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Africa sempre più armata

(19 Settembre 2013)

Le industrie belliche, sempre più dipendenti dalle esportazioni per i tagli alle spese militari di Stati Uniti ed Europa, ora guardano all'Africa

africarma

di Giorgia Grifoni

Roma, 18 settembre 2013, Nena News - Dimentichiamo il Sud America, il Medio Oriente e il Sud Est asiatico: il mercato delle armi ora guarda al Continente nero. Le compagnie internazionali di difesa, sempre più dipendenti dalle esportazioni a causa dei tagli alle spese militari in Occidente, si sono create un nuovo orizzonte in una terra in cui, di guerra, non ce n'è mai abbastanza. E dove nuove risorse vengono continuamente scoperte. Secondo le proiezioni del settimanale statunitense Defense News, la spesa militare in Africa nel prossimo decennio supererà i 20 miliardi di dollari.

Le ragioni di un tale boom, secondo un approfondimento dell'UPI, sono molteplici. In primis, il potenziamento degli eserciti del Continente nero, che costituisce il 20 per cento delle terre emerse: dal processo di decolonizzazione che ha avuto il suo culmine negli anni '60, infatti, l'Africa ha visto avvicendarsi sul suo territorio più ribellioni, colpi di stato e guerre civili di ogni altra regione al mondo. Secondo il programma di ricerca statunitense Correlates of War, negli ultimi 60 anni sono state contate circa 25 conflitti armati e 127 guerre civili, per un totale di 20 milioni di morti, decine di milioni di feriti e un numero incalcolabile di sfollati. Molti di questi conflitti, sconosciuti ai più - e chiamati quindi "guerre dimenticate" - continua ad aver luogo proprio in Africa.

La mano delle ex-potenze coloniali, per 60 anni, ha armato questa o quella guerriglia a seconda del ritorno più fruttuoso garantito. La situazione sembra aver subito una svolta dopo l'11 settembre: gli sforzi occidentali si sono quindi concentrati sul potenziamento dei deboli eserciti nazionali africani per contrastare il terrorismo internazionale che, forte del caos nel continente più ricco di risorse al mondo, vi trova terreno fertile per le proprie azioni. Le zone privilegiate da Stati Uniti ed Europa di strategia antiterroristica sono il Corno d'Africa e il Sahel, entrambi basi di al-Qaeda, entrambi in una zona sensibile dove la presenza di gas e petrolio fa' la differenza.

"Le Nazioni africane- spiega un analista di mercato citato da Defense News - dicono di aver bisogno di potenza di fuoco, forze modernizzate e migliore mobilità delle armi per combattere i militanti che sono diventati il flagello degli stati da est a ovest". In un articolo della rivista Oxford Analytica si nota come questo sia un periodo di straordinaria espansione per la maggior parte degli eserciti dell'Africa sub-sahariana, nonostante una crescente diffusione della povertà. Questo, secondo la rivista, è dovuto alle vaste operazioni di mantenimento della pace finanziate dai donatori esteri: "Dal 2001 gli eserciti africani hanno goduto di supporto esterno a livelli mai visti dall'apice della Guerra Fredda", con particolare riferimento a Uganda, Etiopia, Kenya e Nigeria. "I programmi europei e statunitensi - si legge ancora nell'analisi - hanno finanziato varie iniziative volte alla 'stabilizzazione' e 'consolidazione democratica': purtroppo questi schemi sembrano aver avuto un successo molto limitato sul campo".

Il bisogno delle nazioni africane di essere addestrate meglio e armate fino ai denti nasce, secondo l'analisi, dalle "percezioni di alti rischi per la sicurezza". La ragione si trova soprattutto nelle risorse recentemente scoperte. Somalia, Kenya, Mozambico, Sudafrica - ma anche l'Uganda all'interno - devono ora fare i conti con i giacimenti di gas e petrolio che punteggiano le loro coste. "La corsa africana al mercato della difesa - spiega il colonnello Joseph Sibanda, un ufficiale dell'esercito dello Zimbabwe in pensione e ora analista militare - è appena cominciata, e continuerà per tutto il prossimo decennio". Secondo Sibanda, paesi come il Mozambico, un'ex colonia portoghese impoverita che ora è il centro di un boom del gas africano assieme alla vicina Tanzania, l'Uganda e il Kenya, hanno bisogno di ricalibrare le proprie esigenze di difesa per proteggere i nuovi giacimenti. "Velivoli militari, mezzi corazzati, sistemi d'artiglieria avanzati, assieme a controllo marittimo aereo, droni e pattuglie navali saranno in cima alla lista dal momento in cui gli eserciti dovranno modernizzarsi per affrontare le nuove minacce alla sicurezza".

In questo mercato così appetibile sguazza il Sudafrica, l'unico stato del continente a possedere un'industria militare: la sua sopravvivenza e la sua forza si devono a un "gemellaggio" di armi portato avanti con Israele almeno fino al 1994, anno della fine del dominio dei bianchi. Anche l'Egitto, un tempo partner militare privilegiato di Pretoria, dopo gli accordi di pace del 1979 con Israele si è allontanato dal Sudafrica orientandosi verso gli aiuti militari statunitensi. Pretoria ha quindi guardato e agito a lungo all'interno del continente e, come conclude Sibanda, cavalca ora l'onda del rinnovato interesse occidentale per la difesa degli stati africani: "Le società sudafricane sono soprattutto in una posizione migliore per trarre il meglio da questa opportunità di business, data la loro eccellente esperienza nel soddisfare le esigenze di difesa continentali".

Nena News

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