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IL PANE E LE ROSE - classe capitale e partito
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Fukushima, scene dalla terra guasta

(27 Agosto 2013)

Un treno adagiato sul cimitero di Onagawa Cho («a trenta metri sul livello del mare»), un palazzo sventrato, solitario e dominante su una landa di detriti (i resti della città di Rikuzen Takata, più precisamente), un imponente peschereccio illogicamente ormeggiato, a Kesennuma, tra una serie di pallidi edifici colpiti dalla furia inaspettata dell'Oceano Pacifico. E poi un'ambulanza di Minami Sanriku Cho accartocciata come carta velina, un camion porta benzina coricato incredibilmente sul muro di un edificio o, ancora, un inedito paesaggio che mostra alcune navi su un fiume rosso di ruggine, acido solforico e argilla.

Drammatiche, toccanti, esteticamente inquietanti. Ma anche sublimi, metafisiche e paradossalmente surreali. Le immagini proposte da Yasushi Handa nel suo Mighty Silence. Images of Destruction. The Great 2011 Earthquake and the Tsunami of East Japan and Fukushima (Skira, 276 pagine, euro 60) mostrano uno scenario che misura il dolore con il veloce compasso della fotografia per avvicinare lo spettatore a una esperienza visiva che toglie la voce alle parole, imita la morte e asporta la fine al finale.
Conosciuto in tutto il mondo per i suoi scatti di moda e per i suoi ritratti eseguiti a molte star del mondo della musica e del cinema (tra questi, Harrison Ford, Brad Pitt, Eric Clapton, Plácido Domingo e degli Aerosmith), Yasushi Handa - classe 1955 - pone al centro del suo reportage ciò che resta di una calamità naturale, di un dramma terribile e incontrollabile, di una devastazione che rende partecipe l'intera umanità. «Per 24 ore - ricorda l'artista in un testo di presentazione al volume - quasi ininterrottamente i media hanno mandato in onda le raccapriccianti immagini del potere violento della natura che, a sua volta, ha innescato una calamità artificiale»: ovvero l'esplosione di alcune centrali nucleari e la fuoriuscita, dunque, di molte sostanze radioattive che hanno lasciato lo spettatore planetario incredulo e senza parole.

Pubblicato a due anni esatti dal terremoto e dallo tsunami che ha devastato la costa orientale del Giappone, Mighty Silence è, infatti, un rapporto fotografico - pubblicato in tutto il mondo a due anni esatti dai fatti del marzo 2011 (grazie all'aiuto e al sostegno economico di Shiseido, azienda leader nel settore dei cosmetici) - che inchioda lo spettatore alla sedia per offrire scene dolorose, rappresentazioni e spettacoli di una quiete spettrale che ha preso il posto della tempesta e ha acceso un riflettore sulla storia e sul senso della vita.

Si tratta, appunto, di un racconto per immagini che se da una parte si fa indispensabile testimonianza, traccia di una memoria collettiva di stampo globale - una memoria che si sfolla sotto i colpi di un presente pulsante e martellante -, dall'altra pone al centro del discorso il lavoro di un artista che indossa gli abiti del fotoreporter, di un inviato speciale nella realtà che sottrae il tempo al tempo per costruire un rapporto iconografico esteticamente elegante, accattivante, passionale e sincero.

Fotografo tra i più conosciuti e apprezzati del panorama culturale internazionale (le sue fotografie sono state pubblicate sulle prime testate Condé Nast quali Vogue, GQ, Vanity Fair), Yasushi Handa trasforma, così, l'ordinario in straordinario, in spazio scenico da cristallizzare mediante riflessioni pungenti che bucano lo sguardo dello spettatore per immetterlo in un panorama visivo scioccante, in una terra guasta suggerirebbe Giorgio Caproni lettore e traduttore di Thomas S. Eliot, guastata dall'assenza di prevenzione nei confronti di sciagure nucleari come quella della Fukushima Nuclear Power Plant.

Segnate da una patina che avvolge le cose rendendo impenetrabile e inabitabile lo spazio, il rapporto fotografico proposto da Handa - un rapporto avviato appena venti giorni dopo il disastro - si pone, allora, come «un must per coloro che vogliono capire», che sentono l'esigenza di guardare, da una latitudine differente (quella dell'antropologo impegnato), la cronistoria di una vicenda imprevedibile scoppiata durante «l'inizio della Obon Holiday, un momento in cui molti giapponesi ritornano alla loro città di origine per commemorare, secondo la tradizione buddista, i propri defunti».

Una serie di immagini, accanto a quelle che esprimono impotenza e sventura, mostrano, tuttavia, la luce, la speranza, la compostezza e l'incredibile capacità di un popolo operativo pronto a risanare il proprio presente per costruire, ancora una volta, il proprio futuro.

Antonello Tolve, Il Manifesto

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