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Siria

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    La guerra imperiale contro la Siria

    (28 Agosto 2013)

    siriawar

    Martedì 27 Agosto 2013 23:00

    L’attacco americano alla Siria è imminente. Obama già dato il via libera, a detta della Nbc, mentre stando alla Reuters non avrebbe ancora deciso. Ma tutto sembra indicare che la guerra sta per avere inizio: la procedura normalmente utilizzata a scopi mediatici per convincere gli americani dell’indispensabile nuova aggressione ad uno Stato sovrano è già in marcia. Il Segretario di Stato Kerry si è già scatenato in minacce di fronte ai taccuini aperti degli impiegati embedded della grande stampa d'Oltreoceano, e lo stesso ha fatto il portavoce della Casa Bianca.

    Sono cominciate le finte indiscrezioni dei giornali e le interviste ai presunti esperti militari e d’intelligence, utili a saggiare il clima, ma i risultati non sono stati esaltanti: oltre il 60% degli statunitensi non approvano la nascita di un nuovo fronte di guerra.

    Come sempre, il casus belli è sostanzialmente costruito ad arte; dal Golfo del Tonchino al famoso arsenale di Saddam denunciato da Colin Powell in sede ONU e poi rivelatosi miseramente falso, la propaganda bellica statunitense non va tanto per il sottile. Il privilegio di controllare la grande maggioranza dei media planetari, sia in quanto proprietari, sia in quanto direzione politica e ideologica, permette agli Stati Uniti di poter dire e negare tutto e il contrario di tutto senza dover ricorrere all’obbligo di dimostrarne la fondatezza. Nel caso specifico, non vi sono prove sull’uso di armi chimiche da parte del regime di Assad, che anzi, a rigor di logica, risulta difficile immaginare, dal momento che il luogo dove l’attacco chimico si sarebbe svolto vedeva la presenza massiccia di forze lealiste.

    Ancora più bizzarro appare l’attacco al convoglio degli ispettori ONU, dal momento che Damasco ha proprio nel ruolo delle Nazioni Unite l’unica deterrenza politica e giuridica nei confronti della scalata interventista di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna. Quale interesse avrebbe avuto nell'aprire il fuoco contro l'ONU? Lo avrebbero avuto semmai i ribelli, come del resto sono interessati a incolpare il governo dell'uso delle armi chimiche. Il che non significa che effettivamente il regime siriano non le abbia utilizzate, ma un’inchiesta approfondita sarebbe utile, dal momento che l’unica fonte al riguardo è rappresentata dai ribelli islamici, non proprio affidabili e certamente non neutrali. Prima di scatenare un’altra guerra varrebbe la pensa sapere cosa è avvenuto e di chi sono le responsabilità.

    Come quelle venute fuori - solo per fare un esempio - dalla pubblicazione da parte della rivista Foreign Policy della declassificazione dei documenti segreti del Pentagono relativi alla guerra che, 23 anni orsono, l’allora buon amico Saddam Hussein scatenò contro l’Iran di Khomeini. L’Iraq utilizzò massicciamente armi chimiche - gas Sarin per la precisione - contro la popolazione iraniana, in particolare nell’operazione definita “Sacro Ramadan” e lo fece con il consenso degli Stati Uniti. I morti si contarono a migliaia.

    Lo rivelano alti ufficiali della US Army e membri della CIA in pensione. La proibizione dell’uso delle armi chimiche risale al 1925 e al Protocollo di Ginevra del 1925, cioè di 55 anni prima della guerra tra Iraq e Iran (1980-1988), ma nella circostanza gli USA non sembrarono scandalizzarsi, dato che come disse l’allora presidente genocida Ronald Reagan, “sarebbe intollerabile una vittoria iraniana”.

    La strada del diritto internazionale è preclusa ai fini della guerra. L’ONU non approverà nessuna risoluzione del Consiglio di Sicurezza che presti legalità internazionale all’aggressione, il veto di Russia e Cina è scontato. Dunque l’operazione sarà sotto egida Nato. I servi storici di Washington, Gran Bretagna e Canada, seguiti dall’Australia e Nuova Zelanda, costituiranno il gruppone di testa per la corsa ai bombardamenti prima e ai contratti dopo. Perché il piatto siriano è troppo succulento per i piani di destabilizzazione mediorientali e l’occasione è ghiotta, dal momento che la congregazione di forze ribelli non riesce a deporre Assad, tantomeno a spostare la popolazione contro il regime.

    Nonostante gli sforzi finanziari degli Emirati, nonostante l’aiuto militare di turchi e consiglieri britannici e francesi, l’esercito di Assad, grazie anche al contributo degli Hezbollah libanesi e al sostegno iraniano, ha dimostrato infatti di saper invertire a proprio favore i pronostici che dalle capitali occidentali e del Golfo pochi mesi orsono prevedevano la caduta del regime. Il dilatarsi della guerra ha invece messo a nudo le contraddizioni e la litigiosità interna delle diverse bande di integralisti islamici che combattono in Siria e, senza l’intervento straniero, la guerriglia non durerebbe ancora molto al lungo. Proprio a questo si deve l’accelerazione di queste ore.

    Le opzioni in campo sembrano riguardare i cosiddetti attacchi mirati, cioè una significativa quota di Tomawak e Cruise lanciati dalle flotte americane, inglesi e francesi più prossime alla Siria, seguite da raid aerei. Successivamente, é facile prevederlo, si darà vita alla no-fly zone, destinata in teoria ad impedire l’uso dell’aviazione militare ai lealisti.

    Ma, come già avvenuto in Libia, la no-fly zone diverrà subito ben altro, e cioè un vero e proprio susseguirsi di raid aerei destinati ad attaccare le forze di terra dell’esercito siriano. Fatta piazza pulita della capacità militare dei lealisti, la guerriglia avrà gioco facile nel conquistare città e siti strategici del paese, dando il via al racconto dell’insurrezione popolare che sconfisse il regime a cui tutti o quasi fingernno di credere.

    Le ripercussioni politiche internazionali all’aggressione alla Siria saranno comunque rilevanti e il prossimo G20 di Mosca difficilmente riuscirà ad appianarle. Mosca e Pechino difficilmente accetteranno di dimostrare in modo palese la loro impotenza nello scenario globale. Non è in discussione l’esito militare della vicenda, anche se si scoprirà rapidamente come la Siria è territorio non semplice da conquistare; sarà difficile assistere ad una passeggiata di salute degli integralisti islamici aiutati dell'Occidente, visto che una significativa parte della popolazione ha ben presente cosa gli potrebbe succedere in caso di presa del potere di al-Queda e propaggini varie al seguito.

    Non c’è nessuna ragione umanitaria dietro la scelta dell’Occidente di attaccare la Siria. Se così fosse, la ricerca della soluzione politica al conflitto sarebbe stata perseguita. Che si bombardino città, si scateni la guerra nei cieli e si colpiscano le infrastrutture del paese non pare avere molto a che fare con le preoccupazioni per la popolazione civile. Nel mondo alla rovescia, che sceglie il paradosso sfacciato come arma principale della propaganda, la guerra è diventata la ricerca della pace. Il business della guerra e del saccheggio continua a determinare le scelte della politica. Il presidente Nobel per la pace ha già il dito sul grilletto. Una nuova avventura coloniale, tragica e ingiusta, sta per cominciare.

    Fabrizio Casari - Altrenotizie

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