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(14 Novembre 2010) Enzo Apicella

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Gli sviluppi della situazione politica italiana
e i compiti dei rivoluzionari

Risoluzione del Consiglio Nazionale del Pdac (12-13 ottobre)

(19 Ottobre 2013)

Come scrivevamo nella risoluzione, discussa e votata allo scorso Consiglio Nazionale, il governo guidato da Enrico Letta, al di là della propaganda, ha dimostrato di essere un esecutivo che continua, e anzi approfondisce, le politiche di austerità contro la classe operaia e i lavoratori in generale, politiche iniziate da tutti i governi che si sono succeduti alla guida del Paese negli ultimi anni e in particolare dal governo Monti, primo esperimento di maggioranza di “unità nazionale” nell’Italia della Seconda Repubblica.
Il governo Letta, così come quello del suo predecessore, attua le sue politiche di concerto con le indicazioni che provengono dall’Unione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale. Ma al contrario di quanto vorrebbe far credere una certa propaganda, sia di destra sia di "sinistra" (anche “radicale”), questi suggerimenti (in alcuni casi vere e proprie imposizioni), provenienti da organismi sovranazionali, non configurano, ad oggi, un commissariamento e una perdita di sovranità per lo Stato italiano.
Per ora la grande borghesia nazionale, di concerto con i partiti che la rappresentano (Pdl, Pd e Centro di Monti su tutti), usa prioritariamente la sponda delle indicazioni provenienti dalla Troika, come supporto “autorevole” per quelle decisioni in materia economica e finanziaria che sono funzionali al mantenimento del proprio dominio sulle classi subalterne del Paese e al mantenimento del suo ruolo di potenza imperialista nel Vecchio Continente e a livello globale.
Certo, con la crisi scoppiata nel 2007 l’imperialismo tricolore ha subito un pesante ridimensionamento (che possiamo sintetizzare con il crollo del Pil, della produzione industriale, la perdita di competitività e l’aumento del debito sovrano) che indubbiamente ne indebolisce la capacità di contrattare nei confronti dei suoi maggiori competitori globali, ma ciò non cambia la caratterizzazione dell’Italia come potenza imperialista, con la conseguente necessità di individuare anche la borghesia nazionale come nemico della classe lavoratrice presente oggi nella Penisola.

Il governo Letta: rafforzato nei Palazzi, indebolito nella società
Le ultime vicende hanno indubbiamente rafforzato la maggioranza parlamentare del governo Letta: da un rischio molto alto di perdere la fiducia alle Camere, specialmente dopo la condanna definitiva in Cassazione del leader di uno dei due principali schieramenti borghesi che lo sostengono, avvenuta lo scorso agosto, al suo consolidamento dopo la fiducia del 2 ottobre, quando, grazie alla ribellione di alcuni senatori e deputati del Pdl, il leader indiscusso di quel partito ha dovuto fare una clamorosa retromarcia e annunciare che avrebbe ancora sostenuto quel governo che fino a qualche minuto prima dava ormai per spacciato.
Questa, al momento indubbia, vittoria nei palazzi del potere non è però in grado di risolvere magicamente tutte le difficoltà e tutte le contraddizioni che Letta deve e dovrà affrontare già a partire dalle prossime settimane.
Il 2013 sarà il quarto anno consecutivo in cui il Pil subirà una contrazione. La ripresa, per quanto debole, che per alcuni dovrebbe iniziare nell’ultimo trimestre di quest’anno e proseguire nel 2014, non risolverà nessuno dei problemi esplosi nell’ultimo quadriennio, anzi le necessità di adempiere agli obblighi previsti a livello europeo circa la riduzione del debito pubblico in eccesso (Fiscal Compact) avrà quasi certamente la conseguenza di spegnere sul nascere questi timidi segnali di ripresa. Rispetto alla finta opposizione del Movimento cinque stelle, in seguito alle ultime dichiarazioni razziste di Grillo-Casaleggio e al duro attacco ai senatori dissidenti, non solo si conferma come giusta la nostra caratterizzazione del movimento come piccolo-borghese e reazionario, ma si evidenzia in tal senso un affinamento della sua base sociale e programmatica.

