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(17 Settembre 2010) Enzo Apicella
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La riforma dei falchi scassa il 138

(25 Ottobre 2013)

COSTITUZIONE
Dopo il voto al senato la strada alla revisione costituzionale è spianata, ma si è anche chiarito l'azzardo. Non si è ancora entrati nel merito delle riforme, ma già sono le faide interne ai partiti a condizionare in modo decisivo il dibattito parlamentare.

La legge costituzionale che stabilisce le regole del cambiamento in deroga a quelle ordinariamente vigenti (art. 138) ha superato per soli quattro voti il quorum che impedisce di richiedere il referendum. Le larghe intese hanno dunque perduto alcuni pezzi. Purtroppo per misere ragioni.
Qualcuno potrebbe pensare che sia stata tenuta in qualche conto - anche se non in numero sufficiente - la richiesta del popolo del 12 ottobre, che ha manifestato contro l'attuale riforma, ritenuta regressiva, rivendicando invece la necessità di una più avanzata politica costituzionale. Nulla di tutto ciò. Purtroppo le defezioni della maggioranza sono dovute alle convulsioni intestine al partito berlusconiano. Voti contrari che nulla hanno a che fare con un'idea qualsiasi di Costituzione, semmai molto hanno a che fare con un uso sconsiderato e strumentale della politica che non si arresta neppure quando sono in gioco la Costituzione e i suoi valori.
D'altronde, sconcerta l'impermeabilità del partito democratico. Nonostante l'evidente divisione del suo popolo e lo smarrimento che si avverte nelle parole di alcuni suoi impegnati dirigenti, solo una minoranza - ahimè - irrilevante ha dato seguito con coerenza al disagio (cinque gli assenti e un astenuto nella votazione di ieri). Le firme poi apposte ad un documento di distinguo dalla legge che si andava a votare proveniente da senatori del Pd appare un altro elemento di debolezza e di ipocrisia politica, che non può certo consolare.
Deve, infine, far riflettere che, nel momento del bisogno, decisivi sono stati i voti della Lega che hanno impedito il successo della congiura di Palazzo orchestrata dai falchi del Pdl, salvato il governo e impresso un moto decisivo alla revisione della nostra poco amata costituzione.
In questo quadro, risultano francamente irridenti alcune dichiarazioni degli esponenti dei partiti delle larghe intese. Per nulla preoccupati di come si possa continuare a pensare le riforme in un clima di diffidenza e inganno, hanno mostrato il volto soddisfatto di chi ha evitato - per il rotto della cuffia - l'implosione e ora prosegue come se nulla fosse accaduto. Anzi, ormai superati gli ostacoli d'ordine procedurale, aspettano che il governo presenti a breve il disegno di legge di modifica costituzionale da approvare, senza tante discussioni.
Credo che chiunque abbia a cuore il nostro sistema costituzionale - anche tra i fautori di questa riforma - dovrebbe essere altamente preoccupato. Come si può pensare, infatti, di procedere a modifiche costituzionali profonde sotto il ricatto dei congressi dei partiti e delle tecniche di sabotaggio tra le diverse fazioni? Magari sperando nel soccorso verde della Lega.
Ciò che è emerso con forza dai giochi perversi del senato è che la riforma è sulle ali dei falchi. È certo, poi, che avrà un forte peso anche l'esito del congresso del Pd. C'è il rischio che, alla fine, la più profonda modifica della Costituzione della nostra storia dipenderà dagli umori degli Scilipoti di turno. Forse dovremmo fermarci tutti a riflettere un attimo. Convincerci che le riforme costituzionali necessarie e possibili sono solo quelle condivise dalla società civile e non delle maggioranze aritmetiche che si esprimono negli oscillanti e ondivaghi numeri in parlamento.
Perché non discutiamo di come, in nome della Costituzione, si possa realizzare una politica finalmente innovativa, uscendo dalla palude e dalla crisi di questi ultimi anni di regresso? Sono certo che, in questa nuova prospettiva, anche una riflessione di come rivitalizzare le istituzioni (riduzione del numero dei parlamentari o razionalizzazione del sistema parlamentare) potrebbe avere un nuovo senso. In nome della Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

Gaetano Azzariti, il manifesto

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