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Mani bianche

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(23 Dicembre 2010) Enzo Apicella
Manifestazioni in tutte le città contro il decreto Gelmini

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    (La controriforma dell'istruzione pubblica)

    Continuità con la Gelmini e il disco rotto sulla meritocrazia

    (3 Dicembre 2013)

    I provvedimenti del ministro Carrozza, nessuna vera "riforma", prosegue solo la dismissione dell'istruzione pubblica.

    contigelmi

    A tre anni di distanza dall’entrata in vigore del disegno di legge Gelmini su scuola e università, ecco che si preannuncia un’altra riforma, stavolta firmata Maria Chiara Carrozza, per il settore dell’istruzione. Molto hanno in comune, a partire dalla loro eccezionale modalità d’approvazione: mentre la prima, infatti, è stata adottata in via straordinaria dal Governo senza passare per il Parlamento, la legislazione della seconda è stata direttamente delegata dal nuovo ministro dell’istruzione al Governo di larghe intese.

    Cosa cambia rispetto alla riforma precedente? Sostanzialmente nulla, sennonché ancora più risalto viene dato al ruolo dei privati all’interno dell’università, alla questione meritocratica (ambiguo leit motiv che ci accompagna ormai da qualche anno) e alla competizione tra atenei, incentivata dai criteri di “valutazione” con cui vengono esaminate le università e che distribuiscono i fondi.

    Riguardo al primo punto, la ministra Carrozza scrive che sarà favorita “l'incentivazione di finanziamenti privati anche con maggiore libertà di spesa” e “la semplificazione del finanziamento privato di posti di docente”. L’entrata dei privati nell’università, iniziata con il Ddl Gelmini e che ha prodotto mostri, come l’entrata di aziende che incidono sull’offerta formativa a seconda dei loro bisogni, sarà incentivata ancora di più con la nuova riforma Carrozza. Si sa che alle aziende il sapere critico non ha mai fatto piacere e che quindi andranno a finanziare quelle facoltà in cui hanno un interesse strategico: non a caso molti corsi di diverse facoltà umanistiche sono state chiusi perché giudicati non abbastanza competitivi a livello economico.

    La questione meritocratica è poi strettamente legata ai criteri di valutazione con cui vengono classificati gli atenei, arbitrari e puramente economicisti.
    Il posto che hanno in classifica gli atenei, infatti, dipende dall’indicatore Isef (indicatore di sostenibilità economico finanziaria, N.d.R.) calcolato sommando l’ammontare del fondo di finanziamento ordinario e le tasse degli studenti meno i fitti passivi, diviso il costo del personale più gli oneri d’ammortamento. Dal risultato ottenuto dipende anche l’assunzione di nuovo personale ricercatore e docente. Non importa se l’ateneo in questione non abbia posti vacanti: se è al primo posto in classifica, potrà comunque assumere di più rispetto a un’università in difficoltà con carenza di personale. Inoltre è chiaro come il risultato di questo indicatore si basi molto sull’ammontare delle tasse universitarie e di come questo nuovo criterio di valutazione spingerà ancora di più all’innalzamento delle rette, che in questi ultimi anni sono già diventate proibitive. Sono previste anche sanzioni per gli atenei “non meritevoli”: sanzioni, che potrebbero portare presto alla chiusura di molte università, e che andrebbero invece a finanziare quelle di “serie A”. Gli istituti più svantaggiati sono quelli del Sud, ovvero quelli dove le tasse universitarie sono più basse per la gran quantità di studenti che richiedono la borsa di studio: a Napoli, durante l’incontro tenutosi a Roma tra i rettori delle università del Sud e la ministra Carrozza, è stato imposto dagli studenti il blocco della didattica, per protestare contro quella che si profila come una riforma peggiore di quella Gelmini del 2010 (anche se nessuno pensava fosse possibile).

    Il merito e la valutazione, dispositivi di controllo e disciplinamento sociale all’interno della fase attuale della crisi, diventano paradigma anche all’interno degli atenei: con la scusa delle Scuole d’eccellenza si redistribuiscono i fondi rimasti dopo la stagione dei grandi tagli secondo precisi interessi, che poco hanno a che fare con la qualità della didattica e ancor meno con il diritto allo studio, istituto ormai svuotato d’ogni senso.

    Proprio su quest’ultimo terreno s’è aperta con asprezza la battaglia studentesca nell’ultimo periodo, con l’occupazione a Roma di ben due studentati A.DI.S.U. in pochi giorni. Il problema sollevato esula di molto la semplice vertenza sui rispettivi stabili vuoti o sugli idonei non vincitori, interrogando direttamente l’assenza completa di misure welfaristiche, in particolare per i giovani. Quello che trapela da queste mobilitazioni risponde esattamente alla retorica meritocratica dell’ultim’ora, rilanciando sul terreno dell’allargamento dei diritti e mostrando una repulsione per le logiche valutative alle quali la didattica e gli atenei in generale si trovano già assoggettati.

    Ne potremmo vedere delle belle, allora, se questo progetto di legge volesse essere portato a compimento. Dopo i colpi di mortaio degli ultimi venti anni, sulle macerie dell’università pubblica si gettano le fondamenta dell’università dell’austerity, completamente al servizio delle logiche del profitto e dello sfruttamento. Saranno così solide, oltre che larghe, queste intese, se si presentasse allora una nuova esplosione del movimento universitario?

    Natascia Grbic - dinamopress.it

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