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18 E 19 OTTOBRE: UN PASSO AVANTI
NELLA DIREZIONE GIUSTA

(3 Novembre 2013)

fascicol

Le giornate di lotta del 18 e 19 ottobre costituiscono finalmente un passo avanti nella direzione giusta.

La giornata di venerdì 18 conferma che lo sciopero del sindacalismo di base è una realtà, per una mobilitazione parziale ma effettiva che coinvolge una quota non insignificante di lavoratori provenienti da tutto il territorio nazionale, prevalentemente del pubblico impiego ma non solo. La capitale e le più grandi città ne risultano paralizzate da un’azione di lotta che raccoglie la maggior adesione tra i lavoratori del trasporto e dei servizi urbani. Nel sindacalismo “extra-confederale” (di USB, Cobas, Slaicobas, Cub, Sicobas...) tanti lavoratori ritrovano le sedi di aggregazione e le istanze di iniziativa dismessi dalle maggiori confederazioni così recuperando il senso e la finalità dello sciopero in quanto sacrificio utile perché volto a portare credibilmente in piazza l’opposizione dei lavoratori (mentre gli scioperi confederali, quando ci sono, scivolano sempre più in riti contraddittori che garantiscono un sostanziale via libera alle politiche antioperaie di governo e padroni).

In altre occasioni il sindacalismo di base ha messo in campo numeri anche più ampi. Nondimeno venerdì 18 si è registrata una partecipazione in crescita rispetto alle ultime puntate, una partecipazione che peraltro deve fare i conti con la durezza della crisi. A petto della quale non possiamo escludere e anzi occorre mettere in conto anche azioni di sciopero prolungate, così come dovrà crescere tra i lavoratori il disappunto e la denuncia di modalità di sciopero volutamente inefficaci e realmente smobilitanti come in genere accade nelle convocazioni di Cgil-Cisl-Uil. Noi, infatti, non vediamo come contrapposti e tra loro antagonisti con riguardo alla massa dei lavoratori che vi partecipano gli scioperi “extra-confederali” e quelli (eventuali) di Cgil-Cisl-Uil, trattandosi di unificare le forze di un unico movimento di classe che sappia impedire a qualsivoglia direzione sindacal-politica di buttare al vento lo sciopero e disorganizzare la lotta rimandando a casa i lavoratori più sfiduciati e disorientati di prima.

La manifestazione di sabato 19, unita allo sciopero dalla continuità di iniziativa del presidio di piazza San Giovanni, presidio anch’esso partecipato e ben organizzato, è stato un secondo tempo ancor più forte e promettente.

La manifestazione è stata percorsa per oltre la metà da compatti spezzoni delle numerosissime occupazioni di case. Non è certo la prima volta che sfilano gli occupanti di case, eppure tutti abbiamo colto la novità rappresentata da una massa compatta e ordinata. E’ stata ai nostri occhi (anche e non solo) una delle più grandi e belle manifestazioni quanto a presenza di proletari immigrati, per spezzoni composti da immigrati e italiani mischiati assieme con cospicua e caratterizzante partecipazione dei primi. Immigrati di ogni nazionalità, africani e latinoamericani in particolare. Intere famiglie con neonati in braccio o nel passeggino. Un proletariato immigrato che con cartelli e originali strumenti sonori rivendicava una casa, mentre in altri punti del corteo altri immigrati delle cooperative della logistica portavano nello sciopero le proprie lotte sul posto di lavoro e la propria conquistata e sia pur ancora frammentata organizzazione sindacale. Non solo la richiesta del permesso di soggiorno quindi, ma la verifica del cammino compiuto da questi proletari che, sempre in ballo sulla questione del permesso, non per questo rinunciano ad andare oltre organizzandosi per difendere il lavoro e rivendicare la casa, presentandosi come comunità completa anche nelle diverse generazioni presenti a dare il proprio contributo alla lotta, così rendendo concreta e visibile nella piazza l’integrazione data e possibile nel tessuto e nelle lotte del proletariato d’Italia. Ecco, nel corteo del 19 ottobre abbiamo visto non diremo la definitiva conquista di questi risultati e traguardi, ma certamente sì un bel passo in avanti in questo percorso.

Frammisti e a seguire tantissimi giovani, in genere assenti dai luoghi della politica e del sindacalismo tradizionali e qui invece presenti e attivi.

Questo è per noi l’essenziale.

Un punto di forza da cui partire.

