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Quinto rapporto dell’IPCC … e tutti se ne infischiano?

(8 Ottobre 2013)

ipcc

di Daniel Tanuro

Il Comitato Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC) ha iniziato a rendere pubblico il suo quinto rapporto. Come i precedenti, questo consiste in tre volumi, ciascuno redatto da un gruppo di lavoro: scienza del cambiamento climatico, impatti/adattamento/vulnerabilità, prevenzione («mitigation»). Di ogni volume viene fatto un riassunto per i decisori, e il contenuto preciso di questo è oggetto di un laborioso negoziato con i rappresentanti degli Stati. Il riassunto del primo volume, sulle basi fisiche del riscaldamento, è stato messo in linea il 27 settembre. Il suo contenuto è – ancora una volta – estremamente allarmante.

Nessun dubbio

Non solo gli 800 autori del rapporto confermano che il riscaldamento è dovuto principalmente a «l’attività umana», ma per di più aumentano il grado di certezza di questa affermazione che è ora, secondo loro, superiore al 95% (90% nel quarto rapporto). I fattori naturali (irraggiamento solare) spiegano un aumento di 0,1°C rispetto al periodo preindustriale. Poca cosa di fronte all’aumento osservato, che è di 0,85°C.

Sotto l’impatto degli scettici climatici (in realtà si dovrebbe dire: negazionisti climatici), i media si sono concentrati sul rallentamento del riscaldamento da una quindicina di anni. È vero che la curva delle temperature annuali dà l’impressione di una stabilizzazione, ma l’immagine è tutt’altra quando si esamina il grafico delle medie decennali. Su questo, il riscaldamento non rallenta ma piuttosto accelera. Spiegazione: poiché il sistema climatico è estremamente complesso, le oscillazioni meteorologiche a breve termine non permettono di trarre conclusioni sulle tendenze a lungo termine.

+4°C

Nello scenario peggiore degli autori, l’aumento di temperatura più probabile sarebbe di 4°C entro la fine del secolo, ossia uno scarto grande quasi quanto quello che ci separa dall’ultima glaciazione, ventimila anni fa. Per avere la misura di questa proiezione, occorre sapere che le proiezioni dei rapporti precedenti si sono rivelate tutte inferiori alla realtà osservata in seguito. Uno studio recente lo ha confermato: l’IPCC non è «catastrofista». Al contrario: una serie di meccanismi tendono a moderare la diagnosi. Tra questi, la volontà più o meno cosciente dei ricercatori di non superare i limiti – soggettivi – di quanto sembra «ragionevole». In particolare, nelle modellizzazioni non viene presa in conto la possibile colossale liberazione di metano dal permafrost.

Diversamente dal rapporto precedente, questo quinto rapporto non esclude più la possibilità che misure di riduzione delle emissioni di gas serra permettano di restare ancora sotto la soglia di 2°C di aumento della temperatura rispetto al periodo preindustriale. Ma questa buona notizia è molto relativa in quanto:

1.i governi sono più che mai lungi dal cominciare a prendere le suddette misure;
2.le conseguenze di un riscaldamento inferiore a 2°C sono più gravi di quanto si pensava finora.
Da notare in particolare: il progresso delle conoscenze sulla storia dei climi permette di affermare che il livello degli oceani era più elevato da 5 a 10 metri (e non da 4 a 6 m) nell’ultimo periodo interglaciale, 120.000 anni fa, quando la temperatura era da 1 a 2°C più calda di oggi.

Oceani: da + 1 a + 3 metri

Questo «riassunto per i decisori» conferma che l’aumento del livello degli oceani è la temibile conseguenza del riscaldamento. Il fenomeno è stato gravemente sottovalutato: in realtà le osservazioni hanno evidenziato un aumento di 3mm all’anno invece dei 2mm attesi. Il quarto rapporto, sei anni fa, dava una fascia di aumento tra 18 e 59 cm entro la fine del secolo. Ora gli specialisti puntano su un aumento da 28 a… 98 cm… ed oltre se la calotta glaciale dell’Antartico Occidentale diventa instabile come quella della Groenlandia. Senza riduzione delle emissioni, i mari saliranno da 1 a 3 metri entro il 2300.

D’altronde queste proiezioni a tre secoli non sono la fine della storia: data l’inerzia termica delle masse di acqua e di ghiaccio, occorreranno da mille a duemila anni perché il sistema raggiunga un nuovo punto di equilibrio. Secondo Anders Levermann, coordinatore del capitolo «livello degli oceani» nel rapporto dell’IPCC, ogni grado di aumento della temperatura rispetto al periodo preindustriale produrrà inevitabilmente un aumento finale di 2,3 metri del livello dei mari. Noi abbiamo già avuto un aumento di 0,85°C e il rapporto, ricordiamolo, punta su 4°C entro la fine del secolo. Se Levermann ha ragione, ne deriverebbe – inevitabilmente, ricordiamolo – un aumento del livello dei mari di circa… dieci metri.

Le minacce contro le zone costiere dove vive la maggior parte dell’umanità non sono evidentemente la sola fonte d’inquietudine. Il rapporto conferma gli altri impatti del riscaldamento: più siccità nelle regioni aride, più precipitazioni nelle regioni umide, accentuazione dei fenomeni meteorologici estremi, acidificazione degli oceani, indebolimento delle correnti marine (es. il Gulf Stream), ecc. Il seguito di questa serie nera sarà oggetto del secondo volume del rapporto, sugli impatti e l’adattamento.

La nave affonda…

Auguri alle generazioni future: gli servirà davvero molto sapere che questa catastrofe irreversibile (sulla scala temporale umana) si sarà prodotta mentre i governi e le istituzioni internazionali si riempivano la bocca di belle parole sullo «sviluppo durevole».

La nave affonda e tutti se ne infischiano? Niente affatto: gli armatori si fregano le mani perché sono sempre più numerose le loro navi che passano per il grande Nord, i petrolieri gongolano perché la scomparsa della banchisa permette di sfruttare i giacimenti off shore dell’Artico, le lobby energetiche si precipitano sul gas di scisto per ridurre i prezzi dell’elettricità, la Cina e l’India costruiscono a tutto spiano centrali a carbone, e il presidente Correa sacrifica il parco Yasuni sull’altare dello sviluppo capitalista chiamato «rivoluzione cittadina» (carpa, ti battezzo coniglio)…

Solo il mondo del lavoro può porre fine a questa corsa verso l’abisso. Ma potrà farlo soltanto abbandonando la strategia della «condivisione dei frutti della crescita» in favore di una strategia di contestazione dell’accumulazione capitalista che «esaurisce le sole due fonti di tutta la ricchezza: la Terra e il lavoratore». Una strategia ecosocialista per uscire dall’alienazione produttivista-consumista e soddisfare i bisogni reali, determinati democraticamente, nel rispetto dei limiti naturali. Dire che c’è urgenza è dire poco.

Sabato 5 Ottobre 2013 (trad. di Gigi Viglino)

anticapitalista.org

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