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(10 Gennaio 2011) Enzo Apicella

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Sciopero generale 18 ottobre
Volantino del PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

Contro le illusioni del riformismo, per il Sindacato di Classe, per il Comunismo Rivoluzionario!

(17 Ottobre 2013)

Lavoratori,

oggi i sindacati di base vi chiamano giustamente allo sciopero generale contro l’austerità, la precarietà, le leggi anti-immigrazione, le offensive di industriali e governo, complici i sindacati di regime (Cgil, Cisl, Uil, Ugl), volte a scaricare sui lavoratori gli effetti della crisi, come il blocco del contratto dei dipendenti pubblici, la demolizione del contratto nazionale, gli accordi aziendali fatti di licenziamenti, cassa integrazione, tagli del salario, aumenti dello straordinario e della produttività.

Tutti questi attacchi sono spiegati dalla cosiddetta sinistra radicale – che dirige le principali organizzazioni sindacali di base e la minoranza di sinistra interna alla Cgil – come il prodotto di una particolare politica economica, il neoliberismo, che sarebbe colpevole d’aver provocato la crisi e di continuare ad aggravarla, a cui andrebbe contrapposta un’altra, basata sul forte intervento dello Stato nell’economia, con investimenti e nazionalizzazioni, che permetterebbe – a loro dire – di estendere i servizi e la previdenza pubblica, redistribuire il reddito, uscire dalla crisi.

Tutto questo è completamente falso e induce i lavoratori a imboccare la strada della sconfitta, come già la storia ha dimostrato.

Nessuna politica ha provocato la crisi, né poteva scongiurarla, per il semplice fatto che essa è inevitabile, perché causata dalle non modificabili leggi di funzionamento del capitalismo.

Il marxismo rivoluzionario è il solo che, fin dalle sue origini col Manifesto (1848) ed il Capitale (1864), ha previsto e denunciato ai lavoratori di tutto il mondo l’inesorabile precipitare dell’economia capitalista in crisi sempre più catastrofiche, la cui unica soluzione all’interno di questa società è la guerra.

I partiti riformisti e opportunisti – quelli che per decenni hanno ingannato i proletari spacciando per comunismo il capitalismo di Stato russo, cinese, cubano, ecc. – come ieri hanno nascosto o negato la previsione marxista della crisi, lasciando i lavoratori impreparati ad affrontarla, così oggi si affannano a darne false spiegazioni e soluzioni.

Le cause della crisi odierna non sono affatto nuove, sono le stesse che causarono la grande depressione del 1929: la sovrapproduzione e il calo del saggio del profitto, due malattie degenerative ed incurabili dell’economia capitalista.

Non è una cattiva amministrazione del capitalismo ad averne causato la crisi. Lo dimostra il fatto che colpisce tutti i paesi, da quelli comunemente considerati corrotti e male amministrati, come ad esempio l’Italia e la Grecia, a quelli noti per la loro efficienza, quali il Giappone, la Germania, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, l’Olanda, fino all’Islanda. La diversa gravità con cui ciascun paese è colpito dalla crisi è dovuta al fatto che i capitalismi nazionali più forti, per ora, riescono a scaricarne parte degli effetti sui concorrenti più deboli. Ma con la sua inevitabile avanzata la crisi affonderà tutti i paesi uno dopo l’altro come i pezzi di un domino. Non esistono paradisi nazionali nel capitalismo per i lavoratori.

La politica economica invocata oggi dalla cosiddetta sinistra radicale, all’epoca della grande crisi del 1929 fu adottata indifferentemente da tutti i regimi borghesi – democratici, nazi-fascisti, falsamente comunisti (la Russia stalinista) – e, a seconda di chi la propugnava, definita keynesiana, socialdemocratica, nazionalsocialista, comunista. Al di sotto della cortina fumogena di queste ideologie – tutte scientificamente demolite dal marxismo – quella politica non era finalizzata a superare il capitalismo ma a conservarlo. Infatti la crisi non si risolse. A farlo fu solo la Seconda Guerra mondiale con le sue terribili distruzioni delle merci in eccesso, fra cui innanzitutto la merce forza-lavoro, con 55 milioni di morti, quasi tutti proletari e contadini, con la sottomissione dei lavoratori al massimo sfruttamento prima nel regime di guerra e dopo in quello della ricostruzione. Solo questo inumano e controrivoluzionario sacrificio ha permesso il famigerato boom economico degli anni successivi.

