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La diplomazia dei droni

(25 Ottobre 2013)

nawazobama

Giovedì 24 Ottobre 2013 23:00


In concomitanza con la timida denuncia degli attacchi con i droni nel proprio paese da parte del primo ministro pakistano Nawaz Sharif nel corso di un vertice con Barack Obama alla Casa Bianca, sulle pagine del Washington Post è apparsa mercoledì un’esclusiva che ha documentato la stretta collaborazione tra i governi di Washington e Islamabad nella messa in atto di una campagna militare definita sostanzialmente criminale da due rapporti di altrettante organizzazioni a difesa dei diritti umani pubblicate questa settimana.

Se il tacito consenso del Pakistan alle incursioni dei velivoli senza pilota della CIA nelle aree tribali del nord-ovest è cosa nota, le rivelazioni del giornale della capitale americana presentano per la prima volta il contenuto degli accordi tra i due paesi su una questione a dir poco esplosiva.

I documenti in questione riguardano decine di attacchi avvenuti tra la fine del 2007 e la fine del 2011 e la maggior parte di essi sono stati redatti dalla sezione della CIA denominata Centro per l’Antiterrorismo appositamente per essere condivisi con le autorità pakistane.

Secondo il Post, la consegna dei documenti relativi ai droni al governo di Islamabad faceva parte di una vera e propria “routine diplomatica”. Tra il materiale scambiato vi erano mappe e immagini fotografiche relative alle località colpite dai missili, mentre alcuni documenti riportano esplicitamente la richiesta del governo pakistano di agire con i droni sul proprio territorio. In un documento del 2010, invece, vengono descritti una serie di obiettivi identificati in seguito ad un’operazione congiunta della CIA e dei servizi segreti pakistani (ISI).

I contatti tra le autorità americane e quelle del Pakistan avvenivano anche a Washington, dove l’ex vice-direttore della CIA, Michael Morell, era solito fare rapporto all’allora ambasciatore di Islamabad negli USA, Husain Haqqani, sullo svolgimento del programma con i droni nel suo paese.

Queste rivelazioni rappresentano un motivo di imbarazzo per il governo pakistano, il quale esprime frequentemente la propria condanna per operazioni militari profondamente impopolari tra la popolazione. Anche lo stesso Sharif, nonostante fosse all’opposizione durante il periodo coperto dai documenti pubblicati dal Washington Post, deve avere provato un certo disagio durante la conferenza stampa di mercoledì seguita al faccia a faccia con il presidente Obama.

Nell’incontro con i giornalisti e in un intervento presso lo US Institute of Peace, il premier pakistano si è sentito in obbligo di sollevare i gravi disagi provocati dai droni tra la popolazione colpita, chiedendo all’amministrazione Obama di porre fine agli attacchi. La richiesta di Sharif, tuttavia, è apparsa chiaramente come un tentativo di mostrare una certa fermezza di fronte alle proteste di una parte della classe dirigente e della popolazione pakistana nei confronti delle operazioni della CIA, visto che il suo governo, come quello precedente, è ben consapevole che le incursioni non cesseranno nel prossimo futuro.

Secondo il reporter del New York Times presente alla Casa Bianca mercoledì, infatti, Sharif avrebbe espresso le proprie “critiche” alle operazioni americane con i droni “in un tono talmente sommesso da essere sentito a malapena dai giornalisti”. Inoltre, per rassicurare Obama della continua collaborazione pakistana, il premier ha subito assunto un tono più conciliante, affermando che la minaccia del terrorismo richiede “sforzi seri senza indulgere in scambi di accuse”.

L’atteggiamento ambiguo mostrato da Nawaz Sharif a Washington è rivelatore delle pressioni in cui si trova ad operare l’intera classe politica pakistana, stretta tra una popolazione visceralmente ostile agli Stati Uniti e la necessità di conservare una partnership militare con questi ultimi che si traduce in consistenti aiuti finanziari.

Sharif, oltretutto, aveva condotto una campagna elettorale all’insegna di un moderato anti-americanismo e denunciando i droni, capitalizzando l’impopolarità del partito di governo dell’ex presidente, Asif Ali Zardari, considerato troppo remissivo di fronte alle richieste degli Stati Uniti.

L’inversione di rotta del nuovo premier nei rapporti con Washington è apparsa chiara dalla relativa riconciliazione in corso con l’amministrazione Obama annunciata dai principali media d’oltreoceano. A conferma di ciò vi sarebbe il recente sblocco di oltre 1,5 miliardi di dollari in aiuti destinati al Pakistan e congelati fin dal 2011 in seguito alle tensioni con gli USA provocate dal blitz che portò all’assassinio di Osama bin Laden e ad altri episodi che hanno rappresentato chiare violazioni della sovranità del paese centro-asiatico.

Le relazioni tra i governi di Pakistan e Stati Uniti rimangono comunque problematiche, sia perché, come già accennato, Islamabad deve assecondare almeno formalmente l’ostilità diffusa nel paese verso Washington sia perché alcune delle organizzazioni fondamentaliste che operano in Afghanistan sono tradizionalmente legate alle proprie forze di sicurezza nonostante le pressioni americane per contrastarne le attività.

A questo proposito, i documenti riservati pubblicati dal Washington Post mercoledì rivelano anche come alcuni esponenti di vertice dell’amministrazione Obama - tra cui l’ex segretario di Stato, Hillary Clinton - abbiano avuto scontri accesi con le autorità pakistane dopo aver presentato loro le prove della collaborazione dei servizi segreti di questo paese con gruppi estremisti coinvolti in attacchi contro le forze di occupazione statunitensi in Afghanistan.

Negli stessi documenti, infine, emergono i tentativi da parte della CIA di minimizzare i “danni collaterali” delle incursioni con i droni in Pakistan, anche se gli attacchi vengono condotti sempre più soltanto sulla base di comportamenti dei bersagli ritenuti “sospetti”, spesso senza nemmeno conoscere l’identità dei presunti militanti assassinati.

Ciò ha provocato ripetute stragi di civili innocenti nelle aree tribali al confine con l’Afghanistan, messe in luce da svariate indagini sul campo. Tra di esse, spicca quella resa nota proprio questa settimana da Amnesty International, diffusa in contemporanea con uno studio simile di Human Rights Watch relativo allo Yemen e basata sugli attacchi americani in Pakistan tra il maggio del 2012 e il luglio di quest’anno.

Quelle presentate dall’organizzazione britannica - supportate anche dal relatore speciale per i diritti umani e le attività anti-terrorismo dell’ONU, Ben Emmerson - appaiono come vere e proprie prove di crimini di guerra commessi dal governo americano attraverso l’uso dei droni, strumenti di morte impiegati non tanto per eliminare sommariamente presunti terroristi ma soprattutto per terrorizzare intere popolazioni, costrette ad accettare la presenza e la dominazione degli Stati Uniti in un’area del pianeta cruciale per i loro interessi strategici.

Michele Paris - Altrenotizie

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