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(12 Ottobre 2013)
Un libro di Enrico Campofreda e Patrizia Fiocchetti sulle voci da un paese che resiste e cerca la sua storia.
L’Afghanistan di Malalai, Belquis, Maryam, Selay, Farzane, Andeisha, Pari e mille e altre mille come loro è fatto di ideali, sogni e cose molto concrete. Iniziative che solo donne coraggiosissime, impegnate al limite del sacrificio possono perseguire nel paese dei Warlords, delle invasioni e della guerra perpetua. Queste donne parlano e creano. Organizzano e gestiscono alloggi per orfani, apparati di sostegno ai familiari delle vittime di interminabili conflitti civili e internazionali, scuole d’istruzione e di avviamento al lavoro, case rifugio per sfortunate schiacciate dalla spirale di persecuzione e violenza. Con tali strutture provano a costruire un’altra nazione lontana dalle ingerenze delle potenze occidentali portatrici di morte; libera dalle angherie e dalla corruzione dei Signori della guerra; emancipata dall’oscurantismo fondamentalista e dalla tradizione tribale che soffoca l’esistenza femminile. E ancora micro attività d’impresa, ad esempio manifatturiera, che collega conoscenze artigianali sedimentate in generazioni con orientamenti attuali e ribadisce come un pezzo d’emancipazione passa per la capacità e l’indipendenza economiche. Oppure nel diffuso mondo rurale tramite quel patrimonio rappresentato dalle capre diventate elemento vitale di un consolidato progetto. Tutto ciò è il frutto d’un intenso lavoro sociale svolto alla luce del sole o in clan- destinità in quelle aree che restano tuttora un terreno minato e impraticabile, non solo metaforicamente. Gli omicidi, gli attentati, le minacce cui queste donne sono sottoposte e che tuttora le perseguitano non ne limitano idee e azione. Loro sono il fiero volto di un altro Afghanistan che resiste e cerca la vittoria.
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