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Ventiquattro ore senza di noi

Ventiquattro ore senza di noi

(1 Marzo 2010) Enzo Apicella
Sciopero generale dei lavoratori migranti

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    (L'unico straniero è il capitalismo)

    La globalizzazione e l'immigrazione: le nostre vite in balia del mercato

    (16 Settembre 2013)

    collprimo

    MONFALCONE (GO) - Nei mesi (e negli anni) scorsi, giorno dopo giorno, si è percepito, sempre più forte, un sentimento contro "gli immigrati", in tutta Italia ed in particolare nella nostra zona monfalconese: poco importa che siano regolari o clandestini, la tendenza generale è quella di pensare che gli stranieri residenti in Italia siano uno dei problemi principali del nostro paese. I pregiudizi, che sono sempre esistiti da quando i primi migranti hanno cominciato ad arrivare in Italia, sono stati ingigantiti dalla difficile situazione economica presente, soprattutto per quanto riguarda il mercato del lavoro, e gradualmente i pregiudizi, ignorati dalle istituzioni, si sono trasformati in un disprezzo indiscriminato. Ora che questo sentimento si sta trasformando in un vero proprio -insensato- attacco verbale contro queste persone diventa necessario esporre pubblicamente alcuni argomenti che, si spera, riempiano un vuoto culturale che è stato lasciato su questo tema, per impedire che la situazione degeneri ulteriormente.

    L'attacco viene condotto su più fronti: il primo è la lamentela per la mancanza di educazione che alcuni immigrati mostrano. Questo fronte è quello di più basso livello, quello ingiustificabile. A chi si lamenta in questo modo chiediamo: volete forse sostenere che tra gli italiani non c'è nessun caso di maleducazione? A loro non diciamo nulla perché sono italiani e quindi va tutto bene, è tutto tollerabile? Che razza di ragionamento è questo? Inoltre non si può pretendere che un immigrato impari, dall'oggi al domani, tutte le regole sociali di un luogo in cui vive da pochi giorni o pochi mesi, soprattutto se da parte della comunità locale vi sono degli atteggiamenti discriminatori, di disprezzo e di intolleranza, che possono spingere i gruppi stranieri a chiudersi in sé stessi. In ogni caso, non credo che sia un atto di buona educazione pensare di rispondere con la violenza o con le minacce a degli atti di maleducazione, come è stato fatto recentemente in alcune pubblicazioni online e in innumerevoli commenti sui social networks. Alcuni reclamano che si tratta di commenti ironici, ma il confine tra l'ironia e la serietà, in questi casi, è molto sottile e facile da superare. Questo non significa che i problemi e le cause dell'insofferenza non vadano affrontati, ma la discussione dev'essere condotta in modo civile; l'invito a tutti, quindi, è quello di discutere, ma di moderare i toni. La vita pubblica non deve ridursi ad una chiacchiera da osteria!
    Vi è poi un secondo fronte che, statistiche alla mano, denuncia la maggiore propensione degli stranieri, soprattutto irregolari, alla delinquenza: questo fatto trova una spiegazione nella relazione che lega il tasso di criminalità con una condizione sociale relativa di svantaggio, uno svantaggio che può essere sia economico, sia culturale. Ovviamente sarebbe semplicistico attribuire la propensione a delinquere soltanto a questo fattore, infatti si osservano tassi di criminalità notevoli anche tra i ceti sociali più abbienti, che, tra l'altro, commettono crimini che vengono meno facilmente perseguiti dalla legge, pensiamo ai miliardi di euro che ogni anno sfuggono al fisco italiano per rifugiarsi nei paradisi fiscali; tuttavia la condizione sociale riveste un ruolo fondamentale in crimini economici di basso livello come furti, borseggi e aggressioni a scopo di rapina, che sono tra quelli più percepiti a livello popolare e inoltre, come vedremo nel seguito dell'articolo, fornisce una spiegazione decisiva per l'intero fenomeno immigrazione: è la chiave di tutto, il problema a cui dedicare più attenzione.
    L'ultimo fronte è quello che muove le critiche più importanti e riguarda la situazione del mondo lavorativo: in un periodo di crisi come questa -si dice- perché si fanno lavorare gli stranieri quando gli italiani vengono mandati a casa e i nostri giovani non trovano lavoro? A questa domanda il centro-sinistra non sa dare una risposta efficace e quando si pone in difesa dei migranti può solo fare appello al senso morale, all'idea di aiutare quelli meno fortunati di noi, al diritto al lavoro per tutti. Ma questo non è sufficiente, dal momento che il "diritto al lavoro per tutti" sta via via diventando il "diritto alla disoccupazione per tutti" e che i lavoratori italiani non sono disposti a tollerare che quelli stranieri "si svendano", accettando di lavorare più ore per un salario inferiore, spesso senza contratto e a condizioni peggiori, restando esclusi dalle norme previste dalla contrattazione sindacale collettiva, e facendo sì che chi si inserisce successivamente nel mondo del lavoro debba accettare le stesse peggiori condizioni di lavoro: questo, in sintesi, è il risultato della concorrenza al ribasso tanto cara ai padroni di ogni epoca o nazionalità. Questo problema è parte di una questione più grande, la cui soluzione non è semplice, ma è l'unica possibile per evitare che il mondo si avvii sulla strada della barbarie.