Sinistra riformista e sindacati confederali: pompieri del malcontento sociale, ma fino a quando?
Ancora oggi viviamo in Italia una situazione solo apparentemente paradossale: un impoverimento generale delle classi subalterne causato da un durissimo attacco padronale, e una conflittualità assolutamente limitata.
Questa, dicevamo, apparante contraddizione, si spiega col ruolo nefasto svolto dalle burocrazie sindacali e da ciò che resta della socialdemocrazia italiana organizzata in partito.
I primi si sono battuti con tutte le loro forze per spegnere, sedare e isolare i segnali di ribellione che si sono avuti negli ultimi tempi. Il definitivo e ormai palese arruolamento della Fiom nello schieramento sindacale a supporto della stabilità politica (e che ha raggiunto il suo livello più vergognoso con la minaccia di indire una mobilitazione generale contro l’ipotesi di dimissioni del governo, quello stesso governo che massacra gli iscritti ai sindacati!) va, al momento, a consolidare questa situazione.
Allo stesso tempo è un segnale di debolezza, perché non lascia nessuno spazio di manovra alle burocrazie sindacali nel caso, sempre più probabile per non dire certo, che in futuro vi sia una esplosione sociale di massa nel Paese del tipo di quelle che ci sono state in Grecia, Spagna, Portogallo e Brasile. Questo caso è molto interessante per noi, non solo per il ruolo che abbiamo lì grazie al nostro partito fratello, il Pstu e alla Lit, ma perché è la prova che anche una forte, radicata e autorevole burocrazia socialdemocratica, come quella del Pt e della Cut poco può fare di fronte alla crescita esponenziale della rabbia popolare.
I secondi, proprio in queste settimane concitate, hanno dimostrato tutta la loro pochezza e inconsistenza.
Sel di Vendola si è detta immediatamente disponibile a sostenere un governo che rompesse con Berlusconi, quindi pronta a entrare in maggioranza col Pd, il Centro di Monti e settori del Pdl in rotta con Berlusconi (tra i quali ci sono i maggiori rappresentanti politici di Comunione e Liberazione e del suo braccio economico, la Compagnia delle Opere, che sono stati tra i più convinti sostenitori e tra i maggiori beneficiari della distruzione e privatizzazione del welfare pubblico).
Di Rifondazione nulla si è saputo, se non che parteciperà il 12 Ottobre alla manifestazione in difesa della Costituzione, insieme a settori della borghesia cosiddetta progressista che infatti manifesta a sostegno di una Costituzione che è stata utilizzata come lo strumento principale per il consolidamento del dominio borghese alla fine della Seconda Guerra Mondiale. La manifestazione del 12 rappresenta un ulteriore passaggio nel processo di aggregazione di una corrente di opinione a carattere laburista intorno alle figure di Rodotà e Landini e con la partecipazione di Vendola. Nell'immediato, l'ipotesi della costituzione di un "partito del lavoro" fondato su queste basi non è probabile, sebbene non sia da escludere nel prossimo periodo.
Al contempo continua la lotta intestina tra la destra grassiana e l’area legata al segretario Ferrero, che potrebbe prefigurare nuove scissioni future. Questa si trova sempre più difficoltà perché non ha uno spazio politico e organizzativo che permetta il rilancio del progetto di Rifondazione Comunista. L’avvicinamento che si era avuto l’estate scorsa al progetto di Cremaschi, Ross@, appare avviarsi tra enormi limiti e contraddizioni e, ad oggi, non pare coinvolgente per settori significativi di lavoratori e giovani. Le riunioni locali che dovevano dare il lancio all’organizzazione si sono rivelate dei veri e propri flop.
Le sorti di questa nuova operazione politica, fondata su basi riformiste, paiono non essere delle migliori. Difficilmente il prossimo congresso della Cgil, che Cremaschi utilizzerà anche per sponsorizzare la sua creatura, riuscirà a rilanciare questa esperienza che, con molta probabilità, è destinata al fallimento.
Nel collasso lento ma inesorabile di Rifondazione comunista, si evidenzia la solita politica attendista e opportunista della minoranza interna di Falcemartello, che pur utilizzando un linguaggio formalmente rivoluzionario, nei fatti è in attesa della costituzione di un nuovo calderone socialdemocratico dove entrare (secondo la versione deformata dell'entrismo da loro teorizzata che prevedere la rinuncia alla costruzione di un partito rivoluzionario indipendente.)

