta, in tutta evidenza, di una parte significativa di quella “sinistra alternativa” di cui molto si parla, ma che deve creare qualche difficoltà nel momento in cui si aggrega e si mobilita autonomamente attorno a questioni centrali, come è centrale oggi la solidarietà con la lotta di liberazione del popolo palestinese e l’impegno per il ritiro delle truppe di occupazione dall’Iraq, a cominciare dalle “nostre”. Fin qui, chi c’è.

Non c’è la cosiddetta “sinistra moderata”, e non c’è nemmeno il centro che guarda a sinistra; in sostanza, brillano per la loro assenza la maggioranza DS che fa capo al noto esponente della “Sinistra per Israele” e dell’associazione Italia – Israele (sezione di Torino) Piero Fassino e la Margherita che fa capo all’ex radicale (ed ex molte altre cose) Francesco Rutelli.

Un discorso a parte va fatto per il Partito della Rifondazione Comunista, per definire il quale siamo costretti a ricorrere ad una metafora religiosa: il PRC è uno e trino, nel senso che una parte (l’area dell’Ernesto e la sinistra di Marco Ferrando) è fra i promotori della manifestazione; un’altra parte (la maggioranza bertinottiana e le truppe di complemento della rivista “Erre”) ha aderito con una propria piattaforma che sembra più una dissociazione che un’adesione; un’altra parte, infine, non perde occasione per sputare veleno contro la manifestazione ed i suoi promotori. Quest’ultimo spezzone, per la verità, sembrerebbe limitato alla persona di Gennaro Migliore, che però non è uno qualunque, perché è il responsabile della politica estera del PRC. Il Migliore in questione è solito definire “famigerato” il Forum Palestina, ha messo il veto alla presenza del suo portavoce ai dibattiti alla Festa nazionale di Liberazione e, da ultimo, ha perorato presso Action for Peace la nobile causa del boicottaggio della manifestazione del 13 novembre; quest’ultimo exploit lo ha esposto al rischio di un ricovero urgente in un reparto di neurologia specializzato nel trattamento di soggetti schizoidi, perché altri esponenti di Action for Peace gli hanno fatto notare (con la dolcezza necessaria in casi così gravi) che il suo partito, in un modo o nell’altro, aveva aderito alla manifestazione che lui vorrebbe boicottare e che sarebbe ora che il suo partito facesse qualcosa per la Palestina, anziché rompere i coglioni ogni qualvolta altri si sforzino di farlo.


Visto anche il momento in cui avviene, la manifestazione del 13 novembre – come le altre che si terranno in Europa e negli stessi Territori Occupati - viene ad assumere un significato particolare: mentre Israele sviluppa il massimo di ferocia contro il popolo palestinese (duecento palestinesi assassinati nel solo mese di ottobre) e gli USA del riconfermato Bush ed i loro volenterosi alleati stanno facendo di Falluja la Jenin irachena, mentre l’unità della resistenza palestinese fa da contrappunto alle incomprensibili e irritanti alchimie del notabilato dell’ANP al capezzale del Presidente Arafat e i partigiani iracheni tengono inchiodate le sturmtruppen di Bush e dei suoi likudniks, il popolo della pace torna a farsi vedere ed a farsi sentire.

Torniamo in piazza per imporre ad una recalcitrante agenda politica poche ma chiare questioni: non sono più tollerabili la complicità con Israele e l’assenza di interventi concreti, quali le sanzioni economiche, nei suoi confronti; la battaglia per il ritiro immediato delle “nostre” truppe dall’Iraq non può essere subordinata alle compatibilità del quadro politico e meno che mai alle aspirazioni governative di chi prima si è riempito la bocca di “movimento dei movimenti” e di “un altro mondo possibile” ed ora pretende di costruire la “sinistra alternativa” dall’altro di una poltrona di Palazzo Chigi. Questo è il 13 novembre e questo sarà i giorni che seguiranno: chi c’è, chi non c’è ed anche chi non sa, non potrà non tenerne conto.

Arcipelago

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