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La pagliuzza

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(16 Giugno 2010) Enzo Apicella
Mentre il petrolio continua ad inquinare il Golfo del Messico, il presidente USA denuncia l'irresponsabilità dei vertici della British Petroleum

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    Cambiamenti climatici e vulnerabilità del territorio, i numeri italiani

    (24 Ottobre 2013)

    Il primo intervento per il think tank Eco²-Ecoquadro del responsabile scientifico di Legambiente, Giorgio Zampetti

    cambvuln

    [24 ottobre 2013]

    di
    Giorgio Zampetti


    Con l’inizio dell’autunno 2013 è ricominciata l’allerta maltempo e purtroppo anche le tragedie che frane e alluvioni continuano a seminare sul nostro territorio. Toscana, Puglia e in questi giorni la Liguria sono le regioni più colpite ma i numeri sono destinati ad aumentare. Sono infatti più di 5 milioni, secondo una recente indagine di Legambiente[1], i cittadini italiani che ogni giorno vivono o lavorano in aree considerate ad alto rischio idrogeologico e 6.633 i Comuni che hanno all’interno del territorio aree ad elevato rischio di frana o alluvione[2].

    Precipitazioni – sempre più intense e frequenti per i cambiamenti climatici in atto -, un territorio che ogni anno è reso più vulnerabile dal consumo di suolo, e una politica di prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico che continua a basarsi su pochi interventi di somma urgenza invece che su un’azione di prevenzione e manutenzione diffusa su tutto il territorio sono le cause del problema.

    Il contesto climatico sta trasformando in ordinario quella che prima era considerata un’eccezionalità. Se infatti le frane e le alluvioni non sono una novità nel nostro Paese, negli ultimi anni questi eventi sono diventati sempre più frequenti. Analizzando le banche dati[3] oggi disponibili sul rischio idrogeologico a partire da metà del scolo scorso, risulta evidente come negli ultimi dieci anni l’area di territori coinvolti da frane e alluvioni è raddoppiata, passando da 4 regioni coinvolte annualmente alla media attuale di 8. Ulteriore conferma arriva anche dai dati pubblicati da Ispra[4] relativi alla quantità di pioggia caduta nei principali eventi alluvionali. Come quelli di Messina nel 2009, della Liguria nel 2010 e 2011, della Toscana (in Lunigiana nel 2011 e in Maremma nel 2012), dove la concentrazione di pioggia caduta al suolo nelle 24 ore più critiche corrisponde spesso a circa un terzo, o a volte alla metà, delle precipitazioni medie annue della regione.

    L’elevata frequenza di questi fenomeni meteorologici e un territorio sempre più vulnerabile alle frane e alle alluvioni fanno registrare ogni anno danni in termini sociali, ambientali e purtroppo anche di vite umane, così come sta avvenendo in questi giorni. Si continua però ad ignorare la necessità di attuare una sera politica di mitigazione del rischio da frane e alluvioni nel nostro Paese, a partire da una seria applicazione delle direttive europee Acqua (2000/60/CE) e Rischio alluvionale (2007/60/CE), e dalla mancata istituzione delle Autorità di distretto e di una governance che ragioni a scala di bacino, sulla quale siamo già in forte ritardo rispetto alle scadenze europee al 2015, con conseguenze negative anche in termini economici.

    Negli ultimi venti anni infatti abbiamo speso in prevenzione circa 10 miliardi, meno della metà dei 22 miliardi che invece abbiamo utilizzato per ripagare appena un terzo di tutti i danni prodotti da frane e alluvioni nello stesso periodo[5]. Nuovi fondi per la prevenzione però non arrivano nemmeno quest’anno, o ne arrivano troppo pochi. La Legge di Stabilità varata dal Governo infatti sblocca 1,3 miliardi di euro per interventi immediatamente cantierabili in attuazione degli Accordi di programma fatti negli anni scorsi con le Regioni per far fronte alla somma urgenza e ne stanzia di nuovi solo 180 milioni in tre anni così divisi: 30 milioni per il 2014, 50 per il 2015 e 100 per il 2016.

    Dopo anni di risorse virtuali e di finanziamenti erogati sulla base di schemi emergenziali, occorreva quest’anno dare impulso ad investimenti veri e duraturi per mettere in campo un’azione nazionale di difesa del suolo e rilanciare la riqualificazione fluviale, la manutenzione ordinaria e la tutela del territorio come elementi strategici delle politiche di prevenzione, abbandonando la logica del ricorso a sole opere strutturali e di somma urgenza. Ma anche stavolta sembra che tutto questo sia stato rimandato ad un’altra occasione, nonostante l’autunno in corso abbia già cominciato a ricordarci l’urgenza e l’importanza di intervenire.


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    [1] Rapporto di Legambiente e Protezione Civile “Ecosistema rischio 2011”

    [2] Rapporto del Ministero dell’ambient e della tutela del territorio “Il rischio idrogeologico in Italia” – 2008

    [3] Centro Studi del Consiglio Nazionale dei Geologi: “Terra e sviluppo. Decalogo della Terra 2010”,CNG –CRESME 2010. Istat: “Andamento meteo climatico in Italia anni 2000 – 2009”, Istat 2010.

    [4] Ispra “Annuario dei dati ambientali 2011” – 2012.

    [5] Rapporto Ance Cresme “Lo stato del territorio italiano 2012”

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