Una forza che è tale non solo nei numeri, tutto sommato ancora non eccezionali, ma soprattutto nella consapevolezza e determinazione dei manifestanti che hanno consentito di ridare volto a una questione sociale nella crisi del capitalismo non come oggetto di commiserante inchiesta o tutt’al più di lotte sfiduciate che chiedono alle istituzioni la soluzione del “proprio” problema, ma in quanto soggetto che allude e potenzialmente rivendica il protagonismo politico della classe sfruttata. Una cosa piuttosto diversa dal raccogliticcio benpensante dei “difensori della Costituzione” della settimana prima svoltosi in chiave tutta istituzionale e in nome di un’indistinta “gente per bene” (con premessa estromissione dei partiti e della politica in generale in nome dei “cittadini”!). Naturalmente siamo a questo primo passo e non ancora al nocciolo delle questioni sul tappeto, che viene sì evocato nei fatti, ma non si darà automaticamente sulla base di un (ipotetico) dilatarsi numerico del movimento a venire. Restano, infatti, tutti i nodi di fondo da sciogliere: la stessa “unità” del movimento, allo stadio attuale, sta al di qua della coscienza e del procedere organizzativo verso un reale fronte di classe unitario; lo schifo (del tutto legittimo) verso una certa politica e determinati partiti da cui ci si sente “non rappresentati” (formula già ambigua!) si accoppia ad una sorta di distacco nei confronti di ciò che dovrebbe costituire l’asse stesso di un movimento proiettato in avanti: la politica ed il partito di cui abbiamo bisogno (rappresentandi e rappresentatori!). La difficoltà di parlare di politica con la massa in piazza era evidente, e non solo per noi, ma per tutta la caterva di sigle e siglette presenti, generalmente considerate come presenze “astrattiste” o “fuori tema” in nome dell’“autonomia dei movimenti fuori dalla politica”. E, sempre parlando della cruda attualità del momento, non è neppur detto che dietro la mobilitazione che c’è, ed è esemplare, non serpeggino illusioni di tavoli concertativi e riformistici “pressati dal basso” (di certo la coscienza che per cambiare realmente le cose occorra un’autentica rivoluzione non passa per la testa di molti).

Tutto ciò nulla toglie al valore di queste manifestazioni, ma sta ad indicare la linea di marcia che s’impone al prosieguo di esse ed a prendere le distanze che vanno prese dallo stupido spontaneismo immediatista pago del successo d’immagine e convinto che il futuro si darà per addizioni quantitative di “indignados” in piazza. Abbiamo fatto due tiri in porta, ma non abbiamo ancora segnato un gol e di punti siamo ben sotto! Cosa manca alla nostra squadra? La scesa in campo della classe operaia organizzata, sin qui presente in maniera molto marginale (e non certo per colpa di chi meritatevolmente ha indetto queste due manifestazioni) ed una linea di orientamento politico all’altezza della situazione. Due cose che vanno insieme, e tutte e due – come si è detto – invocate ad alta voce da queste due “prove d’orchestra”.

Va da sé peraltro che rispediamo al mittente le sviolinate del giorno dopo della stampa e dei partiti presenti in parlamento sulla “capacità dei manifestanti di evitare disordini e isolare i violenti”: sviolinate che puntano a prendere le misure a un nemico che promette di saper tenere il campo e che dunque occorre blandire e legare a dinamiche di interlocuzione con le istituzioni con l’aspettativa di riuscire a guidarne il percorso verso il riflusso della partecipazione, una partecipazione quanto mai “pericolosa” in tempi di crisi.

Significativo che il/la SEL abbia disertato le due manifestazioni per la preoccupazione, suggerita dal regime, che esse potessero debordare dai limiti della petizione “non violenta” a questo governo ed a quello che si prepara dopo (col liberista Renzi capobastone!) e ne abbia poi fatto autocritica sostenendo che, invece, con questi movimenti “nel quadro della legalità” ci si debba incontrare “nel rispetto della reciproca autonomia” (cioè: movimenti da una parte e rappresentanza politica... riformista borghese dall’altra) in nome di “un nuovo modo di governare” (il sistema capitalista).

Tutto ciò detto, al tempo stesso non siamo così ingenui dal credere che la forza scesa in campo il 18 e il 19 ottobre sia sufficiente per sostenere lo scontro cui il proletariato è chiamato per poter contrastare la gragnuolata di colpi che arrivano dal fronte padronal-governativo.

I promotori del 18-19 ottobre fanno benissimo a rivendicare e anche ad attribuirsi il successo di queste giornate, ma sarebbe un errore, noi crediamo, ritenere già bello realizzato nelle due manifestazioni il coagulo e l’unificazione delle forze sufficienti e necessarie.

Soprattutto ciò significherebbe non vedere cosa realmente queste due giornate hanno significato: i settori di classe presenti non solo si sono ritrovati in piazza e compattati tra loro, confermandosi reciprocamente nella determinazione propria a reagire ai colpi della crisi; essi hanno soprattutto lanciato un segnale e una chiamata di lotta generali in quanto rivolti all’intero proletariato d’Italia e oltre i patrii confini.