La forte crescita dei primi decenni del dopoguerra ha permesso da un lato alla borghesia di proseguire la politica, già avviata prima della guerra, di interventismo statale in economia ed estensione dei servizi e della previdenza pubblici (in Italia, per esempio, l’IRI fu fondata nel 1933 e l’INPS nel 1935), dall’altro al riformismo (in Italia il PCI) di illudere i lavoratori che il capitalismo fosse stato definitivamente cambiato dalla democrazia, la quale avrebbe portato loro benessere e diritti garantiti.

Ma la crescita – invocata da un estremo all’altro dello schieramento politico borghese quale “bene comune” a tutte le classi – altro non è che la crescita del Capitale. Oltre un certo limite è impossibile: perché sono state prodotte troppe merci e perché il margine di profitto diviene sempre più esiguo. Le fasi economiche di forte crescita sono solo la premessa della crisi generale.

Nel 1974 la prima manifestazione della crisi attuale segnò l’esaurirsi dell’effetto benefico, per il capitalismo, della Seconda Guerra mondiale. Da allora il capitalismo ha rimandato il precipitare della crisi e mantenuto una crescita sempre più debole, manovrando su tre leve: il debito, l’allargamento del mercato mondiale, l’aumento dello sfruttamento della classe lavoratrice. La crescita del debito pubblico, iniziata proprio nel 1973-’74, e l’allargamento del mercato mondiale, maturato dalla metà degli anni ’80, hanno permesso alla borghesia di attaccare con studiata gradualità la classe operaia: nel 1978 la Cgil inaugurò, con la “svolta dell’EUR”, la politica della “moderazione salariale”; nel 1983 iniziò l’attacco alla scala mobile con il “protocollo Scotti”, completato nel 1992 con l’accordo Amato-Trentin; nel luglio 1993 fu formalizzata la “concertazione” e varata la nuova “politica dei redditi” sul parametro della “inflazione programmata”; nel 1995 il governo Dini riuscì dove aveva fallito il precedente governo Berlusconi, facendo approvare la controriforma del sistema pensionistico; nel 1997 la legge Treu aprì le porte al precariato nei rapporti di lavoro, sanzionata e peggiorata dalla legge 30 del 2003; nel 1998 la legge Turco-Napolitano istituì il reato di clandestinità e i Centri di Permanenza Temporanea contro gli immigrati, poi aggravata dalla legge Bossi-Fini del 2002. Tutti questi questi attacchi sono stati giustificati sempre allo stesso modo: “stare peggio oggi per stare meglio domani”. È evidente invece che ogni nuovo sacrificio è stato la premessa a un arretramento ancora peggiore e che la crisi è stata rimandata ma non risolta: è esplosa cinque anni fa e continuerà fino al tracollo l’intero sistema economico capitalistico. L’attacco contro i lavoratori si è così fatto più duro con la Riforma Fornero del mercato del lavoro e quella Monti del sistema pensionistico.

Il fatto che, in questo ultimo arco di 35 anni, in tutti i paesi, la maggior parte dei partiti socialdemocratici abbiano abbracciato il cosiddetto neoliberismo dimostra che è l’andamento dell’economia capitalista a determinare le politiche dei governi borghesi, non viceversa, e che chi accetta il capitalismo deve sottostare alle sue leggi. Non è il neoliberismo ad aver generato la crisi ma questa ad aver imposto quella politica ai governi borghesi, di destra e di sinistra. Lo dimostra anche la storia del falso comunismo russo, il più chiaro tentativo non certo di socialismo ma di regolazione del capitalismo da parte dello Stato, crollato miseramente nel 1989 proprio sotto il peso delle leggi economiche capitalistiche che pretendeva dominare.

Lavoratori, operai, compagni !

Affinché la vostra lotta sia efficace ed abbia una prospettiva futura non deve farsi carico della salute di questa società morente. Questo significa rifiutare di sottomettere i vostri bisogni al preteso superiore “bene del paese”, che non è il bene di tutti i cittadini, al di sopra delle classi, secondo la formula borghese del “siamo tutti sulla stessa barca”, ma è solo il bene del Capitale.

