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LE PRIMAVERE ARABE COME IL ’68 EUROPEO?

(22 Agosto 2013)

Mentre improvvisati strateghi di una rinnovata geopolitica si dilettano di complotti internazionali, assistiamo con dolore e sgomento alla tragedia egiziana collocata al centro delle complesse fibrillazioni che interessano quel mondo che, impropriamente, proprio ignorando la geopolitica, è definito da molte parti come “mondo arabo”.
La domanda da porsi però è questa: che fine hanno fatto le altrettanto impropriamente denominate “primavere arabe”?
E’ possibile provare a fornire una risposta probabilmente non inserita nei consueti canoni d’interpretazione.
Se osserviamo, infatti, alla situazione attuale, dal punto di vista di coloro che pensavano a uno sviluppo di tipo “democratico” sul modello occidentale, l’esito non può che essere giudicato, complessivamente, come del tutto negativo.
La situazione appare di diversa lettura se, invece, proviamo a osservare nel profondo le modificazioni della realtà che si sono verificate in questo periodo, sia dal punto di vista generale, sia scavando nelle differenti realtà che pure non è possibile omogeneizzare.
Sono emerse contraddizioni molto rilevanti che rimangono ancora irrisolte: prima di tutto quegli elementi di carattere economico, politico e sociale comuni ad esempio alle situazioni tunisine, libiche ed egiziane che possono essere riassunte nella fortissima disoccupazione, nelle miserrime condizioni di vita di gran parte delle popolazioni dovute soprattutto all’eccessivo costo dei generi alimentari, la corruzione dilagante. Ragioni di condizione sociale quindi comprese quelle definibili “di classe” intrecciate a ragioni più squisitamente politiche, nell’idea che la corruzione potesse essere affrontata attraverso l’avanzata della democrazia.
La seconda contraddizione di grande importanza è quella del conflitto tra città e campagna, assistendosi sotto quest’aspetto a una “secolarizzazione” delle popolazioni “cittadine” e una forma di resistenza conservatrice attorno a fondamenti religiosi nelle campagne.
Esiste, poi, specificatamente un problema di “settarismo islamico” nella rivalità tra Sciti e Sunniti.
Il paragone con il’68 europeo può essere, a questo punto, formulato in questo modo: come accadde, appunto con il ’68, gli esiti politici (pensiamo alla Francia) furono di modestissimo rilievo, ben più profondi e duraturi nel tempo risultarono essere invece gli esiti di mutamento sociale, nella cultura e nel costume (si tralascia, ovviamente, il giudizio su aspetti peculiari di questi fenomeni che pure dovrebbero essere affrontati per ragioni evidenti di economia del discorso).
Ecco: la comparazione sta proprio qui : le impropriamente denominate “primavere arabe”, hanno sortito effetti, apparentemente poco visibili, nella complessità del tessuto sociale.
Soprattutto attorno a due punti: il primo è quello dell’affievolirsi del fascino dell’Islam radicale, come bene spiega la scrittrice Ayaan Hirsi Ali sul “Corriere della Sera”. Una tendenza che potrebbe apparire paradossale, in questo momento in cui gli islamisti paiono godere di grande popolarità. Ma le popolazioni, considerate anche l’analisi delle esperienze iraniane e afgane, non paiono ormai più così convinte che la sharia sia la risposta a tutti i problemi della modernità, come ha anche dimostrato nella tragicità delle sue contraddizioni una parte della risposta avutasi all’interno della vicenda egiziana.
Il secondo punto riguarda l’emergere di gruppi oppressi, che non potrà più essere fermato. Le donne, le minoranze religiose, le altre minoranze sociali e culturali sono ancora estremamente vulnerabili in Medio Oriente e in Nord Africa. Ma questi gruppi si stanno organizzando. Negli ultimi tre anni il femminismo è stato ben presente, come mai nella storia, all’interno delle vicende egiziane.
Si tratta di fenomeni che possono incrinare le certezze di una società schematicamente suddivisa dal punto di vista sociale e al cui interno si fronteggiano totalizzanti certezze di tipo religioso.
Tutto ciò, ovviamente, non esploderà nell’immediato e le contraddizioni permarranno per un periodo non breve, con tutto il loro carico di rischi di conflitto sanguinoso.
A questo punto però si pone un’altra domanda.
In ogni caso il processo sociale, politico, economico, pare avviato comunque verso una prospettiva di adeguamento all’occidentalizzazione?
Insomma sarà il liberismo capitalista, alla fine, l’avversario “vero” dell’islamismo radicale e queste nuove tendenze che si è cercato di illustrare risulteranno schiacciate nella tenaglia capitalismo /islamismo che appare come la prospettiva più fondata per il futuro?
Esistono spazi per soluzioni diverse, più avanzate.
Anche in questo caso un’azzardata comparazione “storica”, quella relativa al ’68 – 69 italiano, quando si verificò la saldatura tra studenti e operai e si produsse nel tempo una profonda modificazione nel costume, negli assetti sociali (pensiamo al sindacato dei consigli) nella politica (con la grande avanzata a sinistra): se la contraddizione esplosa sul piano economico – sociale che tanta importanza ha avuto comunque in queste ultime vicende, riuscisse a saldarsi con quelle tendenze di “rottura” dell’assetto sociale consolidato nel senso della secolarizzazione e dell’emergere di nuovi gruppi sociali, in particolare delle donne e di esponenti di culture alternative, non potrebbe essere forse possibile mettere in campo un’alternativa e una proposta di diverso indirizzo?
Tutti interrogativi ovviamente, ma validi e plausibili.
Sullo sfondo due questioni da affrontare: la prima quella relativa alle forze politiche presenti sul campo al riguardo delle quali mi pare non sia possibile in questo momento realizzare ipotesi plausibili al riguardo del ruolo che possono essere chiamate a ricoprire nell’immediato futuro (certo non ci sono più i partiti socialisti del tempo della decolonizzazione, come in Tunisia) e quello dell’Occidente, o meglio della sinistra occidentale che dovrebbe porsi il problema, invece di giocare – appunto – come si diceva all’inizio a imitare strategie geopolitiche da tempi di guerra fredda, del come concretamente appoggiare le forze sociali più avanzate, anche attraverso espressioni dell’usata ma da recuperare solidarietà internazionalista.
Il mondo negli ultimi vent’anni ha superato due fasi: quella della divisione in blocchi e quella del gendarme solitario della democrazia nel mondo.
Le cose stanno cambiando, anche se questo fatto non appare immediatamente alla vista, e bisognerebbe cercare di sforzarsi per capirlo.

Franco Astengo

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