I centristi
Nemmeno per le forze centriste, cioè quelle forze che oscillano tra posizioni riformiste e rivoluzionarie, il destino, in questi mesi, ha riservato una sorte migliore.
Per quanto riguarda Sinistra Critica, la profonda crisi iniziata mesi fa è arrivata al suo epilogo. Con uno scarno comunicato, apparso sul sito, si è sancita la fine di quella forza che, negli auspici dei suoi fondatori, doveva raccogliere il testimone lasciato cadere da Rifondazione Comunista, e diventare la vera alternativa di sinistra agli schieramenti borghesi. Tuttavia la mancanza di una chiara connotazione programmatica di classe, la conseguente decisione di non costruire un partito basato sulla militanza di tipo bolscevico, infine l’essere parte di un raggruppamento internazionale (il Segretariato Unificato per la Quarta Internazionale) che da decenni si era ridotto a un mero ambito di discussione senza l’ambizione di diventare un’internazionale vera e propria, hanno decretato la morte di Sinistra Critica.
Una parte dell’organizzazione ha scelto di dedicarsi a progetti editoriali e a un non ben definito intervento nei movimenti. Un’altra richiama, in maniera molto confusa, la volontà di darsi una forma politica più organizzata, anche in questo caso senza fare un necessario bilancio del proprio fallimentare passato.
Quella che per decenni era stata la maggiore organizzazione che in Italia si rifaceva al trotskismo finisce il suo percorso nella più assoluta irrilevanza. Per parte nostra ci rivolgiamo a tutti quei militanti di Sc che non accettano la svolta intrapresa dai loro dirigenti e rivolgiamo loro un invito a confrontarsi con noi sulla prospettiva di costruire in Italia una forza coerentemente comunista rivoluzionaria.
L’altra forza centrista, il Pcl, continua a dibattersi nella proprio difficoltà. Anche in questo caso manca un bilancio delle scelte fatte fino ad oggi. L’aver costruito un partito lasso, fondato su una sommatoria di linee locali diverse che si raccolgono attorno ad un programma nazionale che rimane sulla carta, sulla totalizzante sovraesposizione del suo leader guru, l’aver continuamente annunciato a ogni tornata elettorale la possibilità, ogni volta smentita, di ottenere mirabolanti risultati, il non essere parte, come peraltro Sc, di un qualsivoglia coordinamento internazionale (il Crqi ormai sopravvive solamente come sigla che unisce pochi gruppi privi di un programma e di un’organizzazione comune), segnano una strada che non può che portare questa organizzazione ad approfondire sempre più le proprie difficoltà e contraddizioni.