Come quando i lavoratori si illudono di tutelare i propri interessi legando le proprie sorti a quelle dell’azienda in cui lavorano, e sono messi in concorrenza gli uni contro gli altri, col risultato di abbassare salario e condizioni della classe intera, così se pensano di risolvere e superare la loro condizione di miseria all’interno del loro paese, si incatenano al carro della propria borghesia nazionale, che oggi li mette in concorrenza coi lavoratori degli altri paesi sul piano economico, domani, quando la crisi non avrà più sbocchi, li condurrà alla guerra.

Nessuna politica nazionale, sia essa finalizzata, ad esempio, a pagare o non pagare il debito, a stare dentro o fuori la falsa e borghese Unione Europea, a privatizzare o nazionalizzare le aziende, è contro il capitalismo e può quindi risolvere le sue contraddizioni, che generano miseria, sfruttamento e guerra. Non esistono patrie socialiste. La soluzione per i lavoratori è in una superiore società senza Capitale, possibile solo sul piano internazionale. La prima e più antica parola d’ordine del comunismo rivoluzionario è sempre la più attuale e necessaria: proletari di tutti i paesi unitevi!

Quindi, di fronte alla crisi che avanza i lavoratori devono difendere intransigentemente le proprie condizioni di vita sul piano economico organizzandosi in un vero SINDACATO DI CLASSE, fuori e contro i sindacati di regime (Cgil, Cisl, Uil, Ugl) necessario per unire in modo sempre più esteso le singole lotte fino a raggiungere la capacità di dispiegare lo sciopero generale a oltranza per i soli obiettivi che veramente uniscono tutta la classe lavoratrice:
– Difesa intransigente del salario, con aumenti maggiori per le categorie peggio pagate;
– Riduzione dell’orario di lavoro, a parità di salario e da elevare a livello europeo;
– Salario ai lavoratori licenziati, adeguato al costo della vita, a carico di industriali e banchieri mediante il loro Stato.

Il SINDACATO DI CLASSE deve essere ricostruito rigettando tutto il bagaglio del sindacalismo di regime facendo propri i principi e i metodi dell’originario movimento sindacale proletario:
– utilizzo dei metodi propri della lotta di classe: scioperi a oltranza, senza preavviso, che cercano di estendersi sempre agli altri lavoratori al di sopra delle aziende e delle categorie, con picchetti per bloccare l’ingresso di merci e crumiri;
– vita sindacale basata sul lavoro gratuito e volontario dei militanti sindacali, riducendo al minimo funzionari stipendiati;
– raccolta delle quote mensili sindacali per via diretta, attraverso i militanti sindacali, rigettando il mezzo della delega, per non dare in mano all’azienda i soldi del sindacato e la lista dei suoi iscritti, base materiale fondamentale del sindacalismo concertativo e collaborazionista;
– organizzazione sindacale che privilegi le strutture territoriali rispetto a quelle aziendali, come nella tradizione delle originarie Camere del Lavoro, dove i lavoratori si incontrano in quanto tali, non come dipendenti della singola azienda, rafforzando i legami di classe.

I sindacati di base possono forse essere l’embrione del sindacato di classe a patto di sconfiggere al loro interno le dirigenze riformiste e opportuniste, le quali dalla loro nascita li mantengono divisi, battendosi per la loro unificazione dal basso e per l’affermazione di questi metodi e principi.

Lavoratori, operai, compagni !

La lotta sindacale è necessaria a non restare schiacciati dal capitalismo, ma è pur sempre una fatica di Sisifo contro i suoi effetti. Per questo non deve essere fine a se stessa ma servire da palestra per salire dalla lotta economica difensiva a quella offensiva per il solo obiettivo politico dei lavoratori nel capitalismo: la conquista rivoluzionaria del potere, rigettando tutti i fittizi obiettivi politici intermedi dell’opportunismo utili solo ad allontanare questa soluzione.

Per questo grandioso quanto vitale compito vi chiama alla milizia nelle proprie file il Partito Comunista Internazionale – erede della Sinistra Comunista italiana, la corrente che fondò il Partito Comunista d’Italia a Livorno nel 1921 e che lottò dalla prima ora contro l’ondata opportunista dello stalinismo, che ha mistificato e stravolto agli occhi di intere generazioni proletarie il senso ed il significato del Comunismo.

Partito Comunista Internazionale

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