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LAVORO: UNA RIVOLUZIONE NON SOLO IN ECONOMIA

(14 Settembre 2013)

L’annuncio lanciato dalla famiglia Riva di “messa in libertà” di 1.400 operai degli stabilimenti ILVA appare la migliore smentita possibile ai luminari della ripresa economica e della “luce in fondo al tunnel”: il padrone fa il padrone qualunque siano le condizioni della fase in cui si trova a operare e sfrutta all’osso tutte le contraddizioni possibili (compresa quella della vita della gente) per allargare i propri margini di profitto.
Non è “marxismo piatto” (come lo appellò un poeta molto bravo ma misconosciuto ai più) quello da cui deriva questa nostra analisi, ma una sconsolata presa d’atto di una realtà incontrovertibile.
Intanto, in Occidente come in Italia, arretrano paurosamente le condizioni materiali della classe lavoratrice, è quasi sparito il welfare, i salari si sarebbero definiti un tempo “di fame”, i diritti evaporano, la democrazia restringe i suoi cerchi in forme di personalismo autoritario.
Occorre voltare pagina, servono soggetti e proposte all’altezza di questa tragica situazione.
Ci vuole il coraggio dei grandi momenti storici, per proporre soluzioni sul piano dell’organizzazione politica dei lavoratori e dei ceti subalterni e sul piano dell’analisi e del progetto al riguardo dei contenuti in economia, nella politica, nella società e nella cultura.
Il tema del lavoro deve essere affrontato al di fuori da qualsiasi “logica di scambio”, proponendo un ruolo “dirigista” dello Stato che, in queste condizioni, non può essere limitato a una riproposizione del new deal, oppure alla richiesta di intrecci (fumosi) fra localismo e cooperazione.
Si tratta, beninteso, di partire da zero non accollandosi i debiti degli altri, che vanno fatti pagare da chi li ha contratti, e non riproponendoci, nei confronti di questi soggetti, di utilizzare alcun meccanismo di redistribuzione.
Questo discorso vale anche e soprattutto al riguardo dell’Europa in una logica di non riconoscimento di vincoli coercitivi e di affermazione di una prospettiva politica democratica, nella logica – oggettiva e ineludibile – di superamento ormai avvenuto sul piano storico di determinate funzioni dello “Stato – Nazione”, che non ha però esaurito completamente la propria funzione, come da alcune parti frettolosamente era stato già sentenziato.
Il primo punto da portare avanti è quello delle nazionalizzazioni, a partire da quelle delle banche di interesse nazionale la cui ricapitalizzazione deve essere esclusivamente destinata a finanziare la ripresa produttiva.
Oltre alle banche vanno nazionalizzati i settori strategici, a partire proprio dalla siderurgia (lo strumento legislativo c’è ed è quello determinato da un giudizio di totale inadeguatezza dei padroni) e considerando – tra questi – anche l’agroalimentare, le grandi utilities (nello specifico in campo energetico) e i gangli vitali del sistema di infrastrutture, ferrovie, autostrade, porti.
Deve essere varato un grande piano straordinario proprio per la ristrutturazione e l’ammodernamento delle grandi infrastrutture, del recupero dei centri urbani e della messa in sicurezza del territorio, dell’ampliamento delle possibilità di utilizzo della rete informatica.
Le risorse possono essere trovate lavorando, a livello europeo e nazionale, agendo sull’idea del “deficit spending”, con l’emissione di bond europei e di BTP finalizzati allo scopo (un po’ come accadde alla fine degli anni’50 quando la STET autofinanziò, in questo modo, l’estensione della rete telefonica in tutta Italia).
Tutto questo non sta scritto nei libri dei sogni: può far parte di un programma politico di un soggetto di coerente sinistra d’alternativa.
Anzi, proprio un programma di questo genere può aiutare a costruire questa soggettività rendendone la realtà politica e progettuale coerente con il tipo di rappresentanza che s’intende assumere, non limitandoci a muoversi semplicemente sull’idea della rivendicazione dentro l’esistente.
Un soggetto di questo tipo rappresenterebbe già un fatto rivoluzionario: appunto non solo in economia.

Patrizia Turchi e Franco Astengo

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