La costruzione del Pdac
In questo quadro possiamo affermare, senza cadere nella retorica auto celebrativa, che il nostro partito è l’unica forza della sinistra classista ad aver intrapreso, e nel vedere confermata anche in questa fase, un percorso di crescita e di consolidamento politico organizzativo, in controtendenza rispetto a ciò che avviene per le altre forze del movimento operaio.
Come accennato non vogliamo dare giudizi falsamente entusiastici del nostro lavoro. Siamo assolutamente consapevoli della nostra forza, così come dei nostri limiti. Siamo consapevoli allo stesso tempo di non essere, ad oggi, quel partito rivoluzionario con influenza di massa di cui i lavoratori in Italia hanno disperato bisogno.
Allo stesso tempo dobbiamo riconoscere di essere l’unico partito che, nella fase attuale, si batte per far sì che la prospettiva rivoluzionaria non rimanga solo un'idea da propagandare nei seminari e nei dibattiti ma si concretizzi nella pratica.
E’ grazie a questo modo di intendere il lavoro politico e organizzativo che il Pdac continua a crescere, seppur al momento in forma molecolare. Siamo l’unico partito che fin da subito si è schierato al fianco di quella che oggi è la più importante e radicale lotta di lavoratori in Italia, cioè quella legata al settore della logistica. Abbiamo un ruolo dirigente di primo piano nella lotta dei lavoratori dell’Om che, resistendo agli attacchi della repressione borghese, ai ricatti padronali e al sabotaggio delle burocrazie sindacali (Fiom in testa) difendono il posto di lavoro con tutte le loro forze. Abbiamo aderito con convinzione al Coordinamento No Austerity, che ha l’obiettivo di raggruppare le differenti realtà in lotta che, superando l’isolamento, tentano di resistere ai colpi della crisi.
Il Partito sta crescendo, sia in regioni dove fino ad oggi non era presente, sia in quelle dove aveva piccoli presidi. E’ una crescita non solo numerica ma anche qualitativa: nuovi quadri che si stanno direttamente formando nelle lotte, specialmente giovani e immigrati, aderiscono al Pdac; quelli che già da tempo erano nel Partito stanno acquisendo nuove capacità politiche e organizzative.
L’essere componenti di una organizzazione internazionale, la Lit, che sta avendo con diverse sue sezioni un ruolo centrale nelle mobilitazioni che si susseguono nei vari Paesi in cui siamo presenti, è senza ombra di dubbio di importanza centrale per il nostro sviluppo.
Dobbiamo continuare a rafforzare le strutture nazionali e locali del Partito: le riunioni di sezione devono, soprattutto in questa fase, mantenere una cadenza almeno settimanale: tutti i compagni devono partecipare e essere coinvolti nella discussione politica e nella militanza quotidiana. Il costante miglioramento della qualità della nostra rivista, la crescita delle pubblicazioni sul sito web, il prossimo passaggio a mensile del nostro giornale favoriscono questo percorso.
In conclusione crediamo di poter riconfermare quanto deciso nelle precedenti riunioni del nostro Consiglio Nazionale: il fatto che la crisi economica a oggi è ben lontana dall’essere terminata, che anzi in Italia si prevede un suo ulteriore aggravarsi, il che certamente determinerà la fine della “pace sociale” che ha caratterizzato gli ultimi anni, la crisi sempre più chiara e irreversibile delle organizzazioni riformiste e centriste, tutto ciò nel quadro di una ascesa delle lotte e delle rivoluzioni a livello globale, dal Brasile alla Turchia, dall’Egitto alla Siria che a oggi rappresenta la punta più avanzata della lotta di classe a livello internazionale e che indica allo stesso tempo tutte le difficoltà dell’imperialismo a trovare una soluzione in grado di consolidarne il dominio a livello mondiale, ci consente di poter propagandare con sempre maggiore forza e credibilità la necessità di una soluzione operaia alla crisi capitalistica.
Già a partire dalle prossime scadenze, in particolare lo sciopero generale indetto dal sindacalismo di base per il prossimo 18 ottobre e la campagna di solidarietà con la rivoluzione in Siria che lanceremo internazionalmente insieme alle altre sezioni della Lit, il Pdac deve intervenire con una piattaforma rivendicativa che ponga all’ordine del giorno la necessità del potere operaio come unica via d’uscita progressiva alla crisi del capitalismo.

Pdac

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