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La marea bianca e blu

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(29 Maggio 2010) Enzo Apicella
Mentre l'attenzione dei media è tutta rivolta alla "marea nera" nel Golfo del Messico, continua il blocco navale di Gaza

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In Sud Africa si afferma una robusta e moderna classe operaia che cerca la sua strada contro i tanti falsi amici

(1 Dicembre 2013)

Sono passati sedici mesi dal massacro di Marikana, ma le lotte operaie non hanno mai accennato a diminuire; al contrario si sono estese al di là del settore minerario toccando servizi ed industria.

Si è per altro accentuato lo scontro tra l’Associazione Minatori (Amcu) ed il Sindacato Minatori (Num) affiliato al Sindacato Nazionale Cosatu. La prima è nata a Mpumalanga nel 1998 ed è stata poi formalmente registrata soltanto nel 2001; è frutto di una secessione del sindacato filo governativo e si considera “apolitica e non comunista”, il che si spiega con la connotazione “di sinistra” del governo, dove prevale il partito stalinista. L’Amcu rappresenta ormai oltre il 70% dei dipendenti della grande azienda mineraria Lonmin ed è anche il sindacato di maggioranza nelle miniere della Amplats ed in quelle della Impala Platinum.

L’accusa principale rivoltagli dalla Cosatu è che l’Amcu sarebbe un’invenzione della classe padronale, utile per indebolire i sindacati maggioritari. Il modo migliore per dimostrare che si tratta di calunnie rimane la parola d’ordine della difesa ad oltranza dei soli interessi dei lavoratori ed il loro affasciamento in lotte che li uniscano invece di dividerli. Di fatto in Sudafrica la veloce espansione del nuovo sindacato, svincolato dalle politiche statali, ha portato a scontri durissimi, specialmente in questi mesi nei quali si sta prepotentemente facendo strada nell’industria dell’auto, dove il potere della Cosatu era sinora incontrastato. Anche le accuse di occuparsi del solo bene immediato dei lavoratori a sfavore delle politiche di “ampio respiro” ci riportano facilmente alle false parole dei nostri Confederali.

Questa situazione va avanti sin dal 2012, via via incancrenendosi sino ad arrivare agli scontri di maggio di quest’anno, quando migliaia di minatori hanno incrociato le braccia rifiutandosi di scendere nei pozzi della britannica Lonmin, terzo produttore mondiale di platino. Al grido «abbasso il Num» e armati di bastoni hanno marciato verso la collina nei pressi di Marikana, prima di riunirsi nello stadio vicino in attesa dei rappresentanti sindacali.

Come si ricorda Marikana fu teatro lo scorso anno di scioperi selvaggi, sfociati nel più brutale scontro con la polizia dalla fine dell’apartheid. Almeno 34 furono i morti in quello noto come massacro di Marikana. A scatenare la rabbia è stato questa volta l’uccisione di un sindacalista della Amcu che avrebbe dovuto essere ascoltato come testimone dalla commissione governativa d’inchiesta sulle violenze di Marikana.

In aggiunta ai lavoratori uccisi l’anno scorso, altri dieci sono stati assassinati a sangue freddo quest’anno, tra cui diversi delegati sindacali appartenenti al Num. L’ultima è stata del rappresentante della sezione sindacale femminile del Num, Nobongile Norah Madolo, ucciso vicino al pozzo Roland della Lonmin. Dal mese di agosto dello scorso anno si è registrato un aumento di omicidi a Marikana e in tutta Rustenburg. I lavoratori sono assassinati per la loro associazione ad un dato sindacato. E proprio contro i sostenitori del Num si sono scagliate nei giorni scorsi le accuse dei vertici dell’Amcu per l’omicidio del suo rappresentante sindacale.

Lo sciopero e il taglio di 6.000 posti di la­voro annunciato dall’Anglo American Platinum evidenziano gli errori della politica dell’Anc, già al centro di pesanti critiche per la gestione della crisi lo scorso anno.

Sospinti dall’azione dei lavoratori, anche i sindacati di regime sono spesso costretti a firmare accordi migliorativi sui salari e sulle condizioni di lavoro, a partire proprio dal settore minerario, dove le condizioni di vita permangono ben al di sotto di una dignitosa sopravvivenza. Le condizioni di vita dei minatori, già particolarmente difficili, negli ultimi ventiquattro mesi, a causa della crisi mondiale, si sono fortemente degradate: retribuiti con paghe miserabili (circa 400 euro al mese), alloggiati in baracche, chiusi anche per nove ore nel fondo di una miniera surriscaldata e soffocante, stanno ora subendo licenziamenti e disoccupazione.

Per questo quando le lotte risultano vincenti creano per tutta la classe lavoratrice ulteriore determinazione a proseguire sulla strada intrapresa. È questo il caso della Aim-e JSE, proprietaria delle miniere di oro e platino di Barberton, dove il salario medio, dopo dure lotte, è stato aumentato mediamente dell’8%.

Ma anche dello sciopero che coinvolge i lavoratori della Allied Workers Union a South African Breweries, una delle più grandi fabbriche di birra del Sudafrica, dove si chiede un aumento del salario del 9%; qui la lotta prosegue dall’inizio di ottobre nonostante le minacce padronali di disdettare il contratto e di non pagare premi di produttività ed incentivi. L’adesione, partita col 75%, ha raggiunto presto il 100%.

