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(9 Ottobre 2013)

karoshi

Redazione di Operai Contro,

la scorsa settimana la Corte Suprema del Giappone se ne è uscita con un’altra, inquietante quanto bizzarra, sentenza

la Corte è riuscita a stravolgere, ribaltandolo, uno dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico: la pubblicità delle sentenze.

Rispondendo (dopo tre anni ) al ricorso di una organizzazione non governativa che si era vista respingere dall’Ufficio provinciale del lavoro la richiesta di ottenere copia di una sentenza riguardante un caso di karoshi (morte da superlavoro, una delle piaghe sociali del Giappone, ma non solo), la Corte Suprema ha confermato la decisione della Corte d’Appello di Osaka, che aveva ribaltato la sentenza favorevole di primo grado. Non ho avuto modo di leggere direttamente la sentenza (che a suo volta non è ancora postata sul sito ufficiale della Corte Suprema, neanche in giapponese), ma a quanto riferiscono alcuni media locali, pare che il ragionamento sia il seguente: è vero che le sentenze sono per loro natura “pubbliche”, ma come avviene nel caso di minori o di contenuti scabrosi, i motivi di “ordine pubblico” e il diritto alla “privacy” sono prevalenti.

Il che non fa una piega, ma si stenta a capire cosa c’entri la “privacy”, e anche l’ordine pubblico, con una sentenza che riconosca la responsabilità di un’azienda, e la condanni ad un indennizzo a favore della famiglia superstite, per aver costretto un suo dipendente a lavorare come uno schiavo, fino a provocarne la morte per infarto o suicidio. C’è il sospetto, fondato, che la privacy invocata sia quella dell’azienda, e non quella della povera famiglia. Che spesso viene obbligata, prima di ricevere il risarcimento (il 75% delle cause di karoshi si concludono con una transazione extragiudiziale) a non rivelare pubblicamente i particolari, soprattutto per quanto concerne il nome dell’azienda e l’ammontare del risarcimento ottenuto.

“E’ l’ennesima vessazione, l’ennesimo ricatto che le aziende compiono nei confronti delle famiglie, già colpite dalla tragedia di perdere un loro caro e la preoccupazione di tirare avanti”, spiega Hiroko Uchino, vedova di Kenichi, un capo reparto della Toyota stramazzato al suolo in fabbrica nel 2005, a 34 anni, dopo aver accumulato per anni oltre 100 ore al mese di straordinari. La signora Uchino per un po’ ha rispettato l’accordo, poi, d’accordo con il suo avvocato e con uno dei sindacati minoritari e maggiormente discriminati, ha reso tutto pubblico e ora gira il Giappone tenendo conferenze e dando consulenze, attraverso un popolare blog, su come comportarsi nel caso che il karoshi colpisca la propria famiglia. Un evento tutt’altro che improbabile, visto che l’aumento delle cause di risarcimento è in continuo aumento e che i tribunali, negli ultimi anni, tendono ad essere più “generosi” nel riconoscere la responsabilità delle aziende.

In Italia siamo fortunati per i tribunali il super lavoro non esiste

Un operaio

operaicontro.it

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