    Gli esseri umani migrano. Fin dal principio della storia della nostra specie, ondate migratorie ininterrotte portarono i nostri lontani cugini a popolare le zone più remote del nostro pianeta, con la sola eccezione dell'Antartide e di un pugno di isole sperdute. L'impulso migratorio venne rallentato, ma mai soppresso, dallo sviluppo della civiltà agricola: il legame tra le persone e la terra che coltivavano e che forniva loro i mezzi di sussistenza divenne più stretto, ma si rompeva in situazioni di difficoltà come conflitti e guerre di ogni genere, oppure in caso di carestie. Negli ultimi secoli, con lo sviluppo della civiltà industriale basata sulle macchine, sui salari e sul profitto, invece che sull'agricoltura di sussistenza, e grazie ai moderni mezzi di trasporto, questo legame tra l'uomo e la terra è tornato a rompersi più facilmente, generando spostamenti di grandi masse di persone verso ogni angolo del mondo. E' possibile isolarci da questo processo? E' possibile chiudere le frontiere rendendo l'Italia un paese dai confini invalicabili? Tecnicamente si, potremmo erigere muri lungo i nostri confini, minare tutto il canale di Sicilia e il mar Ionio, sparare sui clandestini, ma oltre ad essere un comportamento disumano sarebbe anche chiudere gli occhi di fronte ai problemi, commetteremmo l'errore di ignorare le cause profonde del fenomeno migratorio, che nella preistoria era determinato da questioni di sopravvivenza quotidiana, da esigenze di caccia e raccolta, oppure dalle condizioni climatiche, mentre oggi sono gli equivalenti moderni di tali problemi a far spostare le masse, ovvero la ricerca di un lavoro e quella di migliori condizioni di vita. E' vero che esistono numerose altre motivazioni ma, non considerando i profughi di guerra, durante una tipica migrazione di massa da un paese povero ad uno ricco, le persone spinte dallo "spirito di avventura" e i perseguitati politici o religiosi sono una netta minoranza in mezzo a disoccupati e poveri che lasciano il paese natale per necessità materiali: la forza propulsiva fondamentale delle migrazioni moderne è la disuguaglianza economica tra paesi ricchi e paesi poveri. Ciò è una conseguenza dell'attuale sistema di mercato internazionale, il cosiddetto processo di globalizzazione, in cui il destino di un paese è strettamente legato a quello degli altri. Quando le persone si spostano, lo fanno seguendo la legge di mercato della domanda e dell'offerta, diventano loro stessi merce o, meglio, la merce è la loro forza lavoro. Le banche e gli imprenditori possiedono invece il capitale finanziario per investire in macchinari industriali e infrastrutture, che costituiscono il capitale produttivo. Quando gli imprenditori della nostra zona impiegano forza lavoro straniera, lo fanno seguendo il criterio economico di minor costo, per conquistare un vantaggio competitivo o un tasso di profitto più alto. Ma se la forza lavoro straniera venisse esclusa? Se mettessimo i Bengalesi alla porta? Allora può succedere che, invece di essere la forza lavoro a venire incontro ai nostri investitori con l'immigrazione, avvenga il contrario, cioè che il capitale finanziario e quello produttivo vadano incontro alla forza lavoro di costo più basso mediante il processo di delocalizzazione: cioè chiudere le industrie in Italia e riaprirle in Bangladesh, sempre per il criterio economico del minor costo.

