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Esperti militari italiani in Libia

Esperti militari italiani in Libia

(21 Aprile 2011) Enzo Apicella
Il governo italiano ha deciso di inviare esperti militari a Bengasi, roccaforte dei ribelli libici

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EUROPA COMPLICE

(19 Luglio 2002)

Come era ampiamente prevedibile, anche l'ultima riunione del "quartetto" (USA, Russia, Unione Europea e ONU) autoinvestitosi della ricerca di una soluzione per il conflitto in Medio Oriente si è conclusa con un inchino generalizzato alla voce del padrone, che è poi quella di George W. Bush. Come hanno notato i (pochi) commentatori italiani non asserviti ai diktat di Washington e Tel Aviv, a leggere il comunicato finale del "quartetto" non si direbbe che uno Stato occupa da trentacinque anni territori altrui, massacrandone sistematicamente la popolazione ed altrettanto sistematicamente infischiandosene delle 280 Risoluzioni dell'ONU in proposito.

Il problema - come sostengono autorevolmente il premier israeliano Sharon e il suo Ministro degli Esteri Peres - è sempre costituito dalla naturale inclinazione dei Palestinesi alla violenza ed al terrorismo, inclinazione che rende necessaria e inevitabile l'occupazione militare e coloniale della loro terra e, in una prospettiva nemmeno troppo lontana, il loro definitivo allontanamento. Se il responsabile di simili azioni si fosse chiamato Slobodan Milosevic e fosse stato di nazionalità jugoslava, la sedicente comunità internazionale non avrebbe esitato a fare la guerra a lui ed al suo popolo, ma siccome il responsabile si chiama Ariel Sharon ed è di nazionalità israeliana, la colpa è tutta dei Palestinesi e della loro Autorità Nazionale che non riesce a tenerne a bada i naturali istinti sanguinari.

In questa vicenda, non stupisce più l'appiattimento dell'Europa sulle posizioni nordamericane e sioniste: a quasi due anni dall'inizio della seconda Intifada, il solo intervento dell'Unione Europea in quella crisi è stata l'adesione alla volontà americana ed israeliana di inserire nell'elenco delle organizzazioni terroristiche anche i gruppi della Resistenza palestinese, compreso quel Fronte Popolare che rappresenta la seconda organizzazione storica palestinese. Naturalmente, nell'elenco delle organizzazioni terroristiche non figura nessuno dei tanti raggruppamenti estremistici sionisti, anche perché i loro esponenti più in vista sono i ministri del governo Sharon-Peres. 

Questa Europa che non riesce a far sentire la propria voce (ammesso che ne abbia una) non ha il diritto politico e nemmeno il diritto morale di condannare alcunché; questa Europa di banchieri, mercanti e lacchè si piegherà anche al prossimo sterminio annunciato, quello che si prepara sfacciatamente contro l'Irak.

Mai come ora, dunque, la responsabilità di opporsi allo sterminio in atto - quello palestinese - ed a quello annunciato contro l'Irak ricade sulle spalle dei popoli e dei cittadini europei, visto che anche le diverse sinistre politiche del continente brillano per la loro incapacità e per il loro servilismo; il tanto osannato Jospin della "sinistra plurale", per fare un esempio, è stato punito nell'urna da quei milioni di francesi che hanno trovato la sua politica disgustosamente filosionista, tanto da preferirgli i candidati dell'estrema sinistra o, più ancora, l'astensione (da leggere, a questo proposito, l'articolo di Rabah Ait-Hamadouche sull'ultimo Le Monde Diplomatique).

La situazione italiana non è certo migliore, se pensiamo che il Segretario del primo partito della sinistra è da sempre legato a doppio filo alla lobby sionista ed ha inaugurato il suo incarico, quasi un anno fa, facendo chiudere lo stand palestinese alla Festa dell'Unità di Roma, per farvi aprire quello di un'associazione filoisraeliana; quanto al "movimento dei movimenti", i frequentatori di questo sito hanno avuto ampiamente modo di essere informati dell'ambiguità di molti dei suoi esponenti più in vista e delle sue stesse parole d'ordine. Anche qui, però, la nemesi si è puntualmente materializzata: la crisi del "movimento" (o meglio, dei suoi autoproclamatisi dirigenti) si è manifestata esattamente in occasione delle mobilitazioni popolari a fianco della Resistenza palestinese, che ne hanno messo a nudo i limiti e la vuota sloganistica buona per tutte le occasioni.

Se questa Europa e queste sinistre non fanno sentire la loro voce, dunque, toccherà ai popoli ed ai cittadini far sentire la propria, con gli strumenti di quella diplomazia popolare che non può limitarsi ai tentativi di interposizione a protezione della popolazione palestinese (oramai impossibili, fra l'altro), così come ieri non si limitava a svolgere il ruolo di scudi umani a Belgrado; occorre utilizzare tutta la cassetta degli strumenti della mobilitazione di massa, non più solo contro il governo Sharon-Peres, ma direttamente contro i governi europei e le istituzioni europee, non più spettatori ma complici del massacro in atto e di quello a venire.

Dobbiamo manifestare a Bruxelles, dunque, come dobbiamo manifestare in cento città europee, contro l'occupazione, contro la guerra e contro i nostri governi complici e servi; dobbiamo anche fare del boicottaggio dell'economia di guerra israeliana una pratica costante, quotidiana e generalizzata, praticando dal basso quelle sanzioni che la diplomazia ufficiale non intende adottare. Dal basso, come dal basso è stata costruita la splendida manifestazione del 9 marzo.

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