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Il nuovo che torna

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(30 Agosto 2010) Enzo Apicella
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LE RAGIONI DELL’ALTERNATIVA: IDENTITA’ E POSIZIONE POLITICA DEL PARTITO DEMOCRATICO

(3 Ottobre 2013)

Occuparsi, sia pure in modo molto schematico dell’identità e della posizione politica del Partito Democratico significa, a sinistra, analizzare ragioni molto importanti relative alla necessità di un’autonomia teorica e politica di un’area dell’alternativa di sistema, la cui soggettività politica immediata rimane comunque tutta da costruire.
Il PD, infatti, nella sua realtà complessiva (teoria e prassi) non può rappresentare un soggetto componente (sia pure per via di scissione) di un possibile schieramento di cambiamento e, anzi, dovrà –verso di esso così come verso il centrodestra – essere esercitata proprio una funzione alternativa.
Il Partito Democratico nasce come tentativo di abbattimento, da un lato, dei confini interni tra le due principali tradizioni di provenienza che hanno costituto il partito e, dall’altro lato, come tentativo, largamente fallito, di costruire dei confini esterni.
Confini esterni tra l’altro presidiati in Italia da una destra maggioritariamente populista, sempre pronta a utilizzare il proprio rapporto di massa in funzione quasi eversiva, fino al punto di non riconoscere più i confini stessi dello stato di diritto.
L’aver imposto, però, il tema della governabilità come esaustivo nella prospettiva politica del partito ha portato il PD a compiere due scelte di fondo che appaiono del tutto insormontabili e incontrovertibili, al di là delle scelte che potranno essere compiute rispetto alla futura leadership:
1) La narcotizzazione della conflittualità;
2) La sovrapposizione totale e completa con lo spazio globale, storico, geografico, simbolico della nazione italiana. Un dato questo che ha portato a due risultati: il primo quello di un partito che ha come “mission” l’essere“aiutante” del governo; il secondo quello della disponibilità a svolgere il ruolo di “reggente” in nome dei vertici della Comunità Europa che da tempo hanno già commissariato il Paese (come fa lucidamente notare proprio oggi, dalle colonne di “Repubblica” Barbara Spinelli, la cui analisi però, nel complesso, appare almeno lacunosa).
In conseguenza di ciò il PD è nato, e vive, esclusivamente per motivazioni interne allo spazio politico e le decisioni circa i valori di cui deve farsi carico discendono direttamente ed esclusivamente dalle logiche interne al quadro politico, senza alcuna relazione diretta con il sociale, ignorando così completamente la realtà delle “fratture” e il loro modificarsi a seguito di mutamenti di diversa natura economica, sociale, culturale, financo demografica o geografica.
Le scelte del PD risultano motivate soltanto dal tipo di dinamica esercitata dagli attori già presenti nell’arena politica, facendone così l’alfiere del “partito di cartello” (vedasi, al proposito, il suo comportamento in materia di legge elettorale).
La testimonianza migliore della validità di quest’analisi deriva proprio dall’esame delle tre principali opzioni sulle quali il Partito Democratico è vissuto nel corso di questi anni:
1) Dietro la facciata di una “narrazione” comune impostata nei termini di riformismo, democrazia, lavoro si è sviluppato un vano tentativo di unificare coppie oppositive: da capitale – lavoro a laicità fede;
2) La proclamazione di una “vocazione maggioritaria” che, se poteva attagliarsi alla costruzione di un’identità governativista, non teneva conto né del quadro politico italiano, né della presenza traversale nella società italiana di nuove contraddizioni, a partire da quella del consumo individualistico meglio soddisfatto dalle pulsioni “animali” della destra. L’accentuarsi dei termini materiali della crisi ha fatto crollare questo cartello di carte ponendo in fuga milioni di elettrici e di elettori da una parte e dall’altra che non hanno più trovato la possibilità di soddisfare i propri bisogni e non si sono visti proporre modelli di sviluppo diversi;
3) Le primarie come tentativo (al di là del meccanismo d’imitazione di modelli affatto diverso quale quello statunitense) di riunificazione delle sparse membra del partito in nome della ricerca della leadership. L’esaustività dell’idea del governo, al centro come in periferia (forse anche più in periferia che al centro, per paradosso) ha messo in moto quel meccanismo di “individualismo competitivo” che ha minato alla base la possibilità di una qualche costruzione organizzativa coerente, lasciando così il partito in mano ad ordalie e soggettivismi, da cui il caso eclatante del Sindaco di Firenze (solo per fare un esempio). Deriva da questo tipo di impostazione, inoltre, la deriva presidenzialista che, al di là di altri elementi, pone già il PD al di fuori dal quadro di riferimento della pur martoriata Costituzione Repubblicana.
Tutto questo ci indica che il PD non risulta essere, non tanto e non solo, un partito “centrista” sul piano delle opzioni programmatiche, ma un partito che nella sua collocazione politica all’interno del sistema italiano lascia spazio, anzi richiede la prospettiva di un’alternativa alla sua sinistra.
Un’alternativa fondata sulla centralità della contraddizione capitale/lavoro nell’intreccio necessario, dal punto di vista programmatico, con le contraddizioni post – materialiste, su di una “diversità” concreta nell’idea di esercizio dell’agire politico e sulla capacità di strutturazione organizzata del soggetto politico.
Non può esistere quindi, sul piano teorico e su quello politico, alcun timore di “rottura” di una presunta unità democratica da opporre ad altri presunti pericoli per la democrazia: anzi, un’autonomia delle forze comuniste e di sinistra anticapitalista posta sul terreno della costruzione dell’alternativa appare indispensabile anche quale fattore si direbbe quasi “fisiologico” nel funzionamento di un sistema politico che non può essere ridotto alla ricerca purchessia di una governabilità, posta al di fuori dalla rappresentanza politica del conflitto sociale.

Franco Astengo

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