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Stato e istituzioni:: Altre notizie

Le giravolte della politica italiana

Un punto della situazione

(9 Ottobre 2013)

giravolt

Giunta per le elezioni, decadenza da senatore, governo in fibrillazione, primarie, congresso, legge elettorale, dimissioni, nuove elezioni... sembrerebbe quasi una strofa in versione contemporanea della vecchia canzone di R. Gaetano, “Nun te reggae chiù”, e invece è il quotidiano teatrino della politica italiana. Un'italietta che dimostra ogni giorno di più la sua debolezza e che sul piano internazionale continua ad indebolirsi.

La crisi di governo con la dimissione dei ministri PdL (nel momento in cui scriviamo) esprime la cronica frammentazione delle varie fazioni borghesi italiane, sempre divise su tutto, ma sempre pronte ad unirsi quando si tratta di castigare la classe lavoratrice.

La crisi del terzo ciclo di accumulazione del capitalismo si sta aggravando, la Germania detta le regole, i settori della politica “più responsabili” (leggi più in accordo con il capitale tedesco) fanno fatica a tenere a freno gli altri settori (spesso collegati ad aree della borghesia internazionale che non hanno interesse all'esistenza di un euro forte o, semplicemente, più invischiati nella difesa degli interessi del loro settore borghese di riferimento).

Quando, periodicamente, queste componenti riescono a trovare un momentaneo equilibrio (santa stabilità), allora si dedicano alla loro attività principale: sfornare leggi anti-proletarie una dopo l'altra, regalando al contempo denaro pubblico agli “investitori”. Il resto del tempo è occupato a scornarsi tra loro. La torta si rimpicciolisce (è la crisi), i commensali si fanno sempre più aggressivi.

La capacità di Berlusconi di usare la politica per farsi gli affari suoi è ben nota. Ma, oltre alla vicenda personale di Berlusconi, che è personale solo perché quella persona rappresenta gli interessi di quella parte di classe dominante più spregiudicata e ai limiti della legalità, sono molti i fronti di scontro.

Per esempio, sul finanziamento privato ai partiti si stanno scontrando sul “quante centianaia di migliaia di euro l'anno è giusto che un singolo finanziatore foraggi un partito”, da un lato Berlusconi abituato a inondare di soldi le sue creature (ma da dove vengono questi soldi?), dall'altro i capitalisti che sostengono il PD che non vogliono accettare questa “concorrenza sleale” al rialzo.

Ma al di là dei loro scontri c'è il progredire di un disegno che vede, all'interno del quadro europeo, l'Italia sempre più nel ruolo di fornitrice di mano d'opera a basso costo.

Il decreto “destinazione Italia”, finalizzato a contrastare il calo degli investimenti esteri, si muove in questa direzione facendo esplicitamente perno sul basso costo del lavoro italiano, tra i più bassi dell'area OCSE e dell'area Euro, tra i più flessibili (si lavora in media 1.900 ore, contro le 1.400 ore della Germania) e con un numero di contratti in ingresso nel mercato del lavoro (più di 40 modelli) che non ha rivali. Il decreto prevede la riduzione del cuneo fiscale (differenza tra salario e costo del lavoro per il padrone) con una riduzione prevista delle entrate per lo Stato di circa 8 miliardi; l'apprendistato breve, la deregolamentazione dei “contratti acausali” (introdotti dal pacchetto lavoro), la reintroduzione del contratto di reinserimento, i licenziamenti facili per chi assume lavoratori già in mobilità. Per le aziende estere che investiranno in Italia è poi prevista la riduzione della tassazione, la liberalizzazione del finanziamento delle Piccole e Medie Imprese un prezzo dell'energia ridotto, fondi per le ristrutturazioni industriali. Il tutto accompagnato da un contorno di privatizzazioni (leggi svendita) del patrimonio dello Stato. Letta, appena approvato il decreto, è volato negli USA per cercare di piazzare qualche pezzo, i prossimi incontri saranno con gli emiri arabi. Di privatizzazione in deregolamentazione le imprese italiane sono a sempre più a basso contenuto tecnologico, sbilanciate verso produzioni tradizionali, con una scarsa forza-lavoro qualificata. Di conseguenza si sta accentuando la dipendenza del sistema produttivo dalle importazioni ad alto contenuto tecnologico, mentre punta, per il rilancio, alle esportazioni, come per altro fanno le altre borghesie (da qui, la politica di riduzione generalizzata del salario).

L'Italia è, tra i paesi avanzati, uno di quelli in cui le disuguaglianze sono più cresciute, come gli USA e la GB. Il risultato della italica gestione della crisi è che mentre i ricchi diventano sempre più ricchi, dal 2008 ad oggi il PIL italiano ha perso circa l’8,9%, l'indice della produzione industriale «ha perso 20 punti percentuali dal 2007», numerosi impianti in alcuni settori industriali di base (petrolchimica, siderurgia e biocombustibili) sono stati chiusi, la competitività e la produttività del “sistema Italia” è in picchiata, e non certo a causa dei salari, che sono rimasti al palo.

Le privatizzazioni funzionano sempre allo stesso modo: privatizzazione dei profitti, socializzazione delle perdite.

La Cassa Depositi e Prestiti, dal 2003 società per azioni con capitale al 30% delle fondazioni bancarie, è il soggetto che gestisce la vendita del patrimonio pubblico ai capitali finanziari entro ottobre il ministero dell’Economia provvederà ad individuare le partecipazioni statali da dismettere per ridurre il debito pubblico.