Addirittura nelle forze armate, 225 soldati di stanza a Zeerust nel Nord Ovest e a Thohoyandou sono stati messi sotto processo per una marcia di protesta non autorizzata per chiedere aumenti salariali.

Un segnale evidente dello stato di crisi in cui versa anche il ricco Sudafrica. Infatti, nonostante l’investimento di centinaia di miliardi di euro per sostenere l’economia, la crescita rimane minima e la disoccupazione è di massa. Il paese ha basato una parte eccessiva della sua ricchezza sull’esportazione di minerali, platino, cromo, oro e diamanti, tuttavia questo settore, che rappresenta quasi il 10% del Pil nazionale, il 15% delle esportazioni e più di 800.000 posti di lavoro, ha subito una grave recessione nel 2012 continuata poi in tutto quest’anno.

Prosegue poi dal 27 settembre lo sciopero alla Anglo American Platinum, che rappresenta da sola il 40% della produzione mondiale del prezioso metallo; la direzione ha detto che sta perdendo 3.100 once al giorno di produzione a causa dell’astensione dal lavoro. L’Amcu contesta la decisione aziendale presa nel mese di agosto, di ridurre da cinque a tre le miniere nel complesso di Rustenburg per contenere i costi, con conseguenti 3.300 tagli di posti di lavoro. Tra i punti della contesa sindacale vi è il ricorso a esternalizzazioni, invece di mantenere il lavoro ai propri dipendenti.

Il Fmi nel rapporto annuale sul paese dice che l’aumento della crescita dei poveri non può essere imputato solo alle deboli condizioni globali ma a scioperi e incertezza politica che frenerebbero gli investimenti: «Il Paese ha bisogno di andare avanti con le riforme strutturali per rilanciare la crescita e creare posti di lavoro». Il Fmi fa riferimento ai quotidiani disordini nelle fabbriche e alla necessità di una riforma del mercato del lavoro e alla “moderazione salariale”.

L’ondata di mobilitazioni iniziata ad agosto 2012 nel settore minerario si è poi allargata a quello agricolo, con manifestazioni, scioperi e duri scontri con la polizia, dapprima nelle aziende che producono uva da tavola destinata al mercato estero poi in quelle della frutta e del vino, settore che registra i più alti fatturati in valuta. I proprietari agricoli hanno respinto le richieste di aumenti salariali, lamentando il calo delle esportazioni nel 2012 e nel 2013 e l’abbassamento dei prezzi di circa il 25%. Stando a quanto riportato da Fairtrade Label South Africa, i lavoratori agricoli sarebbero tra i peggio retribuiti del paese, con peggiori condizioni di vita, relegati in alloggi inadatti, esposti ai pesticidi.

A questo vanno aggiunte le continue intimidazioni ed i tentativi, spesso violenti, di scoraggiare la formazione di sindacati.

Scontri e scioperi sono proseguiti nel 2013 in diverse località, a De Doors, 100 chilometri a est di Cape Town, una delle aree a più alta produzione viticola del Paese, dove sono stati arrestati 44 lavoratori, e soprattutto nella regione del Western Cape dove i dimostranti, molti dei quali stagionali impiegati nella raccolta e nel confezionamento della frutta in aziende agricole di proprietà della minoranza bianca, sono stati attaccati dalle forze di polizia con idranti e pallottole di gomma. I lavoratori chiedevano l’aumento della paga minima giornaliera da 69 a 150 Rand (1 Euro = 11,74 Rand).

Molti stagionali vengono dall’Eastern Cape, dallo Zimbabwe, dal Mozambico e dalla Somalia e sono visti come una minaccia dai lavoratori a tempo indeterminato. I proprietari agricoli, di fronte al rifiuto di questi loro dipendenti di concedersi al minimo salariale attuale, possono rivolgersi ai lavoratori non sudafricani, privi spesso di permesso di lavoro e di passaporto e costretti in alloggi abusivi. Il Presidente provinciale della Cosatu, Tony Ehrenreich, descrive la situazione dei lavoratori agricoli «una bomba a orologeria che potrebbe esplodere da un momento all’altro».

Ma gli scioperi sono per lo più spontanei, mancano di una direzione e non sono organizzati dai sindacati, ai quali è iscritto solo il 6% dei lavoratori agricoli. Per altro i sindacati di regime non vi possono esercitare nessun controllo e limitazione.

La volontà di mobilitarsi espressa dal proletariato sudafricano non potrà essere contenuta ed incanalata nelle rivendicazioni di diritti civili dell’epoca del vecchio Mandela. Il democratico Sudafrica non può più nascondere l’oppressione di classe sotto specie di discriminazione razziale: un Governo nero con una polizia nera si distingue da tempo nella repressione delle masse operaie nere. Caduta anche questo schermo rimane soltanto lo scontro tra capitale e classe operaia. Ci auguriamo – e per questo lavoriamo – che anche in questo non tanto lontano paese ci si avvii presto verso la rinascita di vaste organizzazioni di classe, che operino per la difesa ad oltranza dei soli interessi operai, unico strumento questo e per la difesa immediata della classe e per porre le basi del futuro assalto al potere del capitale.

PARTITO COMUNISTA INTERNAZIONALE

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