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Per la lotta della classe operaia in Egitto

(15 Ottobre 2013)

Per la lotta della classe operaia in Egitto contro lo Stato borghese, il suo esercito e i suoi servi laici o islamici, tutti ad essa ugualmente nemici.

In Egitto, dopo i giorni di lotta di strada, stragi ed eccidi, i commentatori borghesi approfittano dell’emotività del momento per tutto nascondere e confondere, parlano di “guerra civile” ma” nessuno indica quali opposti interessi di classe si stanno scontrando. Spiegano tutto come un conflitto tra i Fratelli Musulmani, che rivendicherebbero una violata “legalità democratica” dal colpo di Stato, e l’esercito, ben intenzionato a ristabilire l’ordine, in questo appoggiato da un largo fronte “laico”.

Non dobbiamo farci trarre in inganno dai simboli, dalle parole d’ordine, dagli obbiettivi che i manifestanti sui due fronti scrivono sulle loro bandiere. Le ragioni profonde di questo scontro non si possono ridurre ad una lotta per la “legalità”, per la “democrazia”, o per la “legge islamica”, in una società come quella egiziana, pienamente capitalistica, anche se forme economiche passate ed anche arcaiche sono tuttora presenti, come nella maggior parte delle società borghesi. Dietro ai manifestanti, ovviamente, nella condizione attuale dell’Egitto, ci sono motivazioni materiali e necessità vitali, che però né l’uno né l’altro fronte hanno la possibilità di risolvere. Né i capi dell’esercito né i Fratelli Musulmani potranno assicurare un futuro e una vita degna ai milioni di egiziani che da due anni si sono mobilitati e scendono nelle piazze.

La classe lavoratrice, l’unica che avrebbe la forza per contrapporsi al regime borghese, è rimasta, giustamente, assente da questo scontro. Questo non vuol dire certo che il proletariato sia indifferente alla situazione economica e sociale, né che qualche lavoratore non si sia lasciato fuorviare dall’uno o dall’altro fronte in lotta. Le manifestazioni organizzate dai Fratelli Musulmani per il ripristino del legale governo Morsi non hanno emozionato il proletariato; non abbiamo infatti notizie di scioperi o di dichiarazioni dei sindacati indipendenti in appoggio al movimento di piazza. Al contrario, le uniche prese di posizione, come denuncia un volantino dei sindacati indipendenti, sono state quelle dei sindacati ufficiali, che hanno chiesto ai lavoratori di manifestare in appoggio ai golpisti di Al-Sisi.

Nell’esercito, per quanto ne sappiamo, non si sono registrati casi di diserzione, sicuramente non di massa e, nonostante la durezza della repressione, l’apparato dello Stato ha tenuto.

I Fratelli Musulmani sono uno dei più vecchi partiti borghesi in Egitto, dispongono in tutto il paese di una organizzazione capillare formatasi in quasi un secolo nel quale hanno dovuto agire in semi-clandestinità, ma tollerati dal regime, che non di rado ne ha tirato fuori i capi dalle galere per servirsene contro il proletariato.

Una organizzazione sperimentata e l’azione di assistenza sociale che il movimento tradizionalmente svolge tra i ceti meno abbienti grazie alle notevoli risorse economiche di cui dispone, sono i fattori che possono spiegare la mobilitazione in suo appoggio nei giorni di metà agosto. I manifestanti appartenevano per lo più alle masse diseredate che sono gran parte della popolazione d’Egitto, ma anche alle classi medie delle campagne: pare che migliaia di manifestanti siano stati portati nelle principali città con gli autobus. Ma provenivano anche dalle città, mentre le classi borghesi che stanno dietro ai Fratelli Musulmani non si sono certo arrischiate a scendere nelle strade. Il proletariato industriale o agricolo è stato invece totalmente assente.

La scelta dei Fratelli Musulmani di scagliare i propri seguaci contro l’esercito, che pur aveva più volte annunciato che avrebbe sciolto le manifestazioni con la forza, può essere stata una cinica scelta per recuperare un po’ di credibilità, oltre che, forse, una sopravvalutazione della propria forza.

Al governo, i Fratelli Musulmani si sono dimostrati incapaci di trovare una qualsiasi soluzione alla crisi economica che attanaglia l’Egitto. In passato si erano alienati ogni sostegno da parte dell’Arabia Saudita, del Kuwait e degli Emirati Arabi Uniti a causa della loro approvazione al regime di Saddam Hussein quando l’esercito iracheno invase il Kuwait. In seguito la politica di avvicinamento all’Iran e di appoggio ad Hamas ha peggiorato le cose. Non potevano dunque attendersi aiuto da parte dell’Arabia Saudita ed alleati. Al contrario il Qatar, che sostiene i gruppi salafiti e terroristi in Siria, in Africa del nord e nel Sahel, ha generosamente finanziato i Fratelli versando ai loro diversi capi, secondo il Financial Time, ben 8 miliardi di dollari.