Il discorso delle privatizzazioni è, però, ancora più ampio. Da tempo l'Italia si sta letteralmente “deindustrializzando” e i suoi pezzi pregiati sono sempre più di proprietà di capitali esteri. Si va dalla Telecom, che passa sotto il controllo degli spagnoli, al prossimo passaggio di Alitalia ai francesi, alla prossima svendita svendita di Ansaldo energia, ansaldo sts e ansaldo breda (ferrovie) insomma, alcuni dei pezzi assolutamente strategici del capitalismo italiano, a centinaia di marchi, aziende, imprese che, nel corso degli anni, sono passate dal controllo del capitale italiano a quello estero. Evidentemente ampi settori della nostra borghesia sono arrivati alla conclusione che è per essa più conveniente il “denaro facile” ottenuto con le svendite... magari da reinvestire in titoli azionari, non certo in attività produttive. L’Italia, negli anni novanta, ha portato avanti la più grande dismissione di beni pubblici dell’intera Europa. Il disastro è sotto i nostri occhi.

Un altro esempio della politica classista dello Stato è stata l'abolizione dell'IMU, vero e proprio regalo fatto ai proprietari di immobili, in particolare a chi ne ha tanti e di lusso, mentre si è andata ad applicare la service tax sugli inquilini, ugualmente, mentre i grandi capitalisti vedono lievitare i loro patrimoni si va ad aumentare dell'IVA che, come si sa, pesa largamente sui consumi delle fasce sociali più basse.

Il ritornello spesso citato, anche all'estrema sinistra, è che “la politica fiscale e di spesa pubblica è decisa a Bruxelles e a Berlino, e quella monetaria a Francoforte, dalla Bce condizionata dalla tedesca Bundesbank. Le istituzioni italiane (e la sinistra) hanno pochissimi margini di manovra. Possono decidere dove e come tagliare, ma i tagli sono già decisi altrove.” (manifesto 20/09), ma questo è vero solo in parte, in realtà le borghesie nazionali agiscono in accordo con i loro organismi internazionali, e il loro obiettivo non è la produzione in sé ma la crescita dei loro capitali. Ne è la dimostrazione il fatto che tutte le manovre elargiscono sempre soldi alla borghesia, togliendone ai proletari. Questo è un punto fondamentale che nelle analisi della sinistra manca totalmente. È vero che con il Fiscal Compact (il trattato europeo che impone per i prossimi venti anni una rapidissima e automatica riduzione delle spese pubbliche, abbattendo il debito dal 132,2% al 60%, al ritmo di 40 miliardi di euro all’anno per almeno vent’anni) è stato stabilito dall'Europa, ma la borghesia italiana ne trae comunque vantaggio, mentre è il proletariato a dover pagare il conto di debiti contratti nei decenni, spesso a fondo perduto, proprio per sostenere la classe parassitaria del “sistema Italia”.

Il lento ma inesorabile collasso del “sistema Italia”, oltre che evidente, si esprime in ogni settore.

Per esempio, non solo i comuni sono sempre più vicini al rischio di non poter pagare i propri dipendenti ma, mentre molti comuni sono in rosso (non ultimo per l'aver investito in titoli tossici), la privatizzazione attuata in questi anni della gestione di servizi chiave come rifiuti e acqua inizia a segnare il passo. È il caso di Latina, per esempio, dove le ditte private dopo gli anni degli affari d'oro in cambio di un servizio scadente hanno visto ridursi i margini di profitto e stanno ora valutando di volare altrove... ai comuni rimangono debiti milionari e servizi in dissesto. O la sanità: con le larghe intese il definanziamento della sanità pubblica continua, ma con in più la riduzione delle tutele. Le tappe successive saranno fondi integrativi, mutue e assicurazioni e le cure così diventeranno funzione del reddito. Lo prevede il Def appena approvato dal governo.

In questa situazione di lento impantanamento in una situazione che, all'interno del sistema, non vede via d'uscita, una delle parole d'ordine che avanza la Sinistra è la detassazione del lavoro al fine di innalzare i salari. Ma i lavoratori, facendosi due conti, dovrebbero capire che il loro salario è costituito da tre componenti: il salario diretto (busta paga), indiretto (i servizi finanziati dallo Stato attraverso le trattenute) e differito (la pensione). Quindi cosa propone il sindacato? Il taglio del salario indiretto, ossia un'ulteriore compressione della spesa per i servizi come scuola, trasporti, sanità, assistenza, cultura etc. in cambio di... un limitato aumento del salario diretto.

L'impasse italiana si traduce in numeri terribili riguardo l'avanzamento della povertà e della disoccupazione, la riduzione dei servizi, sanità, assistenza. La disoccupazione ufficiale è al 12% e quella giovanile rasenta il 40%. Nei nuovi contratti, la precarietà ha completamente soppiantato il lavoro a tempo indeterminato. Il conto della CIG e della mobilità è altissimo, si delocalizza la produzione e si chiudono uno dopo l’altro siti produttivi, intascando gli utili e lasciando i lavoratori e le lavoratrici sul lastrico (privatizzazione degli utili e socializzazione delle perdite). I salari e le pensioni sono fermi e non tengono più il passo col costo della vita, i contratti non vengono rinnovati mentre sui luoghi di lavoro si intensifica lo sfruttamento e aumenta l'orario di lavoro di fatto. L’aumento dell’età pensionistica fino a 70 anni condanna gli anziani a lavorare a vita e i giovani alla disoccupazione. Oltre 500.000 famiglie sono in difficoltà a pagare il mutuo. Questo è il capitalismo: aumento dei capitali e immiserimento dei proletari. Un sistema che non può essere aggiustato, ma solamente superato.

Per il momento ci fermiamo qui, rimandando ad un altro articolo di questo giornale la riflessione sulle prospettive per uscire da questa situazione.

Martedì, October 8, 2013

Diego - Battaglia Comunista

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