E’ questa la posta messa in gioco dal 18-19 ottobre e sarà bene misurare i passi successivi secondo questo metro. Sarebbe imperdonabile non mettere a fuoco questo centrale aspetto, proprio quando la preoccupazione dei rappresentanti di governo non è semplicemente per le decine di migliaia di manifestanti di queste due giornate che non è stato possibile disperdere in piazza nella confusione, sì invece per l’inversione di tendenza che queste manifestazioni potrebbero segnare verso la potenziale ripresa di fiducia non di settantamila o centomila ma di milioni di proletari che ricomincino a considerare che la lotta è necessaria e che la classe proletaria, quando tutto gli cade addosso, dispone però della propria forza, una forza che può e deve essere organizzata e messa in campo.

Con la legge di stabilità il governo delle larghe intese, dietro la facciata delle dichiarazioni buoniste con le quali Letta e gli altri rappresentanti affettano comprensione per le difficoltà dei proletari e dei lavoratori, in realtà procede senza riguardi nella difesa degli interessi del capitalismo e dei capitalisti limitandosi a considerare il disagio della classe proletaria quel tanto che basta per poterne misurare e tenere a bada la potenziale e temuta capacità di reazione.

Bene hanno fatto i portavoce della manifestazione del 19 ottobre e del presidio di Porta Pia ad articolare le richieste sulla questione abitativa collegandole ai temi in ballo nella legge di stabilità. E’ su questi temi generali che deve proseguire l’iniziativa di lotta contro una legge di stabilità che, dopo l’ aumento dell’Iva al 22%, conferma la tassazione asfissiante sui redditi da lavoro dipendente riprendendosi sotto altre voci la ridicola elemosina della cosiddetta “restituzione del cuneo fiscale”. Intanto i contratti del pubblico impiego restano bloccati, mentre ci si accanisce ancora contro le categorie più disagiate riducendo le indennità di accompagnamento per gli anziani e penalizzando i pensionati con la riduzione secca delle detrazioni. Sono salvi invece i cosiddetti “risparmiatori” (dietro i quali si celano i grandi investitori e innanzitutto le banche) con la tassazione dei titoli al 20% (aliquota di molto più bassa di quelle che gravano sui salari). La legge di stabilità peraltro punta a sostenere e agevolare le banche anche con regole fiscali più favorevoli per le cessioni e le svalutazioni dei crediti (che servono a scaricare sul bilancio pubblico le perdite delle banche e non certo a vantaggio dei piccoli debitori: ricordate il disoccupato siciliano che si è dato fuoco per aver subito la vendita all’asta della propria modestissima abitazione per un debito di 10.000 euro?!!!!). Ciliegina sulla torta la barzelletta dei contributi di solidarietà sulle cosiddette pensioni d’oro da 100, 150 e 200 mila euro l’anno (!!): il governo fa la mossa di imporre il contributo di solidarietà ai pensionati d’oro ben sapendo che arriva puntualmente la Corte Costituzionale a dichiaralo illegittimo e ad annullarlo (andate a dirlo a Landini che ha ringraziato dal palco la Corte Costituzionale come baluardo della democrazia!).

Questo e molto altro è in ballo nel contesto generale sul quale intervengono le manifestazioni del 18-19.

Dopo le quali non a caso Cgil-Cisl-Uil, con tutte le remore, i tentennamenti e le “timidezze” del caso, hanno prima iniziato a parlare di sciopero e poi lo avrebbero dichiarato per 4 stentate ore da gestirsi a livello regionale.

Non manchino i promotori e i manifestanti del 18-19 di considerare la dichiarazione di sciopero di Cgil-Cisl-Uil perché essa è frutto del contesto generale che matura pesantemente contro l’insieme della classe proletaria e lavoratrice. E’ frutto della stessa iniziativa del 18-19, del segnale generale che essa ha lanciato, della attenzione di settori più ampi di lavoratori che ne hanno accolto positivamente la notizia e il segnale così iniziando a considerare la necessità della lotta. E’ anche frutto del calcolo dei vertici confederali di intervenire essi stessi per indirizzare la protesta che non fosse possibile evitare secondo forme e modalità che siano indolori per il governo e per i capitalisti.

Se sciopero confederale dovesse essere le forze che hanno promosso il 18-19 dovrebbero considerare le modalità più congrue per intervenirvi e per portare nella massa che eventualmente scenda in campo al seguito di Cgil-Cisl-Uil la voce, la determinazione di lotta, la freschezza del 18-19, il che significa dare battaglia politica nella massa dei lavoratori contro le politiche fallimentari di Cgil-Cisl-Uil da incalzare sul terreno dei loro continui arretramenti, puntando all’unificazione dell’intera classe proletaria che rivendichi e affermi il proprio programma di classe contro i diktat del capitalismo nazionale e le politiche del governo (e dei governi) a difesa di esso.

Il 18-19 sono stati un buon inizio. Noi siamo impegnati a dare il nostro piccolo contributo affinché se ne possano valorizzare e svolgere nella giusta direzione tutte le positive premesse, per l’unificazione di forze e la scesa in campo sempre più ampia dell’intero proletariato, per la ripresa duratura di un movimento generale di lotta contro il capitalismo.

2 novembre 2013

Nucleo Comunista Internazionalista

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