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    Alfano e i diversamente ribelli

    (30 Ottobre 2013)

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    Mercoledì 30 Ottobre 2013 00:00

    Ci sono due segni rossi sul calendario di Angelino Alfano. Le date precise ancora non si conoscono, ma i periodi sì: la fine di novembre, quando l’Aula del Senato si esprimerà sulla decadenza di Silvio Berlusconi, e l’inizio di dicembre (probabilmente l’8, stesso giorno delle primarie Pd), quando il Consiglio nazionale del suo partito si riunirà per ridare ufficialmente vita a Forza Italia.

    Sono scadenze decisive per le colombe pidielline capitanate dal vicepremier, che sembra voler aspettare le mosse altrui prima di scegliere una strada chiara per il futuro del centrodestra. Difficile spiegare altrimenti la clamorosa retromarcia di questa settimana: “I sottoscritti consiglieri nazionali si riconoscono nella leadership di Silvio Berlusconi, ovviamente a cominciare da me - ha detto Alfano -. Questo sarebbe il primo rigo di ogni documento che io dovessi sottoscrivere”.

    Parole volte a prendere tempo, più che a sancire una riconciliazione minimamente credibile con il Cavaliere e l’entourage dei falchi. Basti pensare che, appena venerdì scorso - dopo l’azzeramento delle cariche annunciato dal Capo -, Alfano diceva di prepararsi a una scissione “che è ormai nei fatti”, ventilando l’ipotesi di una separazione incruenta: le colombe nel Pdl, i falchi in Forza Italia. Sigle diverse, ma pronte ad allearsi quando si tornerà a parlare di elezioni. Per aderire in blocco alla riedizione del vecchio partito, invece, l'ex delfino poneva una serie di condizioni: per sé chiedeva la riconferma a segretario con pieni poteri (e su questo pareva che Berlusconi fosse disponibile), mentre per il Governo chiedeva garanzia di stabilità almeno fino al 2015.

    Proprio questo è il punto dolente. Ieri Berlusconi ha ribadito che il voto sulla sua decadenza da senatore è una questione “non aggirabile” se si vuole mantenere in piedi l’Esecutivo. L’espressione è volutamente ambigua: il Cavaliere sa che la sua espulsione dal Parlamento è quasi certa, ma teme che se provasse ad aprire una crisi si ritroverebbe nello stesso vicolo cieco del 2 ottobre. All’epoca fu costretto da Alfano a votare la fiducia, esibendosi in un’umiliante piroetta dell’ultimo minuto.

    Se i rapporti di forza all’interno del partito non cambieranno in queste settimane, Berlusconi non avrà i numeri per far cadere Letta e un eventuale strappo finale con la componente filogovernativa del suo partito sarebbe un clamoroso autogol. Il Governo andrebbe avanti e il Cavaliere otterrebbe il solo risultato di ritrovarsi in una posizione politica ancora più marginale. Non solo fuori dal Parlamento, ma anche alla guida di un Partito d’opposizione.

    D'altra parte, che le colombe abbiano la forza di realizzare uno scenario del genere è tutto da dimostrare. Gli ostacoli sono tanti, probabilmente troppi. Per dirne una, c’è da considerare il quadro finanziario: rinunciare alla generosità delle casse berlusconiane non è cosa da tutti i giorni. E’ vero, esistono fonti di finanziamento alternative, ma sono certamente meno sicure e meno munifiche, senza contare che l'organizzazione richiede tempo. Per questo Alfano cerca in ogni modo di procrastinare la resa dei conti finale.

    Secondo gli adepti del Cavaliere, il segretario sconfessato vuole arrivare al Consiglio nazionale del partito con Berlusconi già decaduto. A quel punto la conta dei voti - da effettuare su una compagine ben più ampia rispetto a quella dei soli parlamentari - potrebbe dargli definitivamente ragione (le modifiche statutarie richiedono una maggioranza dei due terzi) e consegnargli le redini del partito, limitando per la prima volta in via ufficiale lo spazio di manovra del Capo.

    Ecco per quale ragione Berlusconi cerca fino all’ultimo di non lasciare andare Alfano ed è arrivato ad offrirgli non solo la segreteria, ma anche la vicepresidenza di Forza Italia. Il Cavaliere chiede all’ex Delfino di rinunciare alla poltrona da vicepremier. Alfano, invece, vorrebbe che il suo mentore si rassegnasse alla decadenza senza mettere a rischio la tenuta del Governo. Le loro posizioni sono inconciliabili, ma entrambi sanno benissimo di avere bisogno l’uno dell’altro. Per questo, se alla fine si firmerà divorzio, sarà quasi certamente consensuale.

    Carlo Musilli - Altrenotizie

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