    Questo processo è già in atto da molti decenni ed è la causa del declino industriale dell'Italia, di altri paesi europei e degli Stati Uniti, con il progressivo lento livellamento delle condizioni di vita dei lavoratori di tutto il mondo, un livellamento verso il basso, verso la condizione di maggiore competitività sul mercato per capitalisti, che è la peggiore condizione possibile per i lavoratori dipendenti. E' questa la caratteristica più importante della globalizzazione: non sarebbe sufficiente minare il canale di Sicilia per risolvere il problema della disoccupazione per i lavoratori italiani, è necessario prendere il controllo dei flussi di capitale, sia all'interno del paese, sia da e verso le altre nazioni e questo può essere fatto soltanto togliendo ai grandi investitori la proprietà sulle banche, nazionalizzandole per una questione di interesse pubblico e sociale. Non solo: dobbiamo considerare la questione dal punto di vista globale e non soltanto per motivi etici, ma anche per nostra convenienza. In un modo più equilibrato, in cui i lavoratori indiani, cinesi, rumeni avessero condizioni di vita più vicine a quelle dei lavoratori occidentali, non esisterebbero le migrazioni di massa e non dovremmo confrontarci con i problemi di cui parliamo. Inoltre il capitalismo globalizzato riesce a portare un certo grado di sviluppo industriale nei paesi poveri, ma non è in grado di portare sviluppo sociale e miglioramento delle condizioni di vita, perché aumentare i salari e finanziare lo stato sociale è contrario agli interessi degli investitori, che sono sempre alla ricerca di forza lavoro a basso costo: questo produce un peggioramento delle condizioni di vita anche in paesi avanzati come l'Italia, con la fuga dei capitali, la disoccupazione e il calo del potere d'acquisto. Dobbiamo capire che noi lavoratori italiani abbiamo gli stessi interessi di quelli asiatici o di quelli africani e questi nostri interessi sono opposti a quelli degli investitori capitalisti. Quella che viviamo in Europa non è più una crisi, ma un assestamento attorno ad un nuovo equilibrio: i mercati finanziari, invece di essere un motore dello sviluppo economico, sono diventati per noi un freno.

    Non dobbiamo rimanere fermi ad aspettare: la situazione non migliorerà da sola e non esiste nessun eroico salvatore della patria che possa aiutarci. Solo la nostra classe sociale, la classe dei lavoratori di ogni nazionalità, è in grado di cambiare le cose. Abbiamo bisogno di dirigere in modo equilibrato l'uso delle risorse e gli investimenti a livello globale, di contrapporre una pianificazione democratica al flusso irrazionale di capitali dell'economia di mercato e per farlo c'è bisogno di eleggere i rappresentanti dei lavoratori al governo in quanti più stati possibile. E' per questo che in passato, nel movimento operaio, si sono fatti tanti sforzi per coordinare le azioni in tutto il mondo mediante le internazionali socialiste prima e quelle comuniste in seguito. Oggi abbiamo bisogno proprio di una nuova associazione internazionale dei lavoratori, un sindacato e movimento politico mondiale che rappresenti ovunque sia le nostre rivendicazioni economiche, sia una proposta politica alternativa al nostro sistema, che non è certo il migliore dei mondi possibili, come qualcuno vorrebbe farci credere. Ovviamente non possiamo pensare di creare un sistema perfetto, non dobbiamo pensare ad un'utopia, ma prendendo il potere e stabilendo una vera forma di democrazia, al posto dell'attuale dittatura del capitale, possiamo senz'altro creare un sistema migliore. Questo dev'essere fatto a livello mondiale, senza cercare di chiuderci entro i nostri confini. E' un progetto molto ambizioso, certo, ma quali altre strade ci sono? Può sembrare che servano tempi lunghissimi per la sua realizzazione, ma non è così: anche se i nostri media ce lo nascondono, il movimento socialista internazionale è in salute e sta guadagnando forza. Alcuni paesi sono più avanti di altri, alcuni sono più in difficoltà, ma se mettiamo il potere nelle mani dei lavoratori in Italia, in un paese avanzato, questo può fare la differenza, dare l'esempio per il resto del mondo. Uno dei più grandi errori strategici del centro-sinistra è proprio quello di aver abbandonato ogni idea internazionalista, hanno rinunciato ad un grande percorso storico ed ora possono solo ripetere come pappagalli la volontà dei banchieri tedeschi e statunitensi. La strada dell'internazionalismo socialista è l'unica alternativa logica a questo sistema, sia per risolvere i problemi connessi con l'immigrazione, sia per evitare una caduta verso la miseria, la barbarie ed il caos che si fa sempre più realistica. Oggi, ancora più che in passato, vale il motto: lavoratori di tutto il mondo, unitevi.

    Collettivo Primo Maggio

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