Ma non uno di questi dollari è stato usato per contribuire alla ripresa dell’economia egiziana, in un momento in cui il paese sta negoziando col Fondo Monetario Internazionale un prestito di 4,8 miliardi di dollari. Al settore turistico alberghiero, che assicurava all’Egitto preziose entrate in valuta estera, è stato dato il colpo di grazia nominando dei vecchi terroristi nei posti chiave del settore.

Alle richieste del proletariato industriale la sola risposta che i Fratelli Musulmani hanno saputo dare è stata la mitraglia, mostrando apertamente la loro natura antiproletaria e reazionaria.

L’aggravarsi della crisi economica, la crescente instabilità sociale, l’aumento degli scontri di piazza hanno finito per alienare ai Fratelli il sostegno delle classi borghesi e piccolo-borghesi che avevano sperato in loro per il ritorno alla stabilità e alla pace sociale.

In questa situazione economica catastrofica, il loro odio verso i cristiani, che li ha spinti ad assassinarli gratuitamente e a bruciare numerose chiese, e la loro dichiarata volontà di imporre una costituzione basata sulla legge islamica, hanno finito per esasperare la grande maggioranza della popolazione che ha manifestato la sua forte opposizione.

L’esercito, che rappresenta una grande potenza economica e i cui capi hanno temuto di perdere i loro privilegi, ha deciso di dare una decisa rimessa in riga alla Fratellanza. Malgrado gli appelli alla calma lanciati dalle borghesie europee e nordamericane, che sempre vedono nella religione un solido bastione della controrivoluzione, l’esercito ha condotto una metodica repressione e arrestato i capi dei rivoltosi; ma, significativamente, lasciando in libertà i più radicali.

Il braccio armato dello Stato borghese si è mostrato in tutta la sua brutalità ed è fuor di dubbio che quello che la gerarchia militare è stata capace di fare contro i Fratelli Musulmani, lo farà senza esitazione anche contro il proletariato, suo vero nemico.

Questo frusto gioco non è sfuggito almeno ad una parte dei proletari egiziani: si legge nell’appello ai lavoratori proposto il 26 luglio da una consistente minoranza del Comitato esecutivo dei Sindacati indipendenti: «Chiedetevi: nell’interesse di chi continuano questi scontri e lo spargimento di sangue? È nell’interesse di entrambi, dei capi dei Fratelli Musulmani e dell’esercito. Come i poveri sono la carne da cannone nelle guerre tra Stati, così i poveri dell’Egitto sono la benzina dei conflitti e delle guerre intestine».

In ultima analisi questi scontri si iscrivono nella preparazione della guerra interna contro il proletariato. Il sangue dei morti e dei feriti versato nelle piazze delle principali città d’Egitto aveva per scopo di rivolgere un terribile monito al proletariato e alle classi oppresse d’Egitto, classi che la crisi economica mondiale, ed egiziana in particolare, minaccia di mettere in movimento.

Ed è a questo proletariato, schiacciato dai salari da fame e dallo sfruttamento capitalistico, costretto ad una vita infame e senza prospettive, che ci rivolgiamo. Il proletariato non è “il popolo”, non è una massa indistinta che si muove senza una precisa direzione, in balia di ogni demagogia. Esso rappresenta una classe sociale che ha un programma determinato e conosce precise forme di lotta e di organizzazione. Può diventare un esercito capace non solo di fermare l’apparato produttivo capitalistico ma di affrontare la macchina statale fino alla sua distruzione e all’instaurazione della sua dittatura di classe. Quando il proletariato si metterà in movimento le istituzioni tutte della repressione borghese, che oggi appaiono invincibili, si riveleranno impotenti, minate al loro interno dalle contraddizioni stesse della società capitalistica.

Per arrivare a questo risultato, per diventare un esercito disciplinato e potente, la classe operaia, in ogni paese, dovrà lottare per la rinascita delle organizzazioni per la sua difesa sul piano economico – opera che in Egitto ha già compiuto i suoi primi importanti passi con la nascita della Federazione dei Sindacati Indipendenti (EFITU) fuori e contro la federazione sindacale di regime – e ricongiungersi col suo partito di classe, il Partito Comunista Internazionale.

Partito Comunista